rivista anarchica
anno 39 n. 345
giugno 2009


 

 

Ricordando
Diego Camacho

Diego Camacho

Il 14 marzo, a Barcellona, è morto Diego Camacho Escámez (alias Abel Paz), nato nel 1921 ad Almería, in Andalusia.
A sei anni si trasferisce a Barcellona presso uno zio militante della CNT. Nel 1932 entra nella Escuela Natura (una struttura pedagogica libertaria seguace di Francisco Ferrer), del Clot, un rione operaio della capitale catalana. Entra nelle Juventudes Libertarias nel 1935 ad Almería dove si ferma con la madre, militante della CNT, fino al febbraio 1936 quando torna a Barcellona. Qui aderisce alla FAI e alla CNT, è attivo nei gruppi di difesa del Clot e contribuisce alla fondazione del gruppo Quijotes del Ideal che si oppone alla linea moderata della dirigenza CNT-FAI.
Dopo un arresto subito nel maggio 1937 (durante le giornate in cui gli anarchici sono sotto il tiro degli stalinisti), va a conoscere di persona le collettività agricole, scrive su Tierra y libertad, organo della FAI, e partecipa alla lotta armata sul fronte catalano. Nel gennaio 1939 è tra le centinaia di migliaia di catalani e spagnoli che fuggono da Barcellona e si rifugiano in Francia. Riesce a lavorare per qualche tempo e nel 1942 inizia la lotta clandestina passando i Pirenei. Viene imprigionato dalla polizia franchista passando cinque anni di prigione in prigione per aver cercato di ricostruire la CNT. Dopo pochi mesi di libertà, è detenuto per aver partecipato ad una riunione delle Juventudes e passa altri cinque anni nelle poco confortevoli galere franchiste. Uscito nel 1952 riprende, come molti altri anarchici, l’attività clandestina e nel 1953 è delegato dell’organizzazione clandestina al Congresso della AIT. Resta quindi in Francia e compie una breve, e sfortunata, missione in Spagna per conto della Comisión de Defensa.
Si trasferisce in varie città francesi con la compagna Antonia Fontanillas (di storica famiglia anarchica e con cui vive fino al 1958), e partecipa a numerosi incontri e attività dei vari settori libertari, dalle Juventudes alla FAI, dalla CNT agli ambienti giovanili antifranchisti.
Negli anni Sessanta inizia a scrivere la lunga, e tuttora la più completa, biografia di Durruti (ed.it. in 2 volumi edita nel 1999 e 2000 da Zero in Condotta, La Fiaccola e BFS) e una serie nutrita di volumi storici.
Torna in Spagna nel 1977 sull’onda della rinascita del movimento e si impegna per una ripresa qualitativa oltre che quantitativa. Malgrado qualche delusione, resta a sud dei Pirenei e continua a redigere la propria lunga e articolata memoria personale in 4 volumi (in italiano è tradotto il secondo: Spagna 1936. Un anarchico nella rivoluzione, 1998). È tra i pochi militanti anziani a comunicare costantemente, e spesso a polemizzare, con le nuove generazioni di libertari a cui trasmette le amare riflessioni sul passato corrette da uno spirito critico irriducibile ma anche propositivo.
Nel 1995-1996 percorre un lungo giro in Italia per animare una quarantina di incontri pubblici e rispondere all’interesse eccezionale suscitato dal film Tierra y libertad di Ken Loach, che ritiene molto valido e stimolante.
Nel suo piccolo appartamento nel quartiere di Gracia ospita, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, centinaia di compagni che vengono a conoscerlo e a discutere. Malgrado il recente declino fisico, continua a seguire i problemi del movimento e a fornire dati e riflessioni che vengono utilizzati per vari video e libri. Insomma: la morte lo trova in piena attività.

