rivista anarchica
anno 37 n. 331
dicembre 2007 - gennaio 2008


Spagna ’36 / 1

Anarchico, non liberale
di Claudio Venza

 

Camillo Berneri era un intellettuale e un militante anarchico di grande valore. Per queste due colpe fu ucciso dagli stalinisti.

 

1. In Italia, e non solo, si sta riscoprendo la personalità di Camillo Berneri, assassinato nel maggio 1937, a meno di quarant’anni. Negli ultimi tempi si sono dedicati alla sua figura vari libri e convegni, diversi saggi e ricordi pubblici, tra i quali una recentissima e vivace opera teatrale. Nella rivalutazione di questo protagonista della lotta antifascista e antistalinista ha avuto un grande rilievo l’Archivio Famiglia Berneri di Reggio Emilia che, da decenni, raccoglie le sue carte e la documentazione, anche bibliografica, che lo riguarda.

2. Quali sono gli aspetti della sua vita agitata che hanno suscitato più interesse?

Fino a pochi anni fa, Berneri era conosciuto soprattutto per il fatto di essere stato assassinato. E l’omicidio era stato giustamente denunciato dagli anarchici e da altri rivoluzionari e la responsabilità venne attribuita agli stalinisti italiani che d’altra parte lo avevano pubblicamente rivendicato. Si veda, ad esempio, quanto scriveva verso la fine del maggio 1937 “Il grido del popolo”, foglio dell’emigrazione italiana in Francia, da loro controllato. (1)
Negli ultimi anni si è messa in evidenza la profondità del suo duplice impegno, sia antifascista che antistalinista. Contro il regime di Mussolini, Berneri sostenne la linea dell’antifascismo d’azione. Con molti anarchici e i militanti del movimento liberalsocialista di Carlo Rosselli, denominato Giustizia e Libertà, affermò la necessità e l’urgenza di realizzare precisi attacchi alle strutture della dittatura, dentro e fuori dell’Italia. Un regime che era andato al potere con la violenza squadrista e che si manteneva con un capillare apparato poliziesco e giudiziario giustificava ampiamente il ricorso a metodi di lotta radicali e frontali.
Contro lo stalinismo, Berneri propose di superare le incertezze di molti militanti del movimento operaio, ad esempio socialisti e repubblicani, che accettavano il ruolo protettivo che apparentemente l’Unione Sovietica esprimeva a livello internazionale. Proprio dalle pagine del foglio “Guerra di classe”, edito a Barcellona a partire dall’ottobre 1936, egli denuncerà senza reticenze la repressione che si stava conducendo in URSS con i processi montatura e le dure minacce, diffuse in Spagna insieme a calunnie infamanti, verso gli aderenti al POUM. E ciò all’interno di un’evidente scalata ai posti di potere statale, dall’esercito alla propaganda, messa in atto dagli agenti di Stalin. Questi articoli suscitarono le proteste delle rappresentanze diplomatiche russe e l’ovvio inserimento del nominativo di Berneri nella lista dei “nemici del popolo”. Un movente in più per eliminarlo.
Anche altri aspetti della sua attività hanno attirato l’attenzione di studiosi e di storici attenti alle biografie di rivoluzionari. Si è quindi messo in evidenza la precoce militanza socialista: iniziò a 15 anni e l’ambiente frequentato lasciò un positivo ricordo per la serietà e moralità dell’impegno politico.
Altri ricercatori hanno analizzato il conflitto interiore che lo accompagnò per tutta la vita: da una parte la forte attrazione degli affetti familiari e dall’altra le necessità della lotta rivoluzionaria che lo portarono a conoscere, come moltissimi attivisti libertari (e non solo), arresti e condanne, fughe precipitose e clandestinità, carceri ed espulsioni.
Si è pure evidenziata in Berneri una ingenua imprudenza che lo espose alle provocazioni di agenti del fascismo, oltre a una generosità e sottovalutazione dei propri notevoli limiti biologici, nella vista e nell’udito oltre che nella resistenza agli sforzi fisici. Così in Francia si sobbarcò pesanti lavori nell’edilizia e nelle trincee di Monte Pelato, sul fronte aragonese, si cimentò a combattere armi alla mano.

3. Quali sono i temi centrali del suo pensiero multiforme?

Una curiosità insaziabile spingeva Berneri a seguire filoni di ricerca polivalenti e, secondo vari critici, dispersivi. Il suo “problemismo” lo portava a non accontentarsi di facili risposte sloganistiche alla questione centrale: le possibilità reali della rivoluzione libertaria, il suo grande obiettivo, utopico e concreto al tempo stesso. Alla filosofia e alla psicologia, alla sociologia e alla storia antica egli chiedeva di fornirgli esempi effettivi dei millenari sforzi dell’umanità oppressa. E si interrogava sulle piccole conquiste e sulle colossali sconfitte di chi aveva cercato di ribellarsi al potere dominante in nome della dignità umana. Anche gli studi sulle religioni e l’etica e le riflessioni sul ruolo della donna e della sessualità nella storia sociale gli servivano per rendersi conto degli ardui ostacoli incontrati nel lungo cammino per l’emancipazione.
Nella sua rielaborazione originale del pensiero anarchico, di cui sentiva il bisogno di un vero aggiornamento, ricavava elementi utili da fonti diverse da quelle del pensiero rivoluzionario classista. Così riteneva importante valorizzare il federalismo, ad esempio di un borghese progressista quale Carlo Cattaneo, oppure il contributo di un pensatore e politico radicale, come Gaetano Salvemini che, non a caso, era stato il suo docente di riferimento. La continua curiosità intellettuale lo portava a respingere le facili risposte del settarismo e dello schematismo, che riscontrava anche tra le fila degli anarchici, e a cercare di superare ogni tendenza al conformismo e alla superficialità, foriere di un nuovo dogmatismo semplicistico.

Barcellona, 1936. La sede del Comitato Regionale della CNT-FAI

4. Va ricordato che la complessa personalità intellettuale di Berneri è stata di recente reinterpretata, perlomeno in Italia, in una chiave di forzatura ideologica neoliberale. Si è sostenuto che le riflessioni teoriche e le ridefinizioni politiche da lui prodotte lo metterebbero in una condizione di sostanziale equidistanza tra anarchismo e liberalismo. Ritengo che tale interpretazione non sia fondata sia per il confronto costante che Berneri attua con i valori fondanti dell’anarchismo, per così dire, classico sia perché non si può correttamente valutare le singole frasi di un intellettuale militante al di fuori del contesto collettivo nel quale si muove. Su questo duplice piano, del confronto e del contesto, Berneri fece i conti sempre e comunque con il rifiuto della gerarchia politica e con l’accettazione del principio di eguaglianza tra gli esseri umani. E si tratta chiaramente di principi coerenti con il progetto anarchico di liberazione sociale nel quale Camillo Berneri si è identificato completamente. Fino al punto da mettere in gioco la propria stessa vita.
Intellettuale disorganico, certo, e militante “sui generis”. Ma questo è logico e prevedibile all’interno di un movimento, quello libertario, che ha valorizzato la diversità individuale e la non contraddittorietà fra organizzazione e individuo, fra efficacia e autonomia, fra aspirazioni collettive e dimensione personale.

5. La coincidenza di intellettuale e di militante ci rinvia ad una singolare coincidenza: quasi contemporaneamente, nella primavera del 1937, scompaiono tre personalità di grande rilievo per la storia del movimento operaio italiano e internazionale. Il 3 maggio Camillo Berneri commemorava, con molto rispetto, a Radio Barcellona la figura di Antonio Gramsci da pochi giorni deceduto dopo un lungo periodo di prigione fascista. Il 6 maggio era lo stesso Berneri ad essere ritrovato cadavere in una stradina vicino a Plaza de Catalunya. Circa un mese dopo, Carlo Rosselli, con il fratello Nello, veniva eliminato da una squadra di fascisti francesi su ordine del regime fascista italiano.
In particolare la soppressione di Berneri e di Rosselli, entrambi vittime di giochi statali che ruotarono attorno alla guerra civile in Spagna, ebbe notevoli conseguenze nell’indebolimento di due movimenti socialisti antiautoritari italiani. Nell’Italia del 1945 queste due personalità avrebbero potuto contare molto, come esperienza e come progettualità, nella riorganizzazione di uno spazio autonomo dentro il movimento operaio ormai dominato dal PCI di cieca osservanza stalinista. Carlo Rosselli mancherà nella ricostruzione del movimento di Giustizia e Libertà che nella Resistenza del 1943 ha assunto le vesti di Partito d’Azione. Tale formazione politica, su posizioni radicalmente laiche e progressiste, scomparirà dopo pochi anni. Camillo Berneri avrebbe potuto dare un prezioso contributo nella riattualizzazione dell’anarchismo di lingua italiana, in pratica emarginato dalla polarizzazione, anche su scala nazionale, tra i due blocchi, l’occidentale capitalista e l’orientale comunista di stato.

La storia dei movimenti di emancipazione è collegata di solito alle iniziative di massa, ma non capiremmo molte cose essenziali senza considerare in modo adeguato le singole importanti storie individuali. E la vita e la morte di Berneri ci offrono molti stimoli al riguardo.

Claudio Venza

  1. “Il Grido del Popolo”, organo ufficiale del PCI a Parigi, nel maggio pubblicava testualmente: “Camillo Berneri, uno dei dirigenti degli Amici di Durruti, che, esautorato dalla direzione stessa della FAIberica, ha provocato il sanguinoso sollevamento contro il governo del fronte popolare della Catalogna, è stato giustiziato dalla Rivoluzione democratica a cui nessun antifascista può negare il diritto della legittima difesa”. E questo con buona pace di chi cerca di scaricare le responsabilità degli stalinisti nell’esecuzione dell’omicidio. Il brano in corsivo è consultabile su: www.europaplurale.org/ep_32006.pdf (N.d.R.).
Barcellona, 1936.
Autobus della CNT-FAI con infermiere

Camillo Berneri e Andreu Nin

La Fondazione Andreu Nin ha promosso una riuscita manifestazione il 16 giugno 2007 nell’atrio del Palau de la Virreina, nelle Ramblas di Barcellona.
Qui, settant’anni fa, fu sequestrato Andreu Nin, segretario del POUM, un piccolo partito marxista antistalinista, dalla polizia catalana al servizio della repressione staliniana. Erano passate poche settimane dalle giornate del tragico Maggio barcellonese del 1937, quando un gruppo di poliziotti comandati da un ufficiale comunista filomoscovita, aveva assaltato la Centrale Telefonica in Plaza Catalunya, in mano alla CNT dal 19 luglio 1936. Come risposta immediata, gli operai libertari di Barcellona avevano eretto numerose barricate contro la provocazione assumendo il controllo armato di buona parte della città. Le dirigenze della CNT-FAI e dei partiti repubblicani fecero pressioni per evitare l’aggravarsi del conflitto e invitarono gli operai a riprendere il lavoro e a smantellare le barricate. Ci furono delle resistenze a tale cedimento, ma nel giro di qualche giorno ritornò una finta normalità.
Si concretizzava così un attacco sanguinoso condotto dagli stalinisti, col sostegno di conservatori e catalanisti, alle posizioni rivoluzionarie rappresentate dall’anarchismo e dal POUM che verrà quasi cancellato dalla scena politica. La CNT-FAI era troppo importante per poter essere eliminata, ma il suo protagonismo fu notevolmente ridimensionato. Tra i 500 morti (stimati) di quelle giornate, in prevalenza anarchici e poumisti, si ritrova Camillo Berneri, sequestrato e ucciso la notte tra il 5 e il 6 maggio.
La sua figura è stata associata dai promotori della commemorazione a quella di Andreu Nin anche perché, nei primi mesi del 1937, l’anarchico lodigiano aveva difeso il POUM dai velenosi attacchi stalinisti basati su calunnie e infamità, come quella di essere degli agenti franchisti.
Quel contesto drammatico, con una breve guerra civile dentro la guerra tra franchisti e repubblicani, è stato rievocato da due testimoni tuttora viventi, Wilebaldo Solano, allora giovane dirigente del POUM, e da Abel Paz (Diego Camacho) militante anarchico molto noto anche in Italia quale biografo di Durruti. Egli ha comunque sostenuto, con una vena polemica appena sfumata dalle sfavorevoli condizioni di salute, che in realtà vi sono pochi punti in comune tra Nin e Berneri, a parte il fatto di essere stati tutti e due vittime dello stalinismo.

Claudio Venza