rivista anarchica
anno 34 n. 302
ottobre 2004


tortura

... reiterare è diabolico!
di Francesca “Dada” Knorr

 

La mutazione del concetto di “diritti” in tempi di “guerra al terrorismo”.

 

Guinzagli americani
Di guinzagli e collari se ne vedono tanti in giro per il mondo, ne vedevamo anche nei diari Internet dei marines, dove foto porno e maiali anti-musulmano abbondavano.
Il morale della truppa si tiene alto anche con lazzi, frizzi e cazzi che incitino, eccitino, e sfregino i conquistati.
E la riconquista economica e politica dell’Iraq da parte degli Stati Uniti doveva implicare anche il soggiogamento simbolico e psicologico dei “nemici”, era chiaro: in questo triste gioco sessualità ed aggressività sono sempre legate. Ma noi attoniti-analitici spettatori eravamo distratti dall’omicidio, dalla morte che appariva onnipresente e normale nelle città distrutte, tra le sabbie, nelle rappresaglie. Abbiamo accantonato i pensieri angoscianti e inaccettabili delle donne stuprate, dei prigionieri torturati, di ciò che succede al buio o tra le mura delle prigioni, anche se la mente ogni tanto, in questa hit parade del male maggiore, ci presentava inquietanti flash dei prigionieri delle truppe USA col sacco nero in testa, o tornavano i ricordi dei racconti di violenza in Somalia, in Jugoslavia, ovunque un esercito sia stato mai mandato. Le immagini affastellate nella nostra mente serbavano sotto due o tre quintali di forbiti reportage dalle azioni di guerra, la certezza di queste “altre” azioni.
Poi un ingranaggio è scattato, e le immagini di vittime di tortura sono saltate fuori sgargianti dal cappello a cilindro dei mass media.

Il braccio de-mente della legge

Immagini frutto della demenza, della abitudine quotidiana ad armi, guinzagli, soprusi e collari di chi certo non poteva prevedere che fosse meglio non concedersi quei click. Altri torturatori più professionali, compresi i “nostri” a Bolzaneto, le macchine fotografiche (le nostre) le butterebbero nel cesso. Ma ora nella catena alimentare della plutocrazia servono anche questi soldati in affitto, segno di una crisi evidente: da un lato simbolo di un apparato che non riesce più a iper-finanziarsi da sé, dall’altro segnale di un aumento vertiginoso dell’uso di mercenari in guerra e nel controllo sociale.
E questi giovani dementi dallo scatto facile sarebbero i “difensori della democrazia, i paladini, gli alleati”. Beh, ovviamente ci dicono che essi sono solo il braccio, e non la mente, e che queste morti accidentali, queste violenze, sono solo un caso nel mare nostrano della bontà e dedizione dei “nostri” militari e soprattutto dei loro mandanti. Ma di nuovo ci tornano alla mente i racconti delle donne violentate e molestate dai “nostri” militari in Somalia... e le immagini dei sacchi neri in testa ai prigionieri.
Il nostro antimilitarismo è in questo frangente la necessaria critica radicale alle istituzioni ed ai mezzi militari, in ogni caso. Contro le ambiguità di coloro che vorrebbero giustificare una morte e biasimarne un’altra, contro le ipocrisie di sistemi democratici che si avvalgono dell’uso della Legge del più forte, contro la pratica devastante della Vittoria, del raggiungimento della Pace attraverso la guerra, affermiamo che il militare è la struttura che pianifica sempre un’impunita pratica criminale. Rigettiamo le strategie e l’incoerenza di coloro che, dall’interno di gruppi, come la Chiesa cattolica, che vivono dello sfruttamento delle economie altrui, condannano le bestialità e le guerre con parole funzionali allo spettacolo dei mass media, mentre benedicono le parate militari.

