Quando passa il gran signore, il saggio villico fa un profondo inchino e silenziosamente scoreggia.
Proverbio etiope.
La necessità di recitare che deriva dalla buona educazione è in questa sede di minor interesse rispetto alle recite cui nel corso della storia la grande maggioranza delle persone viene obbligata a conformarsi. Intendo parlare dei comportamenti pubblici richiesti a chi è assoggettato a forme elaborate e sistematiche di subordinazione sociale: l'operaio verso il suo capo, l'affittuario o il mezzadro verso il padrone, il servo verso il nobile, lo schiavo verso il padrone, l'intoccabile verso il bramino, il membro di una razza dominata verso chi appartiene a una dominante. Con rare anche se significative eccezioni, il comportamento pubblico del subordinato sarà modulato, per prudenza, paura, o per il desiderio di guadagnarsi il favore, in modo da adeguarsi alle aspettative del potente. Userò l'espressione verbale pubblico per descrivere sinteticamente l'interazione palese tra i subordinati e chi li domina. Non è affatto detto che il verbale pubblico, anche là dove non è decisamente fuorviante, possa raccontare l'intera storia delle relazioni di potere. È frequentemente interesse di entrambe le parti collaborare tacitamente a una rappresentazione falsata. La storia tramandata oralmente di un affittuario agricolo francese, il vecchio Tiennon, che risale al diciannovesimo secolo, è piena di riferimenti a prudente e ingannevole deferenza: «Quando lui [il proprietario che aveva mandato via suo padre] passava da Le Craux, per andare a Meillers, si fermava a parlarmi e io mi sforzavo di apparire amabile, nonostante il disprezzo che nutrivo per lui». (...).
Maschera
impenetrabile
Azzardo qui un sommario principio generale, che intendo qualificare con precisione in seguito: maggiore è la disparità di potere tra il dominante e il subordinato e l'arbitrio insito in essa, e maggiore è la tendenza dei subordinati ad assumere nel verbale pubblico un atteggiamento stereotipato, ritualistico. In altre parole, più il potere è minaccioso, più la maschera è impenetrabile. Si può immaginare, in tale contesto, una gamma di situazioni che vanno dal dialogo tra amici di pari condizione e potere, da una parte, fino al campo di concentramento dall'altra, in cui il verbale pubblico della vittima porta il marchio di una paura mortale. Tra questi estremi sta la vasta maggioranza dei casi storici di subordinazione sistematica, che sono l'oggetto del nostro interesse.
Anche se condotta in modo superficiale, questa riflessione d'apertura sul verbale pubblico ci avverte che esistono diversi aspetti nelle relazioni di potere, ciascuno dei quali verte sul fatto che il verbale pubblico non rappresenta la storia completa. Prima di tutto, il verbale pubblico è una guida incompleta per la comprensione dell'opinione dei subordinati. Il sorriso tattico e l'ossequio del vecchio Tiennon mascherano un atteggiamento di collera e vendetta. Quindi, una valutazione delle relazioni di potere che sia letta direttamente sulla base del verbale pubblico tra il potente e il debole può dare l'idea di una deferenza e un consenso che potrebbero essere solo una tattica. Poi, se il dominante sospetta che il verbale pubblico sia «solo» un atteggiamento esteriore, non si fida più della sua autenticità. Da tale scetticismo, arrivare all'opinione, comune a molti gruppi dominanti, che i loro sudditi sono tutti falsi, ipocriti e bugiardi per natura, il passo è breve. Infine, il significato fuorviante del verbale pubblico indica il ruolo chiave giocato dall'inganno e dalla sorveglianza nelle relazioni di potere. I subordinati offrono una manifestazione di deferenza e consenso mentre tentano di discernere le reali intenzioni e lo spirito di chi detiene il potere e rappresenta come tale una potenziale minaccia. (...).
Verbale
segreto
Se il discorso del subordinato in presenza del dominante è un verbale pubblico, userò il termine verbale segreto per indicare il discorso che ha luogo «dietro le quinte», fuori dell'osservazione diretta di chi detiene il potere. Il verbale segreto è così una derivazione, nel senso che è costituito da quei discorsi, gesti e pratiche fuori scena che confermano, oppure contraddicono, o semplicemente modificano, ciò che appare nel verbale pubblico. Non è nostra intenzione pre-giudicare, per definizione, la relazione tra quanto viene detto al cospetto del potere e quanto viene detto dietro le sue spalle. Le relazioni di potere non sono tanto univoche da poter definire come falso tutto ciò che viene detto nelle situazioni condizionate da esso e come veritiero tutto ciò che viene detto dietro le quinte. E nemmeno possiamo semplicisticamente descrivere quelle come il regno della necessità e queste come il regno della libertà. Ma resta certamente il fatto che il verbale segreto è prodotto per un uditorio diverso e in presenza di diversi vincoli di potere rispetto al verbale pubblico. Esaminando le discrepanze che esistono tra i due, è possibile dare una prima valutazione circa l'impatto della dominazione sul discorso pubblico. (...).
