rivista anarchica
anno 34 n. 301
estate 2004


intercultura

Parata Partôt
di Elisa Fontana

 

Un esempio di cultura partecipativa.

 

Succede ogni primavera a Bologna dal 2002, se ne parla per la strada e in cattedra universitaria, si organizza banchettando e si finanzia festeggiando, attraversa le strade della città petroniana con musiche, balli e carri rigorosamente senza motore coinvolgendo uomini, donne, anziani e bambini: è una vera e propria parata, come quelle del circo di una volta, ma organizzata da tutti e per tutti. Parata Partôt, campanilisticamente chiamata alla maniera bolognese, ma che dell’appartenenza geografica non si preoccupa. In quel Partôt (in dialetto bolognese: per tutti), infatti, si annida una riflessione che attraversa gli oceani delle ideologie e sbarca in quella terra di nessuno che è il concetto di democrazia.
Di diritto protagonista indiscusso del corollario di valori che costituiscono la forma di governo democratica, il concetto di partecipazione oggi si ritrova costretto a aggrapparsi con le unghie alla propria poltrona, a seguito dei tentativi despodestanti di certe forme di rappresentanza che minano alla base proprio quel Kratos che, oggi solo olograficamente, è dato in mano al Demos. La tripartizione delle forme di governo possibili, di aristotelica memoria, vede oggi sbiadire i suoi confini, mentre meccanismi elettorali sottoscriventi deleghe di potere generano una bandiera democratica innalzata sul mondo intero, talmente in alto da far sfuggire alla vista il tarlo che ne corrode la fibra: la mancanza di partecipazione.
Cercare forme di partecipazione oggi può essere un interessante gioco multidisciplinare, al fine di individuare reti di soggetti che si mettono in contatto per raggiungere uno scopo. Si intersecano il regno delle comunicazioni di massa, con quello del volontariato, l’universo dello sport, la babele dei movimenti politici, passando attraverso diverse modalità: un sms per sottoscrivere una donazione alla volta di una calamità naturale, o per esprimere la propria preferenza nei confronti di inquilini del Grande Fratello, la divisione in turni di assistenza civile, il rituale raduno all’interno di un campo sportivo, una rete di assemblee e di manifestazioni volte a far sentire la propria voce in termini di diritti umani.
Guardando alla cultura è necessario risalire al 450 a.C. per trovare i teatri cittadini occupati da 17.000 persone, di tutti i ceti sociali, compresi gli schiavi, pubblico attivo e pronto a decretare in modo diretto, con fischi e applausi, il diritto di un attore o di un autore a occupare la skené. Si narra che Eschilo, per sfuggire alla furia degli spettatori dovette rifugiarsi presso l’altare.
Un teatro che ben rispecchiava il concetto di democrazia: un rito sociale in cui ognuno partecipava attivamente all’approvazione o al rifiuto di un’istituzione pubblica quale era il teatro allora: bene comune, per tutti, Partôt.
Un’idea ingenua: fare una parata cittadina, qualcosa di bello in cui l’artista diventa abitante e l’abitante diventa artista. Questa la missione della Parata Partôt bolognese, nelle parole di Francesco Volta e Francis Rigal, ideatori e organizzatori dell’evento.

Cultura meticcia

Com’è nata l’idea?

Francesco – L’idea è quella di riprendere il concetto della parata interculturale, sul modello della Zinneke Parade di Bruxelles, che dal 2000 riempie biennalmente la città, preferendo i quartieri abitati da stranieri in linea con il significato della parola Zinneke, che letteralmente si traduce, in un modo provocatoriamente ironico, bastardo: in realtà un inno alla cultura meticcia.
Francis – Loro lavorano molto con gli immigrati. Con l’intento di mostrare alla città che anche nei quartieri sfavoriti si è capaci di fare delle cose.
Francesco – Certo, Bologna ha tutt’altra interculturalità rispetto a Bruxelles, ma è una città in cui ci sono tanti canali paralleli che si incontrano poco, studenti, anziani, bambini… l’idea della parata è di far brillare le diversità. L’organizzazione è stata subito spontanea e veloce: si sono contattate diverse realtà, associazioni, gruppi di artisti. In poco tempo si è sparsa la voce.
Nessuno all’inizio sapeva bene cosa sarebbe successo perché era la prima volta che a Bologna si organizzava un evento del genere, indipendente da qualsiasi patrocinio e finanziamento comunale.
Francis – Non è nata dietro un discorso filosofico, ideologico. Solo per il piacere di fare una parata. Abbiamo coinvolto un po’ di gente, qua e là.

Come si svolge?

