rivista anarchica
anno 36 n. 316
aprile 2006


Europa cristiana

Le radici dell’esclusione
di Carlo Oliva

 

Tanta insistenza sulle radici cristiane dell'Europa nasconde qualcos'altro. Che non ci piace. E non dovrebbe piacere nemmeno alla Chiesa…

 

Ammetterete che è abbastanza strano, da un certo punto di vista, che il primo dei quattro (o cinque) punti su cui il centrodestra, su proposta della Lega, ha ricompattato la propria unità dopo la celebre Crisi della Maglietta Blasfema riguardi la “difesa delle radici cristiane dell'Europa”. È strano perché, pur essendo il problema in sé tutt'altro che irrilevante – basta pensare a quanto stia a cuore al Papa attuale e lo sia stato al suo compianto predecessore – nel sistema ideologico che esibiscono i partiti della sedicente Casa della Libertà non c'è poi molto che giustifichi un interesse particolare per le problematiche religiose. È vero che in quella coalizione è collocato un partito che rivendica l'eredità della Democrazia Cristiana, ma nell'altra ce ne sono due e, comunque, il liberalismo a cui fanno tanto spesso riferimento Berlusconi e i suoi dovrebbe avere, in materia, un atteggiamento neutrale, tanto è vero che è proprio in nome dei principi liberali che non si è voluto, a suo tempo, inserire il richiamo a quelle radici nella costituzione europea. Quanto alla Lega, anche senza voler dare troppa importanza alle sparate periodiche di Bossi sui “cardinaloni”, ai matrimoni di rito celtico e al culto del dio Po, è evidente che il suo localismo non ha dei gran fondamenti nelle tradizioni cristiane ed è, anzi, piuttosto in contrasto con la storica predilezione della Chiesa per l'amministrazione centralizzata.
A rigore, quella tematica dovrebbe allignare molto di più tra le file dell'Unione. In fondo, Prodi è il leader che tra tutti può vantare il più ampio ventaglio di frequentazioni clericali e cardinalizie; quelli della Margherita e dell'UDEUR non sono secondi a nessuno nell'ossequio al magistero ecclesiastico e la spina dorsale della coalizione è rappresentata comunque da quei DS nel cui genoma non è certo svaporato il ricordo del “dialogo con i cattolici” di Togliatti e del “compromesso storico” di Berlinguer. Gli altri, notoriamente, fanno del loro meglio per distinguersi, ma contano poco.

Più esclusivo che inclusivo

Eppure il tema è saldamente in mano alla destra. Non sarà un caso se un gran numero di parlamentari e ministri di quello schieramento, compresi Bondi, Adornato, Schifani, Alemanno, Gasparri, la Letizia Moratti e il gran capo in persona, hanno sottoscritto un manifesto del Presidente del Senato che, a quanto si apprende dal “Corriere” di venerdì 24 “annuncia battaglia contro il relativismo, il pacifismo” e – appunto – “la perdita del senso religioso”.
La contraddizione è patente, ma si spiega in fretta. Quel manifesto non nasce esattamente da preoccupazioni teoriche. Intende contribuire nientedimeno che alla “riscossa dell'Occidente” e, oltre a caldeggiare, manco a dirlo, la più stretta collaborazione fra l'Europa e gli Stati Uniti e la “strenua difesa di Israele”, deplora che troppo debole sia stata la risposta europea “agli attacchi dei fanatici islamici” e raccomanda cautela nel regolare l'immigrazione da quei paesi. Che è certamente un modo per accodarsi alle note posizioni aggressive del presidente Bush, ma ricorda anche da vicino un altro dei punti proposti dalla Lega ai suoi alleati, quello che, nel quadro di una limitazione dei flussi migratori, chiede che l'accesso al paese sia “riservato ai lavoratori dei paesi che riconoscono la reciprocità dei diritti umani, politici e religiosi”, una proposizione un po' oscura, il cui senso, però, è stato chiarito dal noto onorevole Salvini con l'icastica formula “stop all'immigrazione islamica”.
Insomma, non sembra irragionevole pensare che il richiamo alle radici cristiane, dal punto di vista di chi ci governa, sia più esclusivo che inclusivo. Più che definire dei valori cui ci si propone di attenersi, serve semplicemente a denominare il “nemico”, l'entità da cui ci si chiede di difenderci (e la miglior difesa, in questi casi, si sa che è l'attacco), coloro che dobbiamo comunque tener lontani dai nostri confini. Se questo significa rinunciare ai (propri) principi laici e cedere alle richieste, sempre più esose, della chiesa ratzingheriana, be', questo è un prezzo che, dal punto di vista di costoro, si può pagare senza rimpianti.
La premessa imprescindibile di tutto ciò, naturalmente, va rintracciata nel fatto che dei valori laici di tolleranza, rispetto reciproco, libertà di pensiero e uguaglianza di trattamento per tutti non importa una beata fava a nessuno, a destra come a sinistra. Non sarà un caso se la difesa di questa tematica è da anni quasi monopolio di un gruppo, come a dire, specializzato, il cui status marginale è denunciata dalla facilità stessa con cui ha sempre saputo trasmigrare da uno schieramento all'altro. Nel concreto, si è visto che in Italia non cade foglia che Ruini non voglia e le prospettive che la situazione migliori dopo il 9 aprile, chiunque vinca, non sembrano davvero straordinarie.

Se fossi papa…

Un'ultima osservazione. Finora nessuno ha sentito il bisogno di osservare che quella di “radici cristiane” è un'espressione metaforica e, come tutte le metafore, funziona soltanto nel senso in cui la si vuol fare funzionare. Come noi parliamo di “radici cristiane dell'Europa”, altri potrebbero benissimo riferirsi alle “radici europee del cristianesimo”. E non è un paradosso: quella religione, come è noto, non è nata in Europa, ma dalla cultura europea è stata rielaborata a fondo ed è proprio nel nostro continente, in definitiva, che ha assunto gran parte delle caratteristiche che la contraddistinguono oggi. Fosse restata un fatto mediorientale, come alle origini, sarebbe tutta un'altra cosa. Così, rivendicare per sé le radici cristiane significa, in ultima analisi, volerne escludere gli altri, negando al cristianesimo stesso le sue pretese di universalità. Se fossi papa, come diceva Cecco Angiolieri, di certi zelatori e alleati non mi fiderei più che tanto.

Carlo Oliva