“Riaggiorna il sistema”

Dunque, chi succhia dagli USA il nettare obnubilante di Hollywood, coi suoi volti liftati e gli improbabili conquistatori di Troy... è costretto anche a cuccarsi la faccia della soldatessa Lynndie su tutti gli schermi. Del resto, nel mondo porno le “padrone” che mettono al guinzaglio sono molto richieste, anche in abiti maschili. Preziosa in questo caso è giunta, unica tra le tante, l’analisi di due compagne di “Alternativa Libertaria” che hanno fatto notare come la messa in orbita di Lynndie sia stata molto utile, con lo scandalo dell’inedita torturatrice-donna, a coprire tutte le malefatte dei colleghi (1). La lettura femminista è utile a non farsi fregare come allodole.
Inoltre, che dire della tortura inflitta a noi, donne e uomini, dalla visione di una donna soldato/torturatrice? Esposizione sadica di un grande risultato da parte del sistema militare americano: “ecco, a voi, femministe, pacifisti, antimilitaristi, non-violenti, ecco quali armi riusciamo anche a produrre: vere ragazzine torturatrici, alla faccia degli stereotipi sessuali, ecco un nuovo genere di donna! Per di più incinta.” Che grande omaggio a tutti coloro che, nel corso dei secoli, hanno fantasticato di donne sadiche, ovviamente a loro sottomesse e loro complici. E che inedita martellante tortura per tutti noi.
C’è anche chi, come Bia Sarasini (2), ha decretato di conseguenza la fine dell’essenzialismo, leggi di una teoria femminista (ora demodé, appunto) che suppone una basale differenza tra i sessi che impedirebbe alle donne, in definitiva, di poter assumere ruoli maschili. È forse un altro effetto perverso della tortura, che induce la vittima a credere nella definitiva sconfitta e a perdere ogni speranza, a volte anche a passare dalla parte del... nemico.
Il bombardamento mediatico vuole che noi si riaggiorni il sistema: noi donne siamo arruolabili. Siamo tutti uguali – tutti soldati. noi solo emule di loro maschi “tosti”, e niente di più. Lynndie è come una piccola crudele eroina. Perché odiarla se non può essere buona come Legs Weaver?

Legs Weaver, personaggio dei fumetti della Sergio Bonelli Editore. disegnata da Luca Enoch

Tele-visione per noi dei dell’Olimpo

Ma che diritto abbiamo noi di sentenziare, noi assisi sul nostro tronetto mediatico, che vagliamo con sufficienza il mare di sollecitazioni video e di informazioni che passano oltre il... filtro? Non possiamo giudicare ciò che vediamo se siamo separati dal tempo e dal contesto. Non conosciamo i reali effetti di quello scempio se non per sentito dire. Possiamo solo immaginare. Ci affidiamo, certo, non solo alla nostra coscienza ma anche agli strumenti di analisi politica, che ridicoli: gareggiamo in sapienza a seconda dei dati che riusciamo a disseppellire dalla massa di informazioni. Ed in questo esercizio indolore, che ci vede alle prese con la globalizzazione, le scelte politiche internazionali, le alternative, anche noi scordiamo che stiamo trattando di persone reali, di destini umani, di individui. Alcuni, nel loro delirio d’onnipotenza, giungono a credersi dei dell’Olimpo, ai quali bastava una parola per incidere sul... destino. E scordano che sono ben altri gli “dei”, coloro che hanno accesso a tutte le informazioni, che possono consultare un breve rapporto in dieci cartelle delle nostre vite, ed usarlo per com-muoverci.

La giustizia è una dea, bendata

Ma è proprio alla parola che dovremmo affidarci, invece, per salvare dall’insulto e dall’abuso le vittime di violenza. Per tutelare dalle violenze compiute in nome della “informazione”. Chi ha fornito il consenso per l’uso della propria immagine di prigioniero con la testa sotto uno scarpone? Quale bambino moribondo ha fornito il consenso per l’uso della sua immagine nei pieghevoli di una chiesa, o per la copertina di un giornale? Quale albanese affogata nell’italico mare aveva firmato un contratto per vendere ad una rivista le foto dei suoi cari rinvenute nella sua borsa? Frugando con l’obiettivo nelle viscere, tra le cose di chi crepa, è senza con-senso che la stampa e la tv ci propongono in continuazione immagini di “denuncia” che non sono tali, perché la didascalia dice cose che già sappiamo. E perché l’immagine non è stata pagata al soggetto, ma al fotografo, ed il soggetto è “cosa”, oggetto.
Meglio raccontare, meglio descrivere, meglio la parola.
Meglio iniziare da subito la disintossicazione dal potere della tele-visione.
Meglio finirla con quel detto, come diceva? Dopo l’abuso, la derisione. Dopo l’urlo, lo sghignazzo. “Dopo il danno, la beffa”. Meglio smetterla con quel “pudore” descritto così bene da Vauro: “nelle foto delle torture i genitali sono stati coperti” “così possono guardarle anche i bambini!”.

