rivista anarchica
anno 34 n. 297
marzo 2004


scienza e società

Una scienza inutile
di Francesco Robustelli

 

Il rapporto fra scienza e società è gestito dai potenti. Gli scienziati dovrebbero organizzarsi e mobilitarsi per una utilizzazione sociale dei risultati della ricerca scientifica.

Uno dei miti della nostra cultura è costituito dall’idea che le scienza è al servizio dell’umanità. Come molti miti ha un effetto tranquillizzante sulla coscienza della gente. Su quella degli scienziati, i quali pensano con soddisfazione di svolgere un lavoro importante. Su quella di tutti gli altri, i quali guardano con fiducia alla scienza come a una madre sollecita la cui unica ragion d’essere è quella di risolvere i loro problemi ed eliminare le loro sofferenze.
Ma, appunto, si tratta solo di un mito.
Innanzitutto va precisato che, da un punto di vista sociale, l’umanità è un’astrazione. Nella realtà esistono piccoli gruppi di esseri umani che detengono il potere e sterminate moltitudini che lo subiscono. E questo avviene nelle dittature come nelle cosiddette democrazie. Nei due casi cambiano solo la misura e il modo in cui il potere viene esercitato.
Dire che esistono piccoli gruppi che detengono il potere e sterminate moltitudini che lo subiscono è ovviamente una semplificazione che mi permette di non dilungarmi su un argomento che non intendo trattare in questo articolo. Di fatto le società umane sono sistemi di potere che si conservano soprattutto per mezzo di ideologie che legittimano il potere e insegnano alla gente ad accettarlo. Nella misura in cui un sistema di potere diventa un modello di vita le moltitudini che subiscono il potere sono costituite da individui che a loro volta esercitano quel poco di potere che hanno su altri individui che hanno ancora meno potere di loro. La quantità di potere posseduta da queste moltitudini è irrilevante sul piano globale in rapporto alla quantità di potere posseduta da quei pochi che realmente controllano gli aspetti fondamentali della società, ma è tuttavia sufficiente a permettere a ciascuno di controllare parzialmente la vita delle persone che hanno meno potere di lui ed eventualmente di produrre la loro sofferenza. In definitiva, nessuno è completamente privo di potere. Anche un barbone può esercitare il potere su un altro barbone, o magari su un cane.

La scienza è un’astrazione

Quindi va precisato che anche la scienza, da un punto di vista sociale, è un’astrazione. Di fatto esistono tre scienze.
C’è una prima scienza, che promuove gli interessi dei gruppi che detengono il potere politico o economico (1). La sua utilizzazione è sempre pronta e completa.
C’è una seconda scienza, che promuove gli interessi dell’uomo della strada senza interferire con gli interessi dei gruppi che detengono il potere. Anche questa seconda scienza viene utilizzata, sebbene non con la prontezza e la completezza della prima, perché nelle società umane gli interessi dell’uomo della strada non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli dei gruppi che detengono il potere.
Poi c’è una terza scienza, che promuove gli interessi dell’uomo della strada e interferisce con gli interessi dei gruppi che detengono il potere. Questa scienza non viene utilizzata, o viene utilizzata solo in minima parte. È sostanzialmente una scienza inutile.
Due semplici esempi per chiarire questo punto.
Già da molto la scienza ha individuato i danni per la salute umana prodotti dai gas di scarico delle automobili. Quello alla salute, d’altronde, è considerato un diritto fondamentale del cittadino nelle costituzioni dei vari stati. Ma l’industria automobilistica e quella petrolifera non sono disposte a diminuire i loro guadagni. E le nostre città continuano ad essere enormi camere a gas.
Anche il campo della pubblicità commerciale è particolarmente significativo. Sappiamo come educare un bambino in modo che diventi un adulto razionale, maturo, responsabile. Sappiamo in quale ambiente sia sociale che fisico sarebbe opportuno che un bambino sviluppasse la sua personalità. Ma poi, di fatto, lo sviluppo della sua personalità è molto più influenzato dalla pubblicità che dalla psicologia. E scopo della pubblicità è quello di fare di un bambino un consumatore ideale.
La convinzione di molti scienziati che essi devono solo accumulare conoscenze mentre la loro applicazione non li riguarda è una convinzione sbagliata. Nel concetto di scienza deve essere compresa anche l’idea della sua utilizzazione.
La nostra cultura ha portato ad una estrema frammentazione dei ruoli, molto funzionale agli interessi di chi detiene il potere. Come conseguenza di una divisione del lavoro in parte imposta da motivi concreti inerenti alla natura del lavoro stesso ma in parte anche maggiore imposta da esigenze ideologiche, quasi tutti gli individui, e quindi anche gli scienziati, risultano incompleti, mutilati, in quanto hanno perso dei ruoli che nessun essere umano può perdere senza cessare di essere un vero essere umano, libero e responsabile, diventando un semplice elemento di un immenso ingranaggio che lo trascende e lo schiaccia. In particolare ogni essere umano, qualunque sia il suo specifico lavoro, non può rinunciare al ruolo di membro attivo della società e ai doveri e alle responsabilità che questo ruolo comporta. In altre parole, in una vera democrazia nessuna categoria professionale può sostenere di non avere anche un compito politico.
Naturalmente il potere non vuole essere infastidito dagli scienziati e non incoraggia quindi il loro impegno sociale. Spesso uno scienziato che ha un impegno sociale viene considerato poco serio o dispersivo o esaltato. Spesso si dà per acquisito che l’impegno sociale tolga precisione e profondità alle sue ricerche: lo scienziato ideale è quello che si occupa solo delle sue ricerche.

