rivista anarchica
anno 38 n. 337
estate 2008


società

I Campi e l’orticello
di Giorgio Barberis
foto di Paolo Poce

 

Sei mesi a lavorare e vivere a Napoli, lassù in cima ai Quartieri spagnoli. E capire ora che in questa guerra tra poveri…

 

Non avevo mai visto Napoli. Curiosamente, in trent’anni di spostamenti frequenti non mi era mai capitato di passare di lì. L’occasione è giunta inaspettata nella primavera di due anni fa. Una borsa di studio post-dottorato in uno di quei cosiddetti Centri d’eccellenza che la riforma Moratti ha generosamente finanziato a discapito dell’Università pubblica. Ho deciso di sciogliere le molte riserve e di accettare la proposta di ricerca, soprattutto per l’opportunità di vivere qualche mese nel Capoluogo campano. Tra l’altro mi affascinava molto l‘ubicazione della residenza universitaria, lassù in cima a quei Quartieri spagnoli che alla cronaca nera devono la sinistra reputazione e alla vitalità dei vicoli il più autentico fascino.
Napoli è una città strana. Bellissima e brutale, gioiosa e disperata al tempo stesso. Estrema. Lo hanno detto in molti. Me ne sono accorto anche io fin dal primo impatto con la sua chiassosa stazione e con una confusione per le vie e le piazze che mai avrei pensato possibile. E come molti prima di me, sono stato travolto da una modalità tutta diversa di gestire i rapporti tra le persone, da una generosità senza pari e da una simpatia istintiva che hanno scosso alle fondamenta la mia ritrosia sabauda. Ma più di tutto mi ha colpito la rabbia. La rabbia delle persone dinanzi all’illegalità impunita e ostentata ad ogni angolo; la frustrazione di fronte a emergenze endemiche mai realmente affrontate, che si chiamino camorra, clientelismo, abusivismo, rifiuti o disoccupazione; la sfiducia più totale per una politica serva, truffaldina e vigliacca, che garantisce i suoi privilegi e guarda con sfacciata indifferenza la città affondare. Una rabbia enorme e sacrosanta, che però si tiene sempre lontana da un qualsiasi progetto di trasformazione. La politica fa schifo, e per provare a cambiarla devi mettere in gioco la tua vita. Non ci vuole molto a trovare un ragazzino disposto per qualche centinaio di euro a levarti di torno per sempre. Il “sistema” controlla tutto, e quando non lo fa, sono guai anche peggiori. Nell’ultimo quarto di secolo le bande di camorra hanno commesso circa quattromila omicidi, e la faida tra la vecchia Organizzazione e gli “scissionisti” ha devastato in questi anni Scampia e Secondigliano, e Napoli tutta.

Contro bambini inermi e terrorizzati

Una rabbia che ha subito suscitato in me solidarietà, comprensione e condivisione: fate bene ad arrabbiarvi. Abbattiamolo questo sistema marcio fin dalle fondamenta! Ma poi che succede. Io me ne torno nella mia grigia città, e dalle cronache o dai resoconti degli amici lasciati comprendo che là le cose vanno sempre peggio. Gomorra e monnezza. Alla ribalta del mondo. E quella rabbia contro chi si sfoga. Ovvio, contro gli ultimi degli ultimi. Gli Zingari, certo. Loro una casa neppure ce l’hanno. E poi rubano, sporcano, insultano. E allora ecco il bersaglio perfetto della frustrazione dei Napoletani più poveri, che si scatena appunto contro chi sta, se possibile, ancora più in basso. Non vanno sotto il Palazzo della Regione ad assediare Bassolino, non vanno in piazza per chiedere lavoro e giustizia. Gioiscono invece perché la camorra brucia le baracche dei Rom. Urlano contro bambini inermi e terrorizzati. Una ragazzina delinque (non si capisce ancora adesso come e perché) e ha inizio il pogrom, la spedizione punitiva contro gli “altri”. Il solito meccanismo del capro espiatorio. Ha funzionato anche per gli Ebrei. E chi minimizzava ha avuto torto. Ora li hanno cacciati. Ma dove? Dove c’è posto per i reietti dei Campi?
Le scene che abbiamo visto a Ponticelli sono un vulnus insopportabile a tutta la nostra idea di civiltà. Ma purtroppo non è un caso isolato. Lo sapete tutti. Si è aperta nel nostro Paese la caccia allo straniero.
Si esasperano i toni, e il sistema mediatico, irresponsabilmente, soffia sul fuoco. I cittadini non ne possono più! E di che cosa? Delle badanti che per ottocento euro al mese accudiscono i nostri anziani lasciando i propri figli a migliaia di chilometri? Dei manovali che rischiano la pelle lavorando in nero per costruire le nostre case? Della miseria e della desolazione di persone costrette (loro malgrado, ribadiamolo) a vivere in abominevoli campi di baracche abusive e sgangherate ai margini delle nostre città? «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti». Non inizia forse così la Dichiarazione universale dei diritti umani? Era solo uno scherzo durato sessant’anni? E allora perché tante persone vivono di stenti, in tende e roulottes di fortuna, senz’acqua, senza riscaldamento, senza i minimi servizi, e circondate pure dall’ostilità della popolazione e delle istituzioni? Non devono star lì, si dice. Verissimo. Ma quali sono le alternative? Cosa facciamo per gli ultimi e per chi vive ai margini? Se non sono sotto i nostri occhi, tutto bene? Basta non vederli e il problema è risolto? E poi l’equazione Rom uguale delinquente o straccione è un attestato di puro razzismo.
I miei amici Rom perfettamente integrati e italianissimi non sanno più come fare a spiegare la differenza che passa tra l’etnia a cui si appartiene e le condotte che singoli, peraltro spesso costretti da circostanze funeste, mettono in atto. Noi ci sforziamo ostinatamente di distinguere. Ma ecco che sulla prima pagina di un importante quotidiano campeggia questo orrido titolo: «Nominati i prefetti anti-Rom». Anti-rom?! Razzismo spudorato e idiota. Potevano almeno aggiungere «che delinquono». Ma no, che bisogno c’è. I Rom rubano tutti. Disinformazione criminale.

La tentazione al ripiegamento

È vero che non ci sono nell’immediato soluzioni del tutto convincenti. Che la situazione è particolarmente complessa. Quello che però non possiamo fare è tacere di fronte allo scempio che si sta perpetrando nei confronti delle nostre leggi e dei fondamenti del nostro Stato di diritto. La tentazione può essere quella di sottrarsi alle brutture che ci circondano. Di ripiegarsi su di sé e sui problemi del proprio quotidiano. Ma l’unica cosa davvero sbagliata in questo momento mi sembra che sia proprio l’indifferenza. Non possiamo stare a guardare. Dobbiamo reagire in qualche modo. Inutile pensare soltanto a curare il proprio orticello. Tanto prima o poi qualcosa o qualcuno verrà a devastarlo. E allora forse capiremo come si sono sentiti i Rom a Ponticelli.

Giorgio Barberis

Questo testo è originariamente apparso nel sito: www.cittafutura.al.it.