Una tantum per gli oppositori

È appunto in “cose”, oggetti, corpi da abusare, che trasforma la tortura. E proprio la definizione di “tortura” ha causato un problema al governo Berlusconi, a causa della votazione di un emendamento alla proposta di introduzione del reato di tortura nel codice penale.
È certo che il governo ha deciso di contraddire decisioni già prese in Commissione, inserendo invece nell’articolo una parola chiave (“reiterate”) in modo da non permettere la punibilità di pubblici ufficiali accusati di aver minacciato durante arresti ed interrogatori. Introducendo il termine “reiterate”, infatti, si permette l’esercizio della minaccia grave. Basterà dire che si era fatto solo una volta, ovviamente per sbaglio. Del resto, per esercitare pressioni psicologiche e tortura, non è normale che più persone si avvicendino attorno al prigioniero? (3)
Della Seduta alla Camera dei deputati del 22 aprile 2004, notiamo la assoluta assenza di motivazioni chiare da parte dell’on. della Lega, Carolina Lussana, incaricata di relazionare sui motivi di questa variazione all’articolo da introdurre nel codice penale sulle torture. La Lussana giustifica l’introduzione della parola “reiterate” col fatto che altrimenti l’articolo potrebbe dare adito a “interpretazioni che potrebbero creare problemi”. Di qui l’intervento di vari esponenti della sinistra parlamentare che insistono non solo sul fatto che tale modifica non era stata prevista durante gli altri incontri, ma introdotta a sorpresa, ... le proteste di Anna Finocchiaro, Paolo Cento, G. Russo Spena ed altri si susseguono sino a sottolineare con forza la certezza, più che il sospetto, che la maggioranza stia proteggendo la propria intenzione di usare senza problemi la minaccia e la violenza sui soggetti politici e sociali che ostacolino i progetti del governo. Ciò causa una baraonda tra i seggi e le grida, non molto argomentate, dei leghisti che urlano “siete voi i torturatori” (?) ai banchi della sinistra, forse riferendosi come al solito al passato sovietico. È interessante notare come in questo caso si sfoghi nelle aule del Parlamento la rabbia e l’incredulità di quei rappresentanti delle sinistra parlamentare ancora forniti di ideali e non inclini a dover mettere in discussione a suon di voti anche i più elementari diritti della persona.

Un sorriso che ringhia

Così è la faccia della democrazia attuale, il sorriso pronto a farsi fotografare. Un sorriso atavico, con denti sui quali sono già state sicuramente applicate le white stripes della Colgate, ma un sorriso che ringhia: se sei un cliente, un utente, un contribuente, un residente... può sembrarti che sia solo un sorriso. Se non fai parte dell’insieme dei “rispettabili”, dovrai stare più attento. Il ringhio può sempre diventare un morso, così come la Festa della Repubblica un rombo di frecce tricolori, così come Roma diviene una città assediata per l’arrivo del vampiro-bush col suo pipistrello, a mezzanotte, mentre il sorriso del premier fa capolino da tutti i muri e promette pace e prosperità.
La faccia dei diritti civili violati è quella dei diritti della persona violati, ma non per chi non considera tutte le persone “cives”, e parteggia per la definitiva mutazione dei “diritti” in norme pattuite secondo contratto seguendo gli interessi delle multinazionali e delle lobby (4). Chi decide attualmente in Parlamento, è gente disposta a svendere il concetto stesso di tortura solo per proteggere il braccio violento della legge da inopportuni fastidi legali... Queste persone sono il frutto di una Italia opportunista ed ignorante, che ancora coltiva le parole d’ordine del fascismo, sempre utili a chi ha paura di perdere i propri privilegi e cerca masse da sfruttare. In questo panorama la presenza malvagia dei leghisti cementa con la xenofobia l’opinione della liceità della tortura: a persone viste come minacciose e aliene non è concessa protezione dalla tortura.
Tanto più noi donne dobbiamo darci da fare: carne da macello in tutte le alleanze politiche e in tutte guerre, sempre le prime ad essere punite, accusate. Ciampi, in pompa magna per l’otto marzo, ci ha invitato a far figli per fare uscire il Paese dalla congiuntura economica (?!). Impegniamoci invece ad essere amanti, compagne, figlie, sorelle, amiche, streghe, ribelli, madri cospiratrici contro la mutazione in Barbie-Lynndie.