Claudio Venza

Da Claudio, docente di Storia Spagnola all’Università di Trieste, figura di riferimento dell’anarchismo triestino dalla stagione del ’68 e della storia dell’anarchismo e dell’anarcosindacalismo iberici, abbiamo ricevuto questa sintetica nota biografica di Diego.
Tra le centinaia di migliaia di militanti libertari che costruirono l’eccezionale esperienza della rivoluzione anarchica in Spagna, Diego è l’unico che le ultime generazioni italiane hanno conosciuto di persona, grazie alle decine di conferenze da lui tenute in tutta la penisola, nel tour citato da Claudio e in altri successivi – oltre che per i suoi libri, tradotti in italiano.
È questa una ragione in più per pubblicarne, su uno dei prossimi numeri, una biografia ben più articolata, scritta (tanto per cambiare) da Claudio Venza.
Un ultimo saluto dalla redazione di “A” all’amico – oltre che compagno – Diego, cui abbiamo voluto bene aldilà delle maleodoranti nuvole di fumo del suo maledetto sigaro – sempre acceso come la sua irriducibile passione politico-sociale.

Sul prossimo numero pubblicheremo la traduzione dal castigliano di una delle ultime interviste fatte a Diego, realizzata nel 2005 da argentina.indymedia.org, pubblicata nella rivista “Cnt” e in alasbarricadas.org. Ce l’ha inviata la nostra amica e compagna Arianna Fiore, studiosa di storia spagnola, collaboratrice di “A” sia con suoi scritti (l’ultimo, quello sull’antimilitarismo di Chaplin/Charlot, apparso sullo scorso numero) sia con sue traduzioni. “È il mio modo per ricordare Abel Paz” ci ha scritto nell’e-mail di accompagnamento alla traduzione.

 

 

Vendere semi
Non è reato

Qualche volta può accadere che nella penisola italica, patria del diritto moderno e culla della cultura occidentale, ci si sorprenda perché, nonostante il momento di grave crisi economica e gravissima crisi sociale, uno spiraglio di buon senso filtri attraverso la spessa coltre di ignoranza che attanaglia la classe politica e, stagliandosi nettamente dalle opinioni che vanno per la maggiore (corsa alla sicurezza, immigrazione capo espiatorio di tutti i mali, tolleranza zero verso tutti gli stupefacenti), diventi uno stimolo a non desistere, a proseguire per la propria strada mentre il controllo dello Stato sul cittadino aumenta indiscriminatamente e mentre il controllo del cittadino sullo Stato diminuisce inesorabilmente.
La retorica di Stato che, in quanto somma autorità morale, si permette una regolamentazione dei comportamenti e un etichettamento degli stili di vita corretti piuttosto che indesiderati, legittima le quotidiane intrusioni dell’autorità pubblica nella sfera privata dell’individuo. La normalità di questa prassi è purtroppo consolidata. E nonostante la regolarità delle intromissioni può succedere che un’istituzione dello Stato ne neghi la legittimità, riaffermando l’importanza della libertà personale, intesa come libertà di scegliere in autonomia dal potere pubblico e come diritto a manifestare il proprio pensiero.
Siamo a Firenze nel 2007, i gestori di un negozio di semi di canapa vengono accusati di istigazione al consumo di stupefacenti e condannati sulla base di un’indagine sviluppatasi in tutta Italia. L’anno successivo la Corte di Appello della stessa città li assolve perché il reato non sussiste. Non si trattava di istigazione ma di apologia, la semplice esaltazione della qualità della merce venduta, tratto del resto comune ad ogni commerciante a prescindere dal settore d’affari. La vendita dei semi è dunque pacificamente consentita. Il Tribunale distingue fra una condotta illegale come l’istigazione alla coltivazione e una condotta pienamente lecita in quanto naturale conseguenza del principio di libertà di manifestazione del pensiero (art. 21).

Ho posto due domande a Luigi Bargelli, titolare della ditta Semialia di Firenze, indagata per istigazione al consumo di sostanze stupefacenti.

Luigi puoi raccontarmi in cosa consiste la vostra professione e come ci siete arrivati?

