rivista anarchica
anno 38 n. 340
dicembre 2008-gennaio 2009


lotte

L’indiscreto fascino dell’ipermacchina del consumo
di Andrea Staid

 

Intervista a Manuel del collettivo “Senza tempo né denaro” aderente all’USI-Commercio sulle prime lotte autogestite all’Ikea di Brescia.

 

Ikea è stata fondata nel 1943 da Ingvar Kamprad che, attraverso la logica dei costi contenuti per prezzi irresistibili, riesce ad omologare la vita domestica del pianeta Terra. Nel 1953, apre il primo negozio come esposizione di mobili e, in breve tempo, si espande a Stoccolma, Zurigo, Monaco, Australia, Canada, Austria, Paesi Bassi, Belgio, Usa, Regno Unito, Italia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Russia, Cina, Emirati Arabi e cosi via. Oggi, i punti vendita sono 237 in 30 paesi del mondo con oltre 90.000 dipendenti e un fatturato, nel 2005, di 18,70 miliardi di dollari.

In Italia, Ikea è presente dal 1989 con i magazzini, aperti sette giorni su sette, di Milano, Roma, Brescia, Padova, Genova, Bologna, Firenze, Napoli ed è in programma di aprire a Salerno, Bari, Catania, Palermo.
Ikea, come le altre catene della distribuzione, annulla ogni specificità locale, esalta il consumo, influenza e condiziona gli stili di vita. Per di più, Ikea è in grado di costruire intere città, come ha già fatto in un quartiere della scozzese Glasgow con un centinaio di case prefabbricate, spartane e a prezzi competitivi.
Quattrocentodieci milioni di clienti in tutto il mondo, centosessanta milioni di cataloghi distribuiti (superata la diffusione della Bibbia): Ikea, la multinazionale del prêt-à-habiter, purtroppo gode di buona salute. Un simile successo ha conseguenze drammatiche. All’apertura di un negozio in Arabia saudita, l’1 settembre 2004, l’azienda regalava un assegno di 150 euro ai primi cinquanta clienti e una folla vi si precipitò: due morti, sedici feriti, venti malori.
Come spiegare l’infatuazione mondiale per Ikea? Oltre ai bassi prezzi, una chiave del successo risiede nell’immagine di sostenibilità ambientale e sociale che la multinazionale ha costruito.
Dopo il primo subappalto straniero (la Polonia, nel 1961), Ikea delocalizza una parte delle sue produzioni, alla ricerca di manodopera economica e sfruttabile. Perciò la percentuale della produzione realizzata in Asia è in continuo aumento. Attualmente, la Cina supera la Polonia, tanto da rappresentare il maggior fornitore della società, con il 18% dei prodotti del gruppo. In totale, il 30% del «made in quality of Sweden» proviene dal continente asiatico .
Dagli anni novanta, in reazione agli attacchi delle organizzazioni ambientaliste sul legno, Ikea ha stretto legami con il Fondo mondiale per la natura (Wwf) e Greenpeace. Quando viene accusata di far lavorare i bambini, studia degli accordi con Unicef e Save the Children.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di sfruttamento del lavoro minorile nei paesi sottosviluppati, le denunce dei sindacati circa il mancato rispetto degli orari di lavoro contrattuali, quelle dei fornitori costretti a lavorare a condizioni inique, l’impiego di materiali pericolosi per la salute come la formaldeide o per l’ambiente come il PVC negli imballaggi.

Conseguenze disastrose

La società industriale in cui viviamo si è espansa e i suoi squilibri cronici sono diventati planetari. Siamo entrati in un tempo terribile caratterizzato dal fatto che le più grandi aziende progettano se stesse a misura del mondo. E l’economia liberale, di cui esse sono espressione, continua a propugnare un’idea di crescita e sviluppo autocentrata, le cui devastanti conseguenze, rispetto agli umani e al loro ambiente, sono sotto gli occhi di tutti.
Una nota positiva è che nell’ottobre di quest’anno è cominciata a Brescia nella sede Ikea una lotta totalmente autogestita dei lavoratori che rivendicano l’assunzione di 7 dipendenti a cui non è stato riconfermato il posto dopo 4 anni di contratto e soprattutto lottano contro la precarizzazione del lavoro.
Ogni sabato stanno facendo blocchi, presidi e volantinaggi davanti alla sede Ikea di Brescia, e nelle ultime settimane questa lotta si sta estendendo ad altre città.
Per capire meglio quello che sta succedendo ho deciso di fare qualche domanda a Manuel del collettivo senza tempo né denaro-USI commercio, che lavora in questa sede Ikea e sta partecipando alle lotte.

