rivista anarchica
anno 38 n. 338
ottobre 2008


repressione

Tra Modena e Pechino
di Andrea Papi

 

Può apparire un confronto impossibile. Invece, se si ragiona un po’, tra il gigantesco spettacolo di potere delle Olimpiadi e la “piccola” distruzione dello spazio fisico (ma non dell’esperienza) di Libera può esserci qualche elemento di riflessione. E in mezzo ci sono la Georgia, altre guerre, attentati terroristici, ecc.

Venerdì 8 agosto 2008 lo spazio sociale anarchico autogestito “Libera” è stato sgomberato con la forza per volontà dell’amministrazione locale di centrosinistra. Mentre una gran massa di teleconsumatori seguiva lo sfarzo faraonico della cerimonia d’apertura dei giochi olimpici di Pechino, a Marzaglia nelle campagne modenesi era di scena quest’altro spettacolo, a differenza del primo non spettacolarizzato mediaticamente, eppure non meno importante. Ma nella società dei consumi, si sa, l’importanza dell’evento è determinata dalla pubblicità della spettacolarizzazione voluta dai poteri di turno.
Non è meno importante per il piano simbolico che Libera si è conquistata e ormai rappresenta. E non soltanto per gli anarchici, ma per tutta l’area politica di opposizione al sistema di cose presente. Ma azzarderei per l’umanità intera. Per quell’umanità vilipesa, annichilita dal senso di precarietà che tutti ci ammanta, resa psicologicamente impotente dallo strapotere del consumismo globalizzato imperante e dei mercati finanziari, che si trova a dover fare i conti quotidianamente con una costante di perdita di senso delle proprie esistenze.

Ma quale spirito olimpico?

Certo! A Pechino si è svolto lo spettacolo planetario delle olimpiadi, enfatizzato dal bisogno della Cina di mostrare al mondo efficienza, lussuria di potere e grandiosità del suo nuovo ruolo di grande potenza destinata, almeno secondo il trand registrato dagli osservatori internazionali, a diventare la futura superpotenza incontrastata e incontrastabile. Ci ha propinato un mix micidiale e oltremodo reazionario di socialismo realizzato, di comunismo di stato, di poliziesco pugno di ferro bolscevico e di potenza capitalista all’avanguardia, da far invidia alle sempre più obsolete classiche potenze del capitalismo occidentale, USA e UE in testa.
Non si sono neppure preoccupati di rispettare il decantato spirito originario dei giochi olimpici. Nell’antica Grecia durante le olimpiadi le guerre si fermavano. Durante queste dell’estate 2008 l’esercito russo ha attaccato la Georgia con migliaia di morti, la polizia cinese ha pestato più volte giornalisti stranieri che volevano documentare situazioni interne poco chiare, in Tibet ha represso nel sangue una manifestazione di popolo e ha soffocato ogni dissenso interno, mentre nelle sue regioni islamiche ci sono stati attentati con decine di morti. C’è stata inoltre una recrudescenza bellica nell’Afghanistan continuamente in guerra e uno spietato attentato in Algeria. Senza esagerare, sono state olimpiadi cruente, all’insegna della spietatezza del dominio imperante.
A livello simbolico non rappresentano altro che il presente di un futuribile a breve scadenza già vecchio e sorpassato, in declino nei contenuti e nel senso: è l’apice dell’ipersfruttamento economico globale, della creazione di sacche di povertà, della produzione di alti gradi d’inquinamento, dell’affossamento delle libertà della finzione democratica, della fine dell’illusione della via autoritaria per la conquista dell’emancipazione, della guerra come strumento di relazione politica tra gli stati. È il mondo che conosciamo, aggiornato e decadente, capace di perpetuare morte, sofferenze e schiavizzazioni.