Francesco – È una parata che percorre il centro di Bologna in un pomeriggio di primavera, con musica rigorosamente acustica e carri senza motore.
La sfilata rappresenta l’esito di tanti laboratori realizzati due mesi prima dell’evento, in cui artisti, professionisti e non, mettono a disposizione i loro saperi gratuitamente a chiunque voglia imparare qualcosa di nuovo.
Francis – La cosa più difficile e più importante è proporre una domanda: nelle manifestazioni spesso si vedono tante risposte: “casa per tutti”, “basta pagare tasse”. Ciò tende, a mio avviso, a separare le reazioni, limitando la scelta a due possibilità: sono d’accordo oppure no. In Partôt Parata, invece, si cerca di fare la domanda: c’è un problema di casa? Esponiamo, mettiamo in figura quel problema, tramite la musica e le arti, attraverso la creatività, nel modo di esprimere qualcosa e nella modalità di partecipare.

Gli Unni a Bologna

Come ha reagito la gente durante la prima parata?

Francesco – Sembravamo gli Unni alla conquista di Bologna. Monia Guarino, per la sua tesi di laurea in architettura partecipata, durante la parata ha fatto delle interviste chiedendo alle persone che cosa ne pensavano di ciò che stava succedendo.
A parte il 6% degli intervistati scocciati del fatto che non arrivasse l’autobus, erano tutti molto contenti e lo diventavano tutti molto di più quando venivano a conoscenza del fatto che la parata era organizzata dai cittadini stessi, senza l’intervento del comune.

Qual è il vostro rapporto con le istituzioni?

Francesco – Non ci siamo mai posti in netto contrasto con le istituzioni, anzi. All’inizio si è chiesto un finanziamento minimo per l’organizzazione al comune, alla provincia. Ma non abbiamo ottenuto nulla e questo non ci ha scoraggiato. Prezioso invece è stato l’aiuto dei quartieri che hanno fornito materiali e luoghi. Il rapporto della parata con le istituzioni deve essere gestito in modo intelligente: si tratta di intersezioni economiche, istituzionali e di potere. È importante che la parata rimanga di tutti, che non diventi la parata del comune di Bologna perché l’ha fatta la gente e tale deve rimanere. Essa si svolge in modo aperto, coinvolgendo un sacco di luoghi della città, Xm24, Villa Serena, Piazza Grande, Scuola di Musica Ivan Illich. Si tratta di luoghi estremamente diversi tra di loro: dal centro sociale occupato alla sede di quartiere fino alla grande cooperativa. L’associazione culturale Oltre fornisce le attrezzature logistiche: un ufficio, il telefono, per il resto tutto viene autofinanziato attraverso feste.
Francis – Per ora, infatti, sul volantino non compare nessun logo.
Francesco – Ci sono mille modi per aiutare, per sovvenzionare un evento e quello economico non è necessariamente il più fertile. Si può aiutare la parata offrendo degli spazi, degli strumenti, del materiale.

Potrà in futuro la parata creare del reddito?

Francesco – Questo è un nodo molto complicato. Secondo me no. Diventare reddito di uno, di molti, di pochi, non è nell’anima del progetto. Il progetto si è configurato nell’ottica della cittadinanza attiva e alla fine è riuscita a creare la propria energia dal fatto che nasceva dal basso. Se tanta gente ha voglia di fare questa cosa significa che ha voglia di partecipare e di essere protagonista in qualche modo. La parata permette agli artisti di essere protagonisti di un percorso culturale. Non c’è nessuno che fa la regia dall’alto. Potrebbe essere un esempio di cultura partecipativa.
Francis – È comunque un processo lento: solo quest’anno si comincia a vedere tra i partecipanti ai laboratori, qualche madre di famiglia, qualche persona insomma che non sia il solito studente. La cosa importante è l’energia che si crea tra la gente che partecipa, tutta gente che è disponibile a lavorare, che offre il proprio lavoro gratuitamente, in parte professionistico, in parte no, comunque prezioso. Quest’anno sono stati attivati 26 laboratori: musica, teatro, danza… il motivo della partecipazione di questi artisti alla parata è duplice: sia un interesse di crescita professionale personale, sia un desiderio di completa adesione all’evento. Le persone che tengono i laboratori operano solitamente a Bologna. Si tratta di professionalità molto diverse che si mettono in gioco la propria arte nel momento dell’insegnamento: per loro è una buona occasione di fare esperienza.

Intercultura e cuscus

Il 29 marzo avete organizzato, all’università di Bologna, un Simposio a cui avete invitato ricercatori universitari e studiosi: qual è la necessità di questo approfondimento teorico?

Francesco – Abbiamo voluto portare all’interno dell’università un apparato teorico che comunque ci è sempre appartenuto Ci si è sempre domandati che cosa significa fare intercultura a Bologna. Spesso intercultura viene considerato sinonimo di etnico, quello di chi mangia il cuscus. No, intercultura significa un’altra cosa: abitanti diversi che si incontrano. La città è un meraviglioso coacervo di differenze. Quello della cittadinanza attiva, della partecipazione è un discorso che potrebbe essere esteso a un molte realtà. La realizzazione della Parata Partôt è molto legata a una riflessione sullo spazio cittadino
Francis – Durante il simposio è stato detto: parate di tutto il mondo untevi! È un modo scherzoso per promettersi a vicenda uno scambio in laboratori, di idee.

Per saperne di più: www.fest-festival.net

Elisa Fontana
Elisa451@virgilio.it