Come avete fatto a iniziare all’interno di un colosso come Ikea?

Sono entrato in Ikea nel marzo del 2005 come precario in una ditta esternalizzata, prima della ristrutturazione dell’azienda.
La prima iniziativa in Ikea nasce quando, nel luglio del 2006, scopro dai quotidiani locali che, nei pressi del negozio, erano stati depositati trenta container d’amianto non in sicurezza.
Deciso a fare qualcosa per farli rimuovere, ne ho parlato con i compagni a me più vicini dove è nata l’idea di provare a costruire un’iniziativa. Abbiamo indetto un paio di incontri dove poter avvicinare i lavoratori di Ikea sensibili a questo problema. Devo dire che alle due riunioni non si presentò mai alcun lavoratore di Ikea! Tra i compagni alle riunioni, era presente anche un aderente dell’Unione Sindacale, con il quale ho iniziato a collaborare. Abbiamo fatto una serie di volantinaggi all’interno del negozio, io all’interno degli spazi deputati ai lavoratori (per esempio nella sala fumatori vicino alla mensa) e i compagni esterni all’interno del negozio. Sono stati volantinaggi fatti, lasciando volantini tra i mobili o di nascosto nelle tasche dei colleghi. Questa cosa ha prodotto che l’amianto è scomparso in una decina di giorni.
Molto probabilmente i nostri volantini hanno dato un colpo d’ala alle procedure di smaltimento dopo un anno di immobilismo. Questa cosa ci ha prima di tutto mostrato la fragilità di Ikea di fronte all’opinione pubblica ed inoltre ci ha dato la convinzione che fosse possibile costruire qualcosa all’esterno dei sindacati di stato.
Abbiamo così iniziato a costruire un collettivo autorganizzato di lavoratrici e lavoratori, con volantinaggi frequenti e contattando quotidianamente i vari lavoratori.
Nel frattempo, è iniziata una ristrutturazione aziendale selvaggia che ha colpito duramente le condizioni di lavoro.
Per tutto questo periodo (un anno e mezzo), è andata intensificandosi la collaborazione con l’USI (Unione Sindacale Italiana) per la consulenza sui vari passaggi legislativi di volta in volta presenti, e per la completa autonomia che rappresentava per noi lavoratori interni.

A che punto siete oggi?

Dopo sei settimane che siamo presenti, davanti ad Ikea, se da un lato non abbiamo ancora avuto nessun reale segnale da parte dell’azienda dall’altro l’essere presenti ci sta mostrando una grande solidarietà da parte sia dai lavoratori che dai clienti, non solo ma sino ad oggi abbiamo avuto volantinaggi di solidarietà nei vari negozi Ikea di Parma, Firenze, Bari, Innsbruck da parte dei compagni dell’USI che la hanno assunta come vertenza nazionale ed a Milano Corsico da parte dei compagni della FAI. Stiamo inoltre iniziando a preparare un campagna di solidarietà internazionale nei confronti della nostra lotta con le altre sezioni dell’AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori, di cui fa parte – per l’Italia – l’USI.
Pensiamo sia necessario continuare ed aumentare la pressione nei confronti di Ikea per poter giungere ad una vittoria in quanto seppur l’azienda tace, i vari capetti Ikea vivono con ansia la nostra presenza davanti al loro bel negozio e la cosa ci mostra il loro sempre maggiore disagio alla presenza dei lavoratori in lotta.

Paga giornaliera: €1,60

Dopo aver installato negozi in Russia e in Cina, mercati promettenti,
il gigante svedese Ikea ha comunicato, in ottobre, che non intende aprirne in India
«per via della legislazione eccessivamente vincolante per le imprese straniere».
Il gruppo si accontenta di fabbricarvi i prodotti, senza vincoli – soprattutto sindacali –,
pagando ogni lavoratore 1,60 euro al giorno...

Piattaforma unitaria

Che prospettive vi date?

Prima di tutto, la riassunzione immediata con contratti a tempo indeterminato a condizioni di lavoro dignitose per i lavoratori licenziati.
È chiaro che l’obbiettivo della lotta non è solamente la riassunzione, ma quello che è in gioco è creare una lotta contro il precariato attraverso l’azione diretta dei lavoratori autorganizzatisi e che sia riproducibile tra i lavoratori.
L’altra prospettiva che ci diamo, nella lotta contro la ristrutturazione aziendale, è di mobilitarci su una piattaforma unitaria tra i lavoratori direttamente assunti da Ikea e delle ditte esternalizzate che abbiamo costruito nei mesi scorsi con la collaborazione dei lavoratori.
Vogliamo infatti intervenire nel contratto integrativo aziendale Ikea che scade a fine dicembre 2008, chiedendo condizioni di lavoro dignitose, l’aumento dell’organico con contratti a tempo indeterminato, un aumento medio di 200 euro lordi e l’estensione del suddetto contratto a tutti gli appartenenti alle ditte appaltate da Ikea.
A stesso lavoro, stessa paga è la parola d’ordine che emerge dai lavoratori.

Come si comportano i sindacati confederali?

All’interno di Ikea-Brescia è presente esclusivamente la Filcams-Cgil. All’inizio, di fronte ai sette lavoratori licenziati, la r.s.u. oltre promettere immediate riassunzioni inesistenti, alla fine del contratto dei lavoratori, è stata latitante.
Quando i lavoratori si sono rivolti a noi, hanno iniziato e continuano a cercare di convincere i lavoratori ad abbandonare il presidio ed intraprendere ipotetiche vie legali o richieste di buoni-uscita nei confronti dell’azienda, come se azienda e sindacato fossero tutt’uno. Cosa non accettata tra i lavoratori.

I lavoratori come reagiscono alle vostre rivendicazioni e proposte?

Devo dire che se prima del presidio dei lavoratori licenziati all’esterno di Ikea, eravamo più spesso noi a contattare i lavoratori, ora sono i lavoratori che ci contattano e partecipano attivamente alla costruzione della piattaforma per il contratto integrativo.
Stiamo notando che aumenta di giorno in giorno la solidarietà dei lavoratori interni, tanto che stiamo cercando di organizzare uno sciopero in solidarietà dei lavoratori licenziati e contro la ristrutturazione.

Il management Ikea come si comporta?

Sostanzialmente non stiamo ricevendo pressioni dirette, anche se pensiamo che questa sia una loro strategia, in quanto dall’inizio della ristrutturazione abbiamo iniziato a vedere sanzioni disciplinari anche all’Ikea, tanto da dover volantinare tra i lavoratori su come rispondere alle sanzioni visto che la Cgil, sindacato unico ufficialmente presente in azienda, non ne ha mai contestata una, garantendo come usi la difesa dei lavoratori.

La polizia come si comporta con voi?

L’unico problema avuto con la polizia è stato il terzo giorno di presidio, in cui la Digos è venuta volendo identificare i presenti nel solito modo intimidatorio. Intimidazione caduta nel momento stesso in cui abbiamo preteso ed ottenuto i nomi di chi ci stava chiedendo i documenti. Da allora non li abbiamo più visti.
Crediamo fermamente alla possibilità di vittoria in questa lotta, ma crediamo anche che questa apra prospettive di lotta che portino all’eliminazione del precariato. Crediamo sia importante intervenire nelle situazioni di precariato selvaggio rompendone la logica. Pretendendo ogni volta assunzioni a tempo indeterminato. Crediamo inoltre che oggi la parola d’ordine A stessa paga, stesso lavoro sia centrale in una situazione di frammentazione tra i lavoratori che, perché assunti da ditte diverse, prendono salari diversi nella stessa azienda per lo stesso lavoro.
Lotta che, se generalizzata, romperebbe le logiche di precariato e della ricattabilità dei lavoratori.
Invitiamo comunque tutte e tutti a solidarizzare con i lavoratori Ikea, boicottando Ikea, volantinando, oppure facendo fax di solidarietà a: Ikea Italia 02/92927330 e a Ikea Brescia 030/2788207.

Andrea Staid

Scateniamoci!

Cronaca dell’azione contro Ikea Torino
9, 10 e 11 ottobre 2003

Nel pomeriggio una ventina di persone si sono introdotte del magazzino
di arredamenti Ikea. La società svedese fa produrre i propri articoli di arredamento
a detenuti, sfruttando la mano d’opera a basso costo.
Inoltre il padre fondatore della multinazionale Ikea, un noto personaggio di estrema destra finanziava, con i suoi profitti, gruppi neo-nazisti.

L’azione è durata una ventina di minuti, mentre una parte delle persone si sono dilettate a imbrattare di colore i mobili in esposizione, gettando fiale puzzolenti e polveri orticanti, altri hanno attaccato uno striscione sulla facciata principale dell’immobile, con scritto: “I mobili di Ikea sono fatti sfruttando i prigionieri”.

Tutte le persone si sono dileguate prima dell’intervento della polizia. Scateniamoci!