rivista anarchica
anno 38 n. 337
estate 2008


mass-media

La paura sociale
di Francesco Codello
foto di Paolo Poce

 

È il solito vecchio trucco. Si instilla la paura e poi si propongono soluzioni di stampo autoritario, invocate dal corpo sociale per avere “sicurezza”. È il solito vecchio trucco bastardo. Ma funziona.

 

C’è forse un sentimento più diffuso di altri che incombe e pesa notevolmente nelle scelte quotidiane e in quelle più generali, tra gli uomini e le donne ma anche tra bambini e ragazzi, in questo periodo storico. Questo sentimento è la paura. Spesso si libera a seguito di un fatto banale o marginale, ma ancor più frequentemente avvolge complessivamente l’esistenza di ciascuno di noi e ne determina le scelte. Mi pare sempre più plausibile poter cogliere in tutto questo non tanto una reazione spontanea individuale, quanto piuttosto un vero e proprio costume sociale.
La paura, infatti, quando si trasforma da meccanismo reattivo in sentimento generale per poi divenire un effettivo atteggiamento culturale produce inevitabilmente continue, spesso sottili, ma importanti, trasformazioni sociali.
Così come altre sensazioni, essa tocca ogni aspetto della nostra personalità e incide in modo spesso travolgente nelle scelte che ognuno compie nella sua vita di relazione, andando a produrre vere e proprie azioni collettive. C’è inoltre un significato più politico che questo impulso assume quando, come mi pare stia avvenendo oggi, si diffonde in modo così preponderante ed esteso.
La paura non può costituire una sensazione sulla quale costruire nessun progetto liberatorio né, tanto meno, può favorire una serena e razionale valutazione della realtà e di un qualsiasi problema da affrontare. Essa è in grado di stravolgere radicalmente ogni seria analisi e compromettere pertanto tutte le possibili soluzioni ad un quesito dato. Nel nostro caso è poi ancora più evidente come questo stato d’animo, nel momento in cui diviene atmosfera sociale, sia in grado di segnare pesantemente ogni questione che si deve affrontare.

Uso strumentale

Fatta questa premessa (penso tutto sommato condivisibile) è chiaro che appare evidente come vi sia, da parte di chi detiene il dominio in tutte le forme socio-culturali, un evidente interesse ad agire su di essa per amplificarne a dismisura la sua potenza paralizzante e di chiusura alle relazioni nuove e aperte che invece molti di noi sarebbero disposti e inclini a vivere. Così accade che di fronte al diffondersi dell’aids si usi la paura del contagio per predicare la castità sessuale, di fronte ad un abbassamento del proprio tenore di vita la si strumentalizzi per scatenare una guerra tra poveri, nei confronti di fatti di cronaca nera per alimentare una richiesta sproporzionata di “severità” e di repressione, ecc. ecc.
Insomma chi ha interesse a far si che l’ordine regni sovrano, per coprire i propri interessi e consolidare il proprio dominio, agita lo spettro della paura e ne determina un suo strumentale uso immaginario.
Ma esiste anche un altro aspetto della questione che mi preme qui sottolineare e che, purtroppo, vede anche chi sta dall’altra parte, talvolta, più o meno inconsci protagonisti. Per spiegare questo concetto mi sembra opportuno fare un esempio di quanto può accadere in una piccola città di provincia (una delle tante), tra gente tutto sommato benestante (e non per questo deprecabile), nella quale personaggi politici più o meno grezzi, trasformano ogni piccolo e insignificante fatto di cronaca in un’occasione per farsi della pubblicità (di pessimo gusto e dai toni anche deprecabili) creando così una cassa di risonanza di notevole impatto mediatico. In queste occasioni parte una controffensiva, da parte di chi non la pensa in questo modo, del tutto giusta e sacrosanta ma che può, talvolta, produrre un valore aggiunto alla negatività già abbondantemente disseminata. Spesso, come abbiamo visto anche recentemente nelle macro-scelte politiche nazionali, l’identificare un nemico diviene la ragione unica di chi non ha niente da dire di significativamente diverso e migliore e l’unico comune denominatore che tiene insieme fittiziamente, mascherandole, incongruenze e povertà culturali.
Una delle più diffuse pratiche di contestazione sono, ad esempio, gli appelli pubblici che permettono spesso a chi li firma di mettersi in pace la propria coscienza, consente di esprimere la propria presunta superiorità culturale, spesso invece gonfiando a dismisura un’immagine negativa che non risponde alla realtà. Se un sindaco o un politico qualsiasi si lascia andare ad affermazioni persino aberranti non significa che i cittadini, anche quelli che sottovalutano il fatto e prendono erroneamente per folclore tutto ciò, siano come lui.
Ma se certi spocchiosi pseudo-intellettuali gridano al razzismo e alla vergogna, alimentando a dismisura il fatto incriminato, possono contribuire a creare un’immagine altrettanto irreale della società locale o nazionale, facendo passare, in questo mondo così virtuale e mediatico, valori e principi che in realtà poi contribuiscono a fomentare paura, incertezza, reazione. Non sarebbe meglio, ad esempio, parlare e raccontare tutte quelle positività che esistono tra le nostre comunità, che non trovano spazio e voce nella stampa e nei media in genere, che fanno sì che le nostre provincie non siano in realtà affatto come spesso vengono descritte?

Più semplicità e modestia

Intendo dire che probabilmente a forza di diffondere negatività (magari per giustificare la nostra esistenza) si corre il serio rischio di far passare in modo irreversibile questo sentimento di paura trasformandolo nell’elemento determinante per produrre ogni forma di paralisi sociale e soprattutto per impedire veramente il cambiamento.
Se si ha invece la prontezza di contrapporre un fatto, e ce ne sono tanti, positivo, se si coglie l’opportunità di presentare le tante azioni spontanee e auto-promosse che uomini e donne compiono giornalmente creando tante micro-società ricche di solidarietà e sostegno reciproco, probabilmente riusciremmo a contrastare con più efficacia quell’immaginario sociale che il potere in tutte le sue espressioni ha tutto l’interesse ad alimentare. E di positività ce n’è tanta, basta solo volerla vedere e valorizzare.
In questo modo, penso, possiamo contribuire a creare tanti esempi efficaci perché positivi e a far crescere un sentimento di speranza e di sogno che il mondo possa divenire almeno un po’ migliore, sconfiggendo la paura e ogni altro sentimento negativo. Talvolta un po’ più di semplicità e di modestia può giovare a creare un clima di maggiore tolleranza e rispetto. Forse (ne sono anzi convinto) la mancanza di tutto ciò è una delle cause principali del perché la cosiddetta sinistra antagonista ha perso. Se è proprio così allora è un bene che sia accaduto.

Francesco Codello