Discorso
asimmetrico
Per dirla brutalmente, il verbale pubblico non è che l'autoritratto delle élite dominanti, il modo in cui vorrebbero essere viste. Dato il potere di costrizione che le élite hanno normalmente, il discorso contenuto nel verbale pubblico è decisamente un discorso asimmetrico. Se è improbabile che sia semplicemente una rete di menzogne e falsità, è comunque una storia del tutto partigiana e parziale. È programmato per fare impressione, per affermare e legittimare il potere delle élite dominanti, e per nascondere o mitigare i panni sporchi del loro dominio.
Tuttavia, perché questo autoritratto lusinghiero abbia una qualche forza retorica presso i subordinati, deve necessariamente fare alcune concessioni ai loro presunti interessi. Il che significa che i governanti che aspirano all'egemonia nel senso gramsciano del termine devono produrre la giustificazione ideologica di governare, in un modo o nell'altro, per conto dei propri sudditi. È una pretesa sempre assai tendenziosa, ma raramente è priva di qualche risonanza tra i subordinati.
La distinzione tra verbale segreto e pubblico, insieme alle aspirazioni egemoniche contenute in quest'ultimo, ci permette di distinguere almeno quattro varietà di discorso politico tra i gruppi subordinati. Esse variano in funzione della loro maggiore o minore conformità al discorso ufficiale e dell'uditorio cui sono dirette.
La forma più sicura e pubblica di discorso politico è quella che prende come base l'autoritratto adulatorio che le élite fanno di se stesse. Questo, a causa delle concessioni retoriche che contiene, offre un'arena sorprendentemente vasta al conflitto politico, che si appella a tali concessioni e fa uso dello spazio interpretativo presente all'interno di qualunque ideologia. Ad esempio, anche nell'ideologia dei bianchi schiavisti nel Sud degli Stati Uniti prima della Guerra di Secessione esistevano fioriture paternalistiche circa la cura degli schiavi, il vitto, l'alloggio, il vestiario e l'istruzione religiosa. Nella pratica, ovviamente, le cose erano ben diverse. Tuttavia gli schiavi potevano fare un uso politico di questo piccolo spazio retorico per richiedere qualche orticello, cibo migliore, trattamento umanitario, libertà di spostarsi per assistere alle funzioni, e così via. In tal modo, alcuni degli interessi degli schiavi potevano trovare espressione nell'ideologia predominante senza apparire minimamente sediziosi.
Una seconda forma di discorso politico, totalmente diversa dalla prima, è quella del verbale segreto stesso. Qui, dietro le quinte, dove i subordinati hanno la possibilità di riunirsi lontano dall'occhio intimidatorio del potere, può prodursi una cultura politica totalmente dissonante. Gli schiavi, nella relativa sicurezza dei loro alloggi, possono pronunciare quelle parole di rabbia, vendetta, autostima, che normalmente devono soffocare quando sono alla presenza dei propri padroni maschi e femmine.
Ma esiste un terzo luogo della politica dei gruppi subordinati che si pone strategicamente tra i primi due, e il suo riconoscimento è un tema fondamentale di questo libro. È quella politica di travestimento e anonimia che si manifesta in pubblico, ma con l'intento di esprimere un doppio significato o celare l'identità degli attori. Voci, pettegolezzi, storie popolari, barzellette, canzoni, rituali, codici ed eufemismi – una porzione consistente della cultura popolare dei gruppi subordinati – rientrano in questa descrizione. Come caso tipico si considerino le favole narrate dagli schiavi su Brer Rabbit (Fratel Coniglietto), e più in generale quelle che raccontano di beffe. Da un certo punto di vista non sono che innocenti storielle di animali, ma viste con altri occhi rivelano l'intento di celebrare le malizie e lo spirito vendicativo dei deboli che trionfano sui forti. Sono convinto che una versione parzialmente spurgata, ambigua e codificata del verbale segreto sia sempre presente nel discorso pubblico dei gruppi subordinati. L'interpretazione di questi testi, che dopo tutto sono concepiti proprio per essere evasivi, non è qualcosa di univoco. Ma ignorarli ci riduce ad avere cognizione della subordinazione storica solo attraverso quei rari momenti di ribellione aperta, oppure sulla base dei verbali segreti come tali, che in sé non sono evasivi ma sono spesso inaccessibili. Il recupero delle voci e pratiche non egemoniche dei sottoposti richiede, a mio avviso, una forma di analisi fondamentalmente differente dall'analisi delle élite, stanti le costrizioni sotto cui tali voci e pratiche sono prodotte.
Infine, il luogo più esplosivo della politica è la rottura del cordone sanitario politico che sta tra il verbale pubblico e quello segreto. (...).
