rivista anarchica
anno 38 n. 335
maggio 2008


racconto

Il “non soldato non violento” Dante
di Stefano Padovese

Ciao a tutti.
Sono il fratello di Marina Padovese, Stefano.
Uno degli impegni morali, che mi sono stati chiesti da Marina, prima che se ne andasse, è stato di essere portatore della memoria storica. Di essere testimone della storia, anche se piccola, di quello che ci circonda e che ci piace e non ci piace.
Cerco di assolvere il mio compito, raccontando una storiella di nostro nonno materno.
Anarchico, vecchio anarchico, che forse ha impresso nella mente di Marina gli ideali che fortemente hanno caratterizzato tutto il suo impegno.
Nella speranza di essere stato utile, vi abbraccio tutti quanti.

Ciao,
Stefano.

 

 

Il nonno Dante

Uno dei tanti ragazzi della fine dell’800, che pieni di speranze guardano il futuro, come solo nel passato si poteva e si riusciva a fare.
Un paese in rovina, legiferato e governato da tirannie e da incapacità organizzata.
Tanti ideali, buoni ideali, forti ideali che hanno caratterizzato e stimolato la già forte spinta modernista industriale, il colonialismo che mascherava gli ultimi rigurgiti di schiavismo occidentale.
Le prime rivendicazioni di un popolo sodomizzato e schiacciato dalle casate reali, che sapientemente si spartivano il mondo.
Sull’altro fronte, una nuova generazione veniva spinta verso un futuro ormai deciso per molti, un futuro di fatiche e di morte, la guerra mondiale.
Molte altre guerre, avevano tempestato il primo mondo, il nostro mondo, ma questa era la prima guerra ad ampio raggio che coinvolgeva le maggiori potenze economiche e belliche mondiali.

Un ragazzo, uno come tanti altri, Dante, aveva deciso di andare “controcorrente”.
Ideali forti, lo avevano allontanato da casa, lontano dal suo despota casalingo.
Già, i figli in quei tempi potevano e venivano considerati sangue del proprio sangue che potevano anche lavorare sin da bambini per aiutare a vivere.
Lui aveva già deciso quale strada percorrere, una strada difficile, ma libera.
Lui non voleva essere né vittima né carnefice, Lui aveva deciso che sarebbe stato libero nel pensiero e nel corpo.

Scoppiò la guerra, una sporca guerra, combattuta e vissuta solo da chi non poteva decidere, ma decisa solo da chi vittima della propria codardia non poteva viverla.
Che buffo!
Uno dice, vai là e muori per me!

Lui aveva deciso di declinare questo invito e fuggì all’estero.
Aveva ancora la fortuna di poter decidere, prima che fosse troppo tardi.
Fuggì nella terra che ospitò molti esuli (volontari o meno) politici e perseguitati.
Fuggì nella terra di Guglielmo Tell, ma arrivò nel mondo che seppe accogliere i veri socialisti, i veri idealisti del popolo e per il popolo.
Il soldato Dante era già uno di loro prima di incontrarli e prima di poter cogliere il testimone ideale da loro. Era come se le idee che loro esprimevano erano già in lui prima che venissero formulate, dimostrate e diffuse. Una su tutte, la solidarietà.

Fuggì con la peggiore e infamante delle accuse, diserzione.
La diserzione è un reato del codice militare, che in tempo di pace viene punito con l’ergastolo, nel periodo di guerra è punito invece con la pena capitale.
Le motivazioni per chi lo attua devono essere necessariamente forti, quanto il disagio dei poteri militari per attuare tali sanzioni.
Del resto la severità di tali rappresaglie verso i propri figli, la patria italica ha costituito un corpo speciale specifico per queste evenienze con lo scopo di fucilare anche alle spalle chi commette queste mancanze. Fu costituito così il corpo dei Carabinieri.

Dante sapeva tutto ciò, per questo fuggì.
Si costruì e si determinò nelle idee che già condizionavano il suo cuore, a lato dei personaggi che hanno lasciato il segno storico e politico nel primo novecento.