Siamo partiti nel 2002 quando in Italia ancora nessuno vendeva semi di canapa al dettaglio o all’ingrosso. Prima di allora bisognava inviare i soldi in Olanda e aspettare i semi. Noi abbiamo solo cercato di proporre un servizio migliore: dare sicurezza e tranquillità ai clienti che nel giro di 24 ore ricevono la consegna e pagano usando il contrassegno. Il lavoro è iniziato contattando le banche del seme olandesi, Amsterdam era il nostro punto di riferimento. Abbiamo stabilito contatti e accordi con le banche principali e abbiamo cominciato a distribuire semi all’ingrosso. Come realtà commerciale siamo nati direttamente su internet, abbiamo riempito un vuoto, una mancanza, considerando che in tutta Italia gli interessati al nostro prodotto si stimano sui 5 milioni. Una parte importante da non dimenticare è che siamo stati i primi a fare informazione sulla materia, abbiamo affermato chiaramente la legalità del seme e la possibilità di distribuirlo. Ai primi tempi nessuno conosceva la legislazione sui semi, noi l’abbiamo letta e l’abbiamo portata ai Carabinieri che se la sono studiata, in generale insomma l’ignoranza era molta.

Su che basi siete stati incriminati e come è proseguito l’excursus giudiziario?

Il discorso è ampio. Nel 2005 ci fu un’operazione della polizia postale che si concentrò su alcuni forum di coltivazione on line. Preciso che nel nostro sito non abbiamo mai dato consigli per la coltivazione, né tanto meno la nostra attività comprende la vendita dei prodotti necessari. Da sempre siamo specializzati esclusivamente nella distribuzione dei semi. La procura d’Imperia invece ci ha tirato dentro l’inchiesta contestandoci l’impianto accusatorio relativo ai forum on line e cioè adducendo che nei testi pubblicati nel sito noi istigavamo al consumo di sostanze stupefacenti. Faccio presente che dal primo giorno che la nostra home page è on line ha sempre specificato esplicitamente che tali condotte sono illegali, addirittura altri siti di colleghi fotocopiano le nostre disposizioni, come esempio da seguire. Comunque tornando al processo, per competenza territoriale, il tutto è stato spostato a Firenze dove in primo grado con rito abbreviato siamo stati condannati a 1 anno e 4 mesi di reclusione, alla multa di 2.000 euro e al pagamento delle spese processuali.
Ovviamente abbiamo impugnato la sentenza e l’anno successivo la Corte d’appello di Firenze ci ha assolto pienamente perché il reato non sussiste: con una sentenza molto dettagliata ha stralciato totalmente l’impianto accusatorio.

L’Italia è un paese che vive una grave fase di insicurezza sociale, economica e culturale. Nei periodi di recessione i governi di turno fanno leva sul senso di frustrazione del popolo per adottare politiche restrittive delle liberta civili, il divieto, la sanzione, le telecamere, tutti meccanismi che in negativo conducono all’abbassamento delle tutele e delle libertà personali. Il tempo per ridiscutere tale approccio sembra mancare, la soluzione presente è l’unica possibile o almeno così ci fanno credere.
Ma se si provasse una volta ad usare il buon senso, nulla di più, se si ricordasse che i diritti sono garanzie conquistate duramente e non possono essere inflazionati come lo sono i nostri stipendi sulla base di una situazione economica negativa. Senza puntare il dito sul prossimo, ma accorgendosi del marcio che abbiamo dentro, la stessa società italiana, moderna, democratica e occidentale dove una donna subisce violenza quotidianamente, nella maggior parte dei casi vittima dei propri familiari, la stessa società che sta progressivamente spogliando se stessa dei traguardi ottenuti in passato. La sentenza di Firenze ricorda a tutti noi che tanti sono i diritti che possono essere infranti, negati, o addirittura aboliti, l’ultimo che ci rimarrà sarà la libertà di parola, parlate dunque quando il clima attorno a voi assume contorni grotteschi e livelli restrittivi intollerabili.
Parlate che il peggio non si evita a bocca chiusa.

Fabrