rivista anarchica
anno 34 n. 302
ottobre 2004


“categorie”

Sistematica e potere
di Marco Romelli

 

Anarchia & transgenderismo: in lotta su nuovi fronti.

 

Esistono svariate forme di esercizio del potere, legate ad altrettante pratiche di violenza necessarie all’imposizione del potere stesso su insiemi più o meno estesi di individui.
Tra queste le più evidenti e più frequentemente discusse sono quelle che comportano la sottomissione di grandi masse al volere di pochi, come ad esempio le guerre o le scelte economiche di un governo.
Ma esistono anche modi molto più subdoli attraverso cui l’uomo può limitare la propria e l’altrui libertà. Tra questi uno dei più radicati è l’imposizione di definizioni, il costante tentativo di collocare ogni individualità con la quale si viene a contatto all’interno di gruppi identificati con modelli di comportamento e linguaggi ben definiti, differenziati tra loro attraverso caratteristiche specifiche.
La tendenza a dividere l’umanità in categorie predefinite deriva direttamente dalla propensione umana verso la sistematica. È il risultato della necessità di trovare linguaggi semplificati per la comunicazione, per la comprensione del diverso. Ma se da un lato una certa classificazione è indispensabile per garantirsi la trasmissione della conoscenza, dall’altro un eccesso di rigidità all’interno degli schemi creati si rivela controproducente rispetto allo scopo iniziale. Classificare, infatti, significa anche semplificare: l’infinita complessità di ogni persona va ridotta a pochi tratti ritenuti essenziali per garantirne l’appartenenza al gruppo da questi caratterizzato. E chiaramente semplificando si rischia di perdere l’essenza stessa di ciò che si tenta di descrivere, la ricchezza della complessità inclassificabile.
Inoltre da sempre alla necessità di identificare e identificarsi in gruppi e categorie rigide consegue la repressione di chi sovverte le aspettative altrui rispetto allo stereotipo del gruppo assegnatogli o di chi semplicemente non si ritrova nella definizione che gli altri trovano opportuno applicargli. Ed è proprio in questo caso che la naturale ed umana tendenza alla schematizzazione si trasforma in esercizio di potere. Le categorie da forme di linguaggio si trasformano in prigioni dove rinchiudere o rinchiudersi per paura dell’altrui o della propria spesso contraddittoria essenza, o ancora per garantire la sopravvivenza di un gruppo chiaramente definito contro tutte le infinite variabili che rischiano di minarne la rigidità dall’interno.
L’imposizione delle categorie è una forma particolarmente subdola di potere, difficilmente identificabile poiché acquisita automaticamente e riprodotta involontariamente da ogni individuo. Sembra innocua perché legittimata dall’abitudine e dall’apparente universalità di questo meccanismo. Le stesse categorie sono delimitate e legittimate da fattori quali la natura, l’origine antica di caratteristiche o comportamenti, la tradizione o la cultura di un popolo. Ma l’assunzione passiva di concetti, il rifiuto di un approccio critico ad un dato acquisito come valido porta inevitabilmente all’assolutizzazione dello stesso e alla repressione di ogni forma di dissidenza.

Imposizione di genere

L’identità di ogni persona è nel suo insieme oggetto di svariati tentativi da parte dell’intera società ma anche dello stesso soggetto di definire, collocare, semplificare ed etichettare in base a standard socialmente accettati come validi e universali. Uno dei caratteri dell’identità maggiormente esposti alle pressioni normalizzanti è il genere sessuale.
Partendo dalle differenze biologiche che determinano la funzione riproduttiva degli individui le varie culture hanno prodotto, attraverso i secoli, infiniti codici di comportamento mirati ad omogeneizzare e semplificare al massimo gli appartenenti ai due soli generi individuati, femminile e maschile. Tali codici però non sono la diretta conseguenza delle caratteristiche fisiche di una persona. La mole di parametri culturali, filosofici e psicologici implicati nella definizione comune di identità di genere è stata ridotta e semplificata sulla base di un banale dato genetico e morfologico: le caratteristiche degli organi genitali. In sostanza, la binarietà sessuale impone un rigido sistema di regole di condotta e limita l’espressione soggettiva semplicemente a seconda che una persona possieda genitali maschili o femminili.
Non ha senso negare che i meccanismi corporei influenzino in un certo modo anche la psiche di un individuo. Ma non ha senso nemmeno affermare che fattori organici abbiano in tutti i casi la priorità nel determinare le caratteristiche interiori, per qualcuno anche immateriali della gente.
Imporre a una persona di assumere modelli di comportamento che non identifica istintivamente come propri è un grave abuso di potere. Comporta la riduzione della ricchezza interiore umana alla forma e alle funzioni del corpo, peraltro ampiamente modulabili.
L’identità di genere viene imposta fin dalla nascita sulla base delle sole caratteristiche fisiche. Se un individuo sente di non appartenere al gruppo in cui è stato inserito può identificarsi con il gruppo opposto oppure restare “fuori dagli schemi” .
Il termine utilizzato per definire chi non si identifica con il genere impostogli è “transgender”, distinto dal termine “transessuale” in quanto comprensivo di una maggiore varietà di sfumature : il transessuale di solito è colui che transita completamente da un sesso all’altro, rientrando alla fine del suo percorso nello schema binario accettato dalla società. Il transgender invece rifiuta questo schema a favore della valorizzazione della sua complessità personale. La categoria transgender quindi include chiunque si discosta in maniera più o meno radicale dallo standard di genere, mentre la definizione di “transessuale” è più specifica.
Le persone transgender dimostrano quanto le categorie “maschile” e “femminile” non siano dati indiscutibili ma piuttosto entità costruite, frutto di una semplificazione arbitraria e ampiamente mutevole. Ma la società è refrattaria ad ogni tentativo di discussione dei suoi assunti. Le categorie sono irrigidite e assolutizzate per renderne più forte l’identità, chiunque tenti di sovvertirne gli stereotipi viene represso in modo più o meno violento.

Diritti da conquistare

Il transgenderismo si inserisce perfettamente nel contesto libertario dell’affermazione dell’individuo contro le aspettative altrui, contro gli standard del potere costituito, contro i limiti che l’individuo stesso per paura o insicurezza può imporre a sé stesso. Chiaramente questo non significa che chi è transgender sia automaticamente orientato verso idee anarchiche. Però è evidente la coerenza della battaglia per il rispetto dei diritti dei transgender all’interno della lotta anarchica per l’autodeterminazione dell’individuo.
Solo pochi decenni fa, in Italia, una persona transessuale poteva essere arrestata e addirittura estromessa dalla sua città. Negli USA, che ora si impongono come modello di civiltà e democrazia, ci sono infinite testimonianze di persone transgender vittime di violenze e umiliazioni inflittegli per paura della carica rivoluzionaria insita nel loro linguaggio espressivo.
Anche oggi, nonostante la situazione sia notevolmente migliorata rispetto al passato, continuano a verificarsi episodi di violenze contro persone transessuali e transgender. Soprattutto quando alla non-conformità di genere si associano l’essere straniero, magari senza permesso di soggiorno.
Inoltre la difformità tra i dati registrati sui documenti e l’aspetto fisico assunto da una persona transgender è all’origine di innumerevoli disagi nel mondo del lavoro, della burocrazia, delle istituzioni e anche della sanità. Per esempio una persona che sceglie di vivere ed esprimersi secondo codici di comportamento ritenuti “maschili” pur essendo classificata come “femmina” troverà ostacoli enormi per inserirsi nel mondo del lavoro. Dovrà inoltre sostenere l’umiliazione di una costante e morbosa curiosità nei suoi confronti a causa della tanto diffusa quanto infondata equazione transgender = “trasgressione sessuale”, conseguenza di tanta falsa informazione diffusa da talk-show e simili sottoprodotti di falsa cultura. Dovrà soprattutto rassegnarsi a presentarsi con un nome proprio che esprime inequivocabilmente l’appartenenza ad un genere o un altro, senza possibilità intermedie ma soprattutto senza la possibilità di cambiarlo scendendo a un compromesso con il femminile o il maschile secondo quale dei due estremi sente più vicino alla sua vera essenza.
L’unica speranza di modificare i propri documenti per avvicinarli alle proprie caratteristiche reali, in Italia, è sottoporsi ad un “iter” medico standardizzato che permette attraverso vari passaggi di transizionare da un sesso all’altro. Questa procedura implica per prima cosa un percorso psicologico atto a diagnosticare la presenza di una discutibilissima “disforia di genere”. Tale definizione corrisponde al presunto disturbo che affligge chi non si sente a suo agio nei ruoli di genere imposti e in molti casi nelle caratteristiche morfologiche legate al sesso del suo corpo. Chiaramente classificare come malati o peggio “pazzi” coloro che si discostano dagli standard è uno dei tanti metodi che un sistema conservatore può adottare per reprimere le spinte al rinnovamento che nascono al suo interno.
Una volta diagnosticata la disforia di genere, comunque, è possibile ottenere l’autorizzazione per assumere ormoni del sesso opposto a quello genetico, ottenendo così vari cambiamenti nell’aspetto del proprio corpo, e successivamente intervenire chirurgicamente asportando le gonadi. Solo così è possibile ottenere la variazione dei propri dati anagrafici: nome e sesso. Non esistono altri percorsi per raggiungere questo obiettivo.

Violazione dei diritti umani

Molte persone transessuali seguono questo iter volontariamente. Ma altrettante preferirebbero scegliere strade alternative, evitando o modificando qualche passaggio. Soprattutto sono molte le persone che rifiutano gli interventi chirurgici ma che si sentono costrette a sottoporvisi per poter regolarizzare i propri documenti. Questo può essere interpretato come una grave violazione dei diritti umani: nessuno può essere costretto a subire alcun tipo di intervento chirurgico contro la sua volontà. Il meccanismo per pervenire alla variazione dei dati anagrafici implica però una subdola violazione di questo diritto, in quanto costringe una persona ad operarsi per poter vivere serenamente in una società dove è necessario essere ben catalogati.
L’unica alternativa per chi non se la sente di affrontare un intervento chirurgico è vivere in uno stato di semi-illegalità, con tutto ciò che comporta.
Per questo da un po’ di anni sono nati e si stanno rafforzando movimenti di persone transessuali e transgender che lottano per affermare i loro diritti e prima ancora per abbattere i pregiudizi che da sempre ne contrastano la libera espressione.
Purtroppo sussistono una serie di divisioni interne tra gli stessi soggetti discriminati, sia all’interno della comunità transgender sia nel confronto con la realtà omosessuale, con cui è opportuno instaurare un rapporto di cooperazione per il raggiungimento dei molti obiettivi comuni.
Nonostante questo negli ultimi anni la situazione sta cambiando, c’è molta più apertura soprattutto nel mondo giovanile. Continuando a lottare sulle tracce di chi ci ha preceduto, denunciando la violenza subita e affermando la propria identità con orgoglio, si potranno ottenere risultati sempre più consistenti su questo ennesimo fronte di battaglia contro l’imposizione dell’uomo sull’uomo.

Marco Romelli