Forme pratiche
della resistenza
L'analisi dell'infrapolitica ci offre il modo di affrontare il tema dell'integrazione egemonica. È difficile trovare un argomento sul quale sia stato versato più inchiostro, di recente, nei dibattiti sul potere comunitario o nelle più raffinate formulazioni di Gramsci e dei suoi successori. Cosa significhi esattamente integrazione egemonica è soggetto a interpretazione, ma comunque la si voglia definire, la risposta cruda e uni-dimensionale alla domanda se gli schiavi credano nella giustizia o piuttosto nell'inevitabilità della schiavitù è fuori dalla discussione. Se invece cerchiamo di stabilire come i gruppi subordinati possano essere socializzati fino ad accettare una concezione dei propri interessi comunicata dall'alto, allora possiamo riuscire a dare una risposta più articolata. Le indicazioni fornite dal verbale segreto e dall'infrapolitica in generale ci permettono, almeno in linea di principio, di affrontare il problema empiricamente. E in ogni caso non siamo costretti ad aspettare che la protesta sociale aperta venga a sollevare il velo del consenso e dell'acquiescenza. Basare l'interpretazione della politica solo su quelle che possono essere manifestazioni imposte, oppure sugli atti di ribellione aperta, rimanda a una concezione troppo angusta, soprattutto se si tengono presenti le condizioni di tirannia o semi-tirannia in cui vive gran parte del mondo.
Allo stesso modo, prendere in considerazione gli atti politici dissimulati o fuori scena ci aiuta a mappare lo spazio del dissenso possibile. Proprio qui, credo, si possono trovare le basi sociali e normative delle forme pratiche della resistenza (ad esempio ciò che i padroni di schiavi indicavano come infingardaggine, furto, fuga) e anche i valori che, in condizioni opportune, possono motivare forme di ribellione più drammatiche. Il punto è che né la resistenza quotidiana né l'insurrezione occasionale possono essere comprese senza tenere presenti i siti sociali appartati dove tale resistenza può ricevere linfa e significato. Se compiuta in modo più dettagliato di quanto sia possibile in questa sede, una simile analisi potrebbe arrivare a descrivere una tecnologia della resistenza analoga alla tecnologia del dominio descritta nell'analisi di Foucault. (...).
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James C. Scott
Il dominio
e l'arte della resistenza
I "verbali segreti" dietro la storia ufficiale
traduzione di Roberto Ambrosoli
302 pp.
€ 18,00 |
Risultato
rovesciato
Il ruolo delle relazioni di potere nel produrre una frattura tra comportamento pubblico e privato è confermato anche da altre prove sperimentali. Si è visto ad esempio che i dipendenti subordinati obbediscono di più a un superiore «irascibile e maligno» che a uno «benigno e permissivo». Ma se la dipendenza (cioè la dominazione) viene eliminata, il risultato si rovescia, il che significa che segretamente il superiore tirannico è stato sempre sgradito e ciò non veniva manifestato solo per timore della punizione. Più imperativa è la situazione di forza maggiore che condiziona la performance, meno il subordinato la sente come rappresentativa del «proprio io», e la conformità è più che mai una mera tattica manipolativa senza rapporto con la concezione che il soggetto ha di se stesso.
A meno che l'azione appaia al subordinato come una scelta più o meno libera, ci sono scarse probabilità che l'interpretazione di una maschera possa condizionare apprezzabilmente il volto dell'interprete. Se ciò accade, è più probabile che la faccia dietro la maschera, per reazione, diventi sempre meno simile alla maschera stessa piuttosto che assomigliarle. Detto in altro modo, maggiori sono le motivazioni esterne che condizionano la nostra azione (in questo caso gravi minacce e ricompense cospicue sono equiparabili), meno dobbiamo fornire a noi stessi ragioni valide a giustificazione del nostro comportamento. Gli psicologi che hanno avuto in cura i soldati americani che erano stati prigionieri nei campi coreani, dove erano stati «domati», obbligati a firmare confessioni e fare dichiarazioni di propaganda, hanno rilevato che ciò aveva lasciato nelle loro convinzioni e atteggiamenti conseguenze meno stabili di quanto si sarebbe supposto. La loro collaborazione era dovuta a cause così schiaccianti che poteva essere vista come del tutto strumentale, con scarsi effetti a livello ideologico. Nella misura in cui questi dati sono assimilabili alle forme di sottomissione più draconiane e culturalmente elaborate che abbiamo esaminato, ci aiutano a capire come coercizione e sorveglianza da sole possano generare una reazione che può tardare a esprimersi. C'è poco da meravigliarsi, quindi, se chi deve prestare un servizio contro la propria volontà debba essere tenuto sotto stretta sorveglianza, poiché ogni interruzione di questa può verosimilmente far precipitare l'apparente entusiasmo della prestazione. (...).