Cultura reazionaria egemone

Libera, al contrario, pur di piccolissima dimensione territoriale e d’azione, non certo paragonabile in alcun modo alla grandiosità enfatica del colosso cinese, ha opposto e oppone una grandezza cosmica di significati e di esperienze, che simbolicamente la proiettano oltre il contingente, facendone un avamposto di un probabile futuro di liberazione dalla cappa plumbea di un presente incapsulato nelle aberranti forme del dominio vigenti. Parlo di un futuro possibile, non certo ovvio. Come si sa del doman non c’è certezza! Ma il bisogno di soluzione allo sfacelo del presente preme con sempre più forza ed attende solo di essere capito e introiettato come desiderio di riscatto. Le insoddisfazioni e le frustrazioni esistenziali continuano ad accumularsi, perché i sistemi di potere in atto sono sempre meno in grado di risolvere i problemi che creano.
L’atto finale nudo e crudo assomiglia ai tanti che stanno costellando il belpaese in questo periodo di cultura reazionaria egemone: un altro spazio libero di autonomia sociale è stato sgomberato e chiuso, in questo caso demolito, con la prepotenza della forza istituzionale. Ma dietro la sterile cronaca del fatto in sé ci sta lo svolgimento di una vicenda umana e politica enorme, carica di profondi significati di libertà, di emancipazione e di sperimentazione alternativa, capace di opporsi al potere e di metterlo in difficoltà con sperimentata efficienza e grande coerenza. Dietro ci sta una limpida consapevolezza di voler vivere e sperimentare il più possibile l’anarchia all’interno dei limiti imposti dall’oggi e di lottare con rigore per non essere semplicemente sopraffatti.
Come spiega bene il curatissimo sito di Libera (http://www.libera-unidea.org), dapprima occupato lo stabile otto anni fa, la giunta del Comune di Modena lo assegnò poi a Libera nel 2002 con un contratto tacitamente rinnovabile di anno in anno, che sarebbe dovuto scadere in novembre. Nell’aprile di cinque anni fa, venne presentato ufficialmente il progetto per la costruzione di un autodromo nella zona di Marzaglia, dove appunto risiede lo spazio sociale autogestito. Ma i burocrati amministrativi non avvisarono i “Liberi” e procedettero nei loro piani senza considerarne la presenza, come se non ci fossero e non avessero dato loro alcuna concessione. Da allora inizia un braccio di ferro, fatto di scorrettezze istituzionali, di detti e non detti, che sfocerà nello sgombero dell’8 agosto e nella demolizione del fabbricato, illegale perché senza preavviso formale di rottura della concessione.
Nel corso della vicenda si scopre che quel terreno era vincolato per questioni ambientali, ma che, non si sa per quale stregoneria, i documenti vincolanti sono diventati introvabili. Con grande evidenza salta agli occhi la volontà degli amministratori, incuranti di qualsiasi ragione ecologica e ambientale, di costruire un ecomostro, un autodromo, per ragioni di puro business. Al punto che sia il WWF sia Italia Nostra hanno presentato ricorso al Tar per l’impatto ambientale devastante che quell’enorme costruzione di cemento rappresenterà una volta installata, distruggendo campi di verde e zone agricole preziose e ricche dal punto di vista agronomico.

Opposizione al potere

Libera diventa immediatamente il riferimento fondamentale di questo scontro in loco, dove si trovano a confronto due modi opposti d’intendere la tutela del territorio, la convivenza e la gestione sociale. Inizia fin da subito una fortissima battaglia di denuncia e di resistenza per la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente e per il diritto a gestire direttamente l’esistenza di chi risiede, senza ingerenze autoritarie motivate da interessi che contrastano con quelli delle popolazioni in loco. Libera è il fulcro culturale e alternativo di opposizione a un potere che agisce per i propri interessi di casta e non per quelli generali dei cittadini che si vanta di rappresentare. Fin dall’inizio dichiara che non accetta di essere mandata via, non tanto per la difesa del sito, ma per opporsi a un piano devastante antiecologico, in nome dei valori di un corretto rapporto con la natura, della libertà di scelta e della gestione diretta delle cose. E raccoglie attorno a questa battaglia una grandissima solidarietà di persone e associazioni.
Ma prima di essere questo polo di riferimento resistenziale, Libera si è distinta e caratterizzata per ciò che è in essenza: uno spazio di sperimentazione anarchica propagatore di cultura libertaria alternativa.
A tutti gli effetti rappresenta un cuore pulsante della lotta universale contro il dominio. La sua lotta, che continuerà anche se hanno abbattuto lo stabile, è diventata un simbolo della lotta per l’emancipazione, perché assomma in sé più prospettive e più contenuti emancipatori.
Fin dagli esordi è stata un efficace e riuscito esperimento di autogestione. Si è sempre posta come momento alternativo di sperimentazione libertaria, per scelta sul fronte della costruzione di una società di tipo anarchico, ma aperta a ogni esperienza che si ponga su un piano di consapevole e volontario libertarismo. I suoi metodi organizzativi e decisionali per la gestione interna e delle relazioni esterne sono lì a dimostrare l’efficienza della sua conduzione.
Per convinzione teorica e propensione egualitaria consolidate, nei fatti ha sempre rifiutato e contrastato le logiche e le pratiche capitaliste di accumulazione e di mercato. Volontariamente ha scelto di distribuire attraverso lo scambio solidale e non remunerativo le proprie autoproduzioni (pane, prodotti biologici dell’orto, produzione di periodici, di fanzine, di cd, ecc.), mentre si è sempre autofinanziata rifiutando ogni sponsorizzazione commerciale ed accettando soltanto contributi volontari e solidali.
Significativo è ciò che scrivono gli stessi “liberi” nel Volantone su cos’è Libera del 6 febbraio 2002, pubblicato nel loro sito:

Nel nostro spazio non importa come sei vestito, qual è la tua età, il colore della pelle, il sesso. Interessa il rispetto per lo spazio, per gli altri e la disponibilità a mettere in discussione il sistema di dominio. A noi interessa molto che non si paghino le iniziative e che comunque i prezzi siano più bassi possibile. A volte si fanno delle cose in sottoscrizione e in solidarietà e tutti possono verificare che i soldi raccolti arrivino a destinazione. Chi non ha soldi può entrare e ha diritto a mangiare gratis. La gente a Libera si trova molto bene perché siamo riusciti a dare molta importanza alla comunicazione. La società esterna con i modelli culturali e comportamentali imposti sta disgregando il tessuto sociale, noi invece stiamo risocializzando, cioè creando uno spazio dove ognuno va bene com’è, dove non è importante da dove vieni ma il fatto che stai contribuendo, con la tua presenza, a consolidare uno spazio con dei contenuti forti dove ognuno può esprimersi e socializzare.

Fin dall’inizio è stata un esempio di rapporto innovativo con l’ambiente, riconoscendosi in una visione ecosistemica: autocostruzione di pannelli solari, autogestione di produzioni alimentari autenticamente biologiche, nei limiti del possibile raccolta differenziata autogestita dei rifiuti. Nello stesso tempo si è sempre trovata al fianco di tutte le lotte del territorio contro lo sfruttamento lavorativo e a favore degli emarginati sociali, oltre che presente, disponibile e propositiva per lotte contro tutte le forme vigenti del dominio, quali i militarismi e le militarizzazioni, gli statalismi, i clericalismi, le incombenti istituzionalizzazioni, spartitorie e partitocratriche, di ogni esperienza socializzante, essendo sempre dichiaratamente per l’autonomia di fatto delle esperienze.

Gioia di vivere

Infine è stata costantemente promotrice culturale in zona, promuovendo iniziative di vario tipo inerenti diversi campi della conoscenza e dell’esperienza: da quello politico, a quello artistico, a quello laboratoriale. Ogni volta ha cercato di stimolare, riuscendoci quasi sempre, la gioia di vivere nelle relazioni sociali e nella costruzione e gestione della propria esistenza, convinta che soltanto stimolati dalla gradevolezza della condivisione sia possibile cominciare a porre le basi per la costruzione di una società alternativamente umanistica e per un benessere diffuso che non scada nello squallore economicista oggi imperante.
Per tutte queste ragioni, propagandate e vissute come esperienza concreta riuscendo a conservare efficacemente una rara capacità di efficienza e coerenza, Libera ha rappresentato e continua a rappresentare un grande esempio di ricerca esperienziale dell’alternativa libertaria e di lotta per il raggiungimento dell’emancipazione estesa ad ogni essere umano. Lo scontro cui è pervenuta per non volersi coerentemente piegare non è solo riferibile alla resistenza contro l’autodromo, più che altro occasione per eliminare il sito in cui era insediata, ma per l’autorevolezza di presenza alternativa che si è conquistata, molto più pericolosa per il potere. Tanto è vero che non è affatto sicuro se i burocrati amministrativi riusciranno nei loro intenti speculativi. Intanto sono riusciti a smantellare quel luogo così incontrollabile e non omologabile.
Non è però stata per niente annichilita l’energia e la qualità dell’esperienza che lì si è consumata per otto anni di autentica autonomia ed autogestione. Sono sicuro che continuerà in altre forme altrettanto efficaci, per affermare un nuovo modo di vivere e di organizzare l’esistenza, simbolo di lotta che si svolge nell’oggi, ma che contiene grandi e universali prospettive per il futuro di tutti, esseri umani, specie viventi e cose.

Andrea Papi