Rinviare le soluzioni dei problemi

Il potere usa anche un altro stratagemma per neutralizzare l’azione sociale della scienza. Capita spesso che, quando una soluzione scientifica già disponibile deve essere applicata ad un problema sociale, il potere suggerisce automaticamente di «fare una ricerca» per chiarire meglio il problema. La ricerca viene così utilizzata come mezzo per rinviare la soluzione del problema (e si trovano sempre, naturalmente, scienziati compiacenti che preferiscono svolgere ricerche e pubblicare articoli per fare carriera piuttosto che influire positivamente sulla realtà sociale). Nella migliore delle ipotesi, comunque, questa è un’autentica presa in giro degli scienziati da parte del potere. Nel contesto di un’ideologia che fra le sue principali mistificazioni annovera l’ideale della conoscenza della realtà e perciò finge di attribuire alla scienza un ruolo molto importante nella vita dell’umanità il potere inganna astutamente gli scienziati neutralizzandone l’azione sociale. Fermo restando che indubbiamente le conoscenze scientifiche non sono mai definitive resta il fatto che molti aspetti della realtà sono già sufficientemente conosciuti per poter intervenire subito, senza aspettare i risultati di ulteriori ricerche.
L’albero di trasmissione fra scienza e società è dunque in mano a coloro che detengono il potere e viene attivato solo quando il suo funzionamento non danneggia i loro interessi. Questa situazione è inaccettabile e gli scienziati, per le loro competenze, sono i più adatti a modificarla. Essi dovrebbero organizzarsi e mobilitarsi in tutto il mondo, e svolgere un’azione comune, articolata, per una sistematica utilizzazione sociale dei risultati della ricerca scientifica.
Mi rendo perfettamente conto che la mia tesi non è nuova. È stata sostenuta innumerevoli volte nella seconda metà del secolo scorso, ma negli ultimi anni sembra essere stata dimenticata.
D’altronde, quando questa tesi era diffusa, la situazione dell’umanità non era così problematica come oggi. Gli incubi della guerra nucleare e della catastrofe ecologica sono più che mai attuali. Abbiamo pochi spazi disponibili in cui muoverci. Utilizziamoli. Viviamo in un periodo di confusione mentale, di scoraggiamento, di disimpegno, forse di disperazione. Di solito questo tipo di periodo viene definito «di transizione», poiché è storicamente dimostrato che è un periodo di passaggio verso nuovi valori, verso nuovi modelli di vita. In realtà, se non stiamo attenti, questo potrebbe essere non «un periodo di transizione» ma «l’ultimo periodo». Non credo di esagerare sostenendo che mai l’umanità si è trovata in circostanze così tragiche.

Francesco Robustelli
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione -
Consiglio Nazionale delle Ricerche - Roma

1. In realtà il potere è potere e basta. Gli aggettivi non gli aggiungono nulla. O forse si potrebbe dire che il potere è sempre, direttamente o indirettamente, «politico». Infatti il potere economico, e anche quello religioso, si esercitano condizionando quello politico.