Forse il sentimento, forse la nostalgia o forse semplicemente la necessità lo riportarono in Italia non senza conseguenze.
Disertore fu l’accusa che lo accompagnò nelle galere militari di Gaeta.
Molte leggende circolano sulle prigioni di Gaeta ma la scenografia è sempre la stessa; un posto disumano da sempre, forse la struttura non è nemmeno stata concepita e costruita da nessun umano, forse dal demone stesso.

Topi, scarafaggi, buio, isolamento, pane e acqua, dovrebbero bastare per poter avere una vaga idea di cosa un uomo si trova a vivere e a pensare se tale si può ancora definire.
Molte leggende ancora si raccontano di questa struttura, ma difficile è poter immaginare cosa può vivere un uomo in periodo di guerra nel primo novecento.
Un uomo che per l’infamia ricevuta, culturalmente, uomo non era più considerato.

Dante si era rifiutato di aderire alla logica della guerra, di poter correre il rischio di dover sparare anche solo un colpo di fucile, fosse anche per sbaglio.
Ma anche per lui era troppo forte e umiliante.

In realtà il vero neorealismo cinematografico, non vede come massima espressione nei film del primo dopoguerra, ma in realtà è stata definita dal non soldato non violento Dante.
Il suo ordito pensiero era degno della fantasia e pragmatico pensiero tipico dell’ilarità italiana.
Infatti, decise di aderire al pensiero bellico di quei tempi (per finta!), con l’unico scopo di poter andare al fronte, in prima linea.
I soldati disertori redarguiti e pentiti, per dimostrare l’attaccamento alla regale causa, venivano inviati in prima linea di fronte all’acerrimo nemico.
Così avvenne.

Giunto in prima linea, il non soldato non violento Dante, poté mettere in atto il suo diabolico piano.
Alla prima missione bellica, corse incontro al nemico, non per sferrare il suo poco credibile attacco, ma semplicemente per arrendersi. Così appena incontrato un uomo con la stessa divisa di militare, ma con un altro colore (De André), cioè il nemico, tentò di alzare le braccia al cielo in segno di resa.

Quello era il machiavellico piano, meglio prigioniero del nemico che prigioniero dei propri fratelli. Almeno come prigioniero di guerra si può godere della Convenzione di Ginevra che tutela i prigionieri di guerra.
Sempre meglio delle anguste patrie galere militari.

Il fato ridicolo, si abbatté sul povero non soldato non violento Dante, lo stesso pensiero aveva spinto nelle prime linee il nemico incontrato. Unica differenza fu la velocità, non dello sparo del fucile di uno dei due, ma nell’alzare le mani. Il nemico fu molto più lesto e sconfisse gli intenti del povero reduce di Gaeta.

Così il soldato “nemico” si arrese a Dante.
Sbigottito, non poté fare altro, evitando di mettersi a litigare in mezzo al fuoco di fucile degli altri soldati, su chi fosse stato il primo ad alzare le mani, non poté che arrestare simpaticamente l’avversario non più di schieramento ma di intenti.

Saldamente riprese in mano il fucile e sempre in maniera poco credibile, lo puntò contro al suo simile portandolo ai superiori.
Avvenne l’impensabile, il non soldato non violento Dante fu premiato con il congedo indeterminato per l’alto gesto eroico militare compiuto, affinché fosse d’esempio per i cittadini.
Fu quindi premiato con la medaglia di bronzo al valore militare.
Certo, le circostanze non erano prevedibili, ma il risultato finale era quello di sottrarsi alle armi, tutti sorridevano quando sentivano la storia, ignari di tutta la vicenda i militari che portavano ad esempio le gesta di un militare che soldato non era e che “sconfisse” senza armi non un nemico, ma un sistema omicida di tanta gente innocente.

Tutti abbiamo un destino anche contro la nostra volontà, questo del non soldato non violento Dante è una delle tante storie di cui molti possono raccontare.
Io vi ho raccontato questa, perché sono orgoglioso di avere avuto come nonno il non soldato non violento Dante.

Stefano Padovese