Francesca “Dada” Knorr

Note

1. “... Invece di mandare in tutto il mondo lo scoop di alcune foto in cui militari americani stuprano ragazzine irachene, cosa che sicuramente è avvenuta e sta avvenendo, come in tutte le guerre, e suscitare la legittima indignazione, si sono scelte le fotografie delle violenze a detenuti maschi, con una particolare insistenza su quella in cui una donna soldato trascina un prigioniero steso a terra, tenendolo con un guinzaglio a collo. (...)”. (Alternativa Libertaria, foglio telematico. “Torture”, di Andreani/Didero).
2. Se il generale è una cattiva ragazza. 4 maggio 2004. Donnealtri.it.
Una raccolta di articoli su questo tema anche sul sito de “Il Paese delle donne” www.womenews.net.
3. Articolo unico del testo unificato della commissione

Art. 1.
1.
Dopo l’articolo 613 del codice penale è inserito il seguente: «Art. 613-bis (Delitto di tortura). Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, con violenze o minacce gravi, infligge ad una persona sottoposta alla sua autorità sofferenze fisiche o mentali allo scopo di ottenere informazioni o confessioni da essa o da una terza persona su un atto che essa stessa o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso ovvero allo scopo di punire una persona per gli atti dalla stessa compiuti o che la medesima è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale, è punito con la reclusione da uno a dieci anni. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; è raddoppiata se ne deriva la morte».
2.
Non può essere assicurata l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura da una autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale.
3.
Nei casi di cui al comma 2, lo straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia.

Proposte emendative riferite all’articolo unico del testo unificato (ne riportiamo solo alcune):
Art. 1.

Al comma 1, capoverso Art. 613-bis, primo comma, premettere le parole: Il delitto di tortura è punito con la reclusione da sei mesi a dieci anni. Commette il delitto di tortura.

Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere le parole: , è punito con la reclusione da uno a dieci anni.
1. 100. La Commissione.
(Approvato)

Al comma 1, capoverso Art. 613-bis, primo comma, sostituire le parole: violenze o minacce gravi con la seguente: torture.
1. 5. Lussana, Guido Giuseppe Rossi.

Al comma 1, capoverso Art. 613-bis, primo comma, sopprimere la parola: gravi.

Conseguentemente, al medesimo comma, dopo le parole: sottoposta alla sua autorità aggiungere la seguente: gravi.
1. 101. La Commissione.
(Approvato)

Al comma 1, capoverso Art. 613-bis, primo comma, dopo la parola: minacce aggiungere la seguente: reiterate.
1. 4. Lussana, Guido Giuseppe Rossi.
(Testo corretto nel corso della seduta)
(Approvato)

4. Giovanni Cimbalo, Il diritto che fu, da "Antipodi", n.2, 2004. “Gli attori stessi del processo giuridico, le modalità di produzione e di funzionamento delle norme si trasformano profondamente, sotto l’influenza della logica della negoziazione propria della ratio economica che si impone su quella dei diritti, persino in campo penale e costituzionale. Ciò non può avvenire che a discapito della valenza normativa del diritto, che viene costantemente indebolita, così come vengono profondamente cambiate le tecniche applicative. ciò rende il diritto ancora più permeabile a realtà sociali esterne, ma si tratta di realtà forti e solo di quelle”.