rivista anarchica
anno 33 n. 287
febbraio 2003


Lapsus e malafede

 

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a cura di Carlo E. Menga

Se non sbaglio, in Psicopatologia della vita quotidiana, S. Freud descriveva il lapsus come una fuga rivelata attraverso il linguaggio, da parte dell’inconscio represso. Una specie di indesiderata esplicitazione dell’implicito, del pensiero nascosto. Vero è che certi lapsus sono solo “di lingua”, dovuti a stanchezza o stress, come chiedere in farmacia “una busticca di pastine del Re Sole”, o “la solonna conora del film…” in un negozio di dischi. Un qualche dottore sottile, freudiano agguerrito, troverebbe senz’altro prove a carico anche di questi esempi innocenti, per provare la responsabilità dell’inconscio e della sessualità repressa. Di certo bollerebbe senza esitare il racconto di una mia collega d’ufficio la quale, descrivendo un episodio di shock anafilattico da lei sofferto, riferì che non era riuscita per un certo tempo quasi a respirare poiché le si era incredibilmente gonfiata la “clitoride”…
Naturalmente intendeva parlare dell’epiglottide. Dopo qualche attimo di sconcerto un altro collega tentò di andare a casa spacciandosi per malato, e riferendo – toccandosi ai lati del collo – di patire un fastidioso gonfiore delle “gonadi”… Per me si era trattato solo di un semplicissimo lapsus linguae, dovuto a due ordini di motivi: uno culturale, cioè la scarsa conoscenza dei termini specialistici, donde la confusione, supportato dall’altro, linguistico, ovvero la sequenza vocalica pressoché identica delle due voci. Non dimentichiamo che la sequenza delle vocali è un elemento fondamentale per la discriminazione veloce delle composizioni fonetiche distintive di significato. Ma questa è solo una mia opinione.
Quel che pare certo è che alcuni lapsus sono, anche in parte, provocati da una scarsa capacità di gestione di alcuni aspetti della lingua, propria ed altrui, oltre che da quegli episodi di scarsa tonicità psicofisica prima accennati. Io ricordo un caso palese, di diversi anni fa, quando un telecronista, commentando una partita di basket N.B.A., e leggendo sul monitor in sovrimpressione che un certo giocatore era stato “just fouled out”, esprimeva costernato stupore nei confronti della proterva regia americana, giacché lui aveva tradotto che quel tale era stato “giustamente cacciato fuori per raggiunto limite di falli”. La lingua inglese, per sottolineare l’aspetto attuale del verbo, a volte ha bisogno di accorgimenti talora avverbiali come “just” (“appena”, “giusto”). In tal modo può mostrare in tempo reale quel giocatore che è stato “appena espulso” per raggiunto limite di falli, e che è quello che i telespettatori stanno vedendo inquadrato adesso; giacché “has fouled out” senza “just” potrebbe indicarne uno espulso 10 minuti prima, del quale ora stiamo rivedendo il replay dell’uscita in panchina. La confusione del cronista deriva, oltre che dalla carente dimestichezza con l’inglese, anche dalla comune radice di “just” e “giusto” con “justice” e “giustizia”.
Ma come spiegare il seguente episodio? Sabato 30 novembre 2002, durante i preliminari della ripresa televisiva di TELE+ della partita Reggina-Chievo, apprendo dal buon Marco Nosotti Da Bordocampo che il tempo e le condizioni del manto erboso dello stadio erano sufficientemente buone, nonostante fosse caduta sulla città una notevole quantità di “lava” dell’Etna. Ero diventato un croccante cittadino di Pompei senza neanche rendermene conto. Naturalmente intendeva “cenere”. Chissà: forse esprimeva un desiderio represso squisitamente padano. E poi se la prendono con le inesattezze di Plinio il Vecchio…
Ma c’è di meglio. Parafrasando una nota canzone di De Gregori: “tra il lapsus e la malafede la differenza salta agli occhi”. Nella sua opera L’essere e il nulla, il filosofo J. P. Sartre descrive la nozione di “malafede” in alcune pagine di indimenticabile valore letterario. Riassumo alquanto a memoria: al tavolo di un ristorante siedono dirimpetto un uomo e una donna. Conversano tranquillamente, ma è ovvio che tentativi di intrecciare rapporti intercorrono tra i due. A un certo punto, durante l’innocente dialogo, la mano dell’uomo si posa inavvertitamente su quella della donna, ed ivi ristà. Nessuno dei due fa mostra di accorgersene. La donna, se vuole continuare la civile discussione senza compromettersi nell’uno o nell’altro senso, deve fare come se nulla fosse. Se dimostra di accorgersene dovrà reagire o negativamente, interrompendo prematuramente l’evolversi di una relazione che potrebbe rivelarsi interessante, oppure positivamente, fornendo segnali di disponibilità che potrebbero successivamente rivelarsi controproducenti. Per evitare tutto ciò, semplicemente finge di non sentire e non vedere. Né loro né alcun altro se ne accorge, ma questa, per Sartre, è la malafede.
Senza scomodare l’esistenzialista francese, qualche tempo dopo leggo sui giornali che l’allenatore della Roma, Capello, ha ricevuto da quelli di Striscia la Notizia il Tapiro d’oro per il gesto dell’ombrello visto in televisione. Capello sembra abbia accettato il trofeo, spiegando che però lui stava solo indicando, sia pure con veemenza, il punto del braccio con cui Inzaghi aveva commesso il fallo di mano non rilevato dall’arbitro Collina, in seguito al quale gli era stato possibile realizzare il goal. Capello ha tutta la mia stima per avere detto finalmente che il re è nudo. Ci mancherebbe che per interpretare correttamente un gesto col braccio e la mano dovessimo valutare la distanza del braccio dal corpo e il grado di compostezza del movimento come se fosse un fallo in area di rigore. La malafede di Striscia la Notizia è evidente. Bastava non far finta di non vedere la faccia di Capello nel compiere il gesto, per rendersi conto della sua buonafede. Il Tapiro avrebbero potuto darlo invece a Salas, reo di essersi strizzato vistosamente quello che il regista Almodòvar, nel film La legge del desiderio definisce “il pacco”, dopo aver segnato un goal in una partita di Coppa Italia.
D’altra parte Striscia la Notizia non è nuova a queste interpretazioni da giullare di corte: è una trasmissione di una delle reti televisive di cui è proprietario il Cavaliere Pennywise, presidente del Milan, nonché di un consiglio dei ministri di cui fa parte l’on. Tremonti, quello che vorrebbe risolvere il problema dell’incidenza dell’aumento dei costi e dei prezzi sui consumi e sui risparmi coniando banconote da 1 e da 2 Euro. Tale provvedimento, che ricorda vagamente quello analogo compiuto per più gravi motivi durante la Rivoluzione Francese, sarebbe solo leggermente inferiore, quanto a potenziale efficacia, di quello che si potrebbe adottare vietando la produzione e la vendita di passamontagna, per prevenire le rapine e i sequestri.
I commercianti, fedeli e miracolati paladini della madonna di Lourdes del libero mercato, lo sanno benissimo, e sentitamente ringraziano. Nel frattempo, anziché lasciare, raddoppiano.

Carlo E. Menga