rivista anarchica
anno 33 n. 293
ottobre 2003


impero

Il pianeta destabilizzato
di Antonio Cardella

 

Dopo i disastri provocati gli angloamericani tentano di ottenere dall’ONU un aiuto concreto in uomini e soldi, con la pretesa di amministrarli loro.

Debbo confessarvi che, complice il gran caldo di cui abbiamo patito tutti, questa estate ho finito col poltrire, nel senso che ho messo da parte la pila di documenti e di saggi che avrei dovuto consultare nel periodo feriale, e mi sono dedicato alla narrativa contemporanea, da tempo emarginata nei miei interessi e adesso riscoperta, senza, per la verità, ricavarne gran giovamento.
Soltanto alla fine di agosto, ho ripreso in mano la collezione di A, per rivisitare i miei contributi sull’intera vicenda irachena e fare un bilancio delle previsioni che avevo azzeccato e di quelle che avevo «bucate». Una ricognizione, se volete, oltre che narcisistica in una certa misura, un po’ cinica, perché alle previsioni azzeccate, prevalenti sulle altre, nella concreta realtà dei fatti, corrispondevano, sul campo, migliaia di vittime, desolazione e ulteriore miseria per un popolo già ampiamente provato dalla cinica politica di un Occidente miope ed egoista e da dittature locali particolarmente feroci.
A mia difesa, però, debbo rilevare che, sin dall’inizio di questa indagine retrospettiva, c’era l’esigenza di appurare se, a regolare le cose del mondo, della politica e anche, perché no, dell’etica contemporanee, ci fosse ancora una logica riconoscibile. Non discuto quale: solo una visione del mondo e del suo futuro credibile e coerente con le posizioni ideologiche e culturali dei diversi protagonisti degli attuali conflitti che affliggono il pianeta.
Rassicuratevi: non ho alcuna intenzione di passare in rassegna e di analizzare gli aspetti salienti di una contemporaneità assai complessa, impresa assai al di sopra delle mie modeste qualità di analista politico e, per di più, spropositata per un articolo di poche cartelle.
Molto più modestamente intendo solo avanzare delle perplessità di puro buon senso su quello che accade, in particolare sull’avventura angloamericana in Iraq.

Esiti di un conflitto duraturo

Dunque, il contesto che fa da sfondo alla vicenda era abbastanza chiaro: nell’area persistevano gli esiti di un conflitto, quello israeliano-palestinese, che durava ormai, con alterne vicende, con frenate ed improvvise accelerazioni, da circa sessant’anni. Si era in una fase in cui tutti i tentativi di una soluzione, anche transitoria, erano falliti. È bene sottolineare che l’intero mondo arabo non era indifferente all’evolversi delle situazioni e, sia pure con sfumature diverse, unanimemente riteneva legittima la pretesa palestinese di avere uno stato autonomo, con confini certi, che, in qualche modo, riuscisse ad arginare l’espansionismo israeliano sostenuto dall’attuale amministrazione americana e dalle tante altre che l’hanno preceduta, tutte condizionate da una robusta, ricca e influente comunità ebraica che, nelle elezioni presidenziali, ha un ruolo rilevante. Un mondo arabo, per suo conto in lenta evoluzione, ancora combattuto tra le istanze di modernizzazione e le rigidità di un integralismo religioso che, alla vigilia del fatidico 11 settembre, sembrava lentamente arretrare. Il crollo delle due torri rimise tutto in discussione e costituisce la causa prossima dell’accelerazione di quel disegno imperialistico che era già pianificato da tempo dai falchi dell’amministrazione Bush. Inizia l’avventura in Afghanistan. Migliaia di bombe tra intelligenti e deficienti spianano il territorio afgano, abbattendo, è vero, il regime dei talebani, ma scatenando conflitti etnico-religiosi che, di fatto, hanno reso ingovernabile il paese. Le forze multinazionali che presidiano il territorio assistono impotenti al caos di un governo locale dilaniato dai contrasti e incapace di esercitare un sia pur minimo controllo del territorio. Di Bin Laden e degli strateghi del terrore, che erano i principali obiettivi della guerra, neppure l’ombra. Non si sa dove stiano ma sembra siano assai attivi in tutti gli scenari in cui più alta è la tensione antiamericana e antioccidentale.
L’esito infelice di questa guerra e le reazioni di tutta l’area mediorientale alle iniziative di Bush e dei suoi alleati avrebbero dovuto indurre il governo americano quanto meno ad un’attenta valutazione delle conseguenze che un ulteriore intervento armato nell’area avrebbe provocato, tanto più che la ventilata spedizione in Iraq aveva provocato un’imponente mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale contraria alla guerra e vani erano risultati tutti i tentativi di Bush, Blair e Aznar di coinvolgere le Nazioni Unite nella dissennata operazione.
Comprendiamo che la sindrome della frontiera possa aver giocato nel texano Bush un ruolo non indifferente, ma le ragioni della «pistola facile» dovrebbero pur essere mediate, in un uomo politico, per quanto limitato, dal senso dell’opportunità, se non da quelle dell’opportunismo. Benedetto cristiano, hai appena scatenato un putiferio in Afghanistan, dove hai subito perdite ingenti in uomini e denaro, senza ottenere altro risultato se non quello di rendere ancora più ingovernabile la regione, facendoti per di più scappare sotto il naso il nemico numero uno a ragione del quale avevi dichiarato guerra a oltranza, ebbene, fermati un attimo a riflettere, cerca di risolvere i problemi che hai creato, in modo che amici e nemici possano ritenerti credibile, e poi, soltanto poi, se proprio lo vuoi, compi l’ulteriore passo verso quella che tu chiami la normalizzazione del Medio Oriente e altri la tua vocazione imperialistica!

Falchi e lobby

E invece no, spinto dai falchi capitanati da Rumsfeld e dalle lobby degli armamenti, ti inventi il pericolo imminente dello scatenamento di una guerra con armi di distruzione di massa ad opera del regime di Saddam Hussein e giù a capofitto ti impantani in Iraq,
Ditemi voi se tutto questo ha un senso! Eppure infinite erano state le esortazioni alla pazienza: c’erano gli ispettori dell’ONU che avevano avuto accesso persino nei luoghi di decenza dei palazzi del regime e che non avevano trovato nulla; c’erano le perplessità dei tradizionali alleati; c’era il pericolo concreto che ti crollassero sulle spalle quelle strutture internazionali in virtù delle quali avevi potuto attuare le politiche di potenza e di sopraffazione nei riguardi di due terzi del mondo (Banca Mondiale, WTO, G8 e le stesse Nazioni Unite); c’era infine la voragine del tuo debito pubblico e l’economia in fibrillazione in tutto l’Occidente; ma tu niente: abbassi la tesa del tuo cappello, sfoderi la pistola e spari.
Vinci la battaglia e perdi la guerra. Il primo maggio del 2003 dichiari che il conflitto è concluso ma nessuno se ne accorge. I tuoi uomini continuano a morire e quelli ancora in vita non ce la fanno più. Sei in grossa difficoltà per gli avvicendamenti: non hai in patria soldati a sufficienza per alternarli a quelli che devi far rientrare. Si sono già volatilizzati quattrocento miliardi di dollari (li scrivo a lettere perché non saprei rappresentarveli in cifre) e la quotidianità ti costa quattro miliardi di dollari al mese (e parliamo soltanto delle tue spese, non consideriamo quelle dei tuoi alleati sul campo). Speravi nella vendita del petrolio iracheno, ma le riserve sono finite da un pezzo e per riattivare i pozzi gli esperti dicono che occorrono almeno cinque anni di alacri lavori per rammodernarne le strutture.
Quanto alle armi di distruzione di massa, neppure l’ombra; e qui gioca anche la tua ottusa arroganza, perché non c’è uomo sulla terra di naturale buon senso che non si sia chiesto: tu America che hai depositi pieni di gas nervino (per citarne uno a caso) come non ti è venuto in mente (e dire che ti era stato suggerito da quel campione di moralità che è Giuliano Ferrara) di prelevarne qualche centinaio di fusti e, col favore della notte, seppellirli a qualche chilometro da Bassora o da Baghdad per farli ritrovare l’indomani da qualche passante inconsapevole? Rischi zero: gli ispettori te li sei già liquidati, il popolo lo si può tenere lontano con qualche razione K recuperata dal primo conflitto mondiale. Quanto agli uomini impiegati alla bisogna, sappiamo che la CIA è adusa a ben altre imprese: certo i sospetti nascerebbero, ma ci sarebbero sempre i Giuliano Ferrara, i Maurizio Belpietro, i Vittorio Feltri e il glabro ventriloquo portavoce di Forza Italia che dalle pagine dei loro giornali e dalle interviste amplificate dai telegiornali, griderebbero raggianti: ve lo avevamo detto che c’erano!
Nella realtà, il povero Blair ci sta rimettendo la carriera politica e Bush non mi pare sia messo bene per le prossime elezioni.

Dagli amici con la calibro ventidue

Ditemi voi se c’è una logica nella conduzione di queste imprese. Se, soprattutto, vi è riconoscibile un disegno politico che si possa ricondurre a delle menti non gravemente disturbate. Anche se – è vero – bisogna aggiornare il metro con cui oggi occorre giudicare la sanità mentale: a voi, per esempio, sarebbe mai venuto in mente di andare ad un picnic nella casa di campagna di un amico con un M16 due lanciafiamme e otto bombe a mano? Ebbene è quello che – con le debite proporzioni – ha fatto il premier russo Putin, che si è presentato a Porto Cervo in Sardegna, nella faraonica villa dell’amico Berlusconi con un incrociatore, una nave lanciamissili e non so quante navi appoggio.
Una moda nuova, che tra l’altro ha il pregio di rilanciare l’economia: da oggi in poi, infatti, chi avrà la faccia di presentarsi in casa di amici e parenti a mani vuote, senza neppure una calibro ventidue o, almeno, per i meno abbienti, con un pugnale da truppa d’assalto tra i denti?
Ma, per rientrare in argomento, dopo i disastri che avete provocato, destabilizzando buona parte del pianeta, vi sareste mai sognati di rientrare in quel Palazzo dell’ONU, che appena qualche mese fa avete tentato di demolire, per chiederne un aiuto concreto in uomini e soldi, con la pretesa che uomini e soldi siate voi ad amministrarli?
Ebbene, accade anche questo e non è affatto detto che ancora una volta l’ONU non abbassi la testa.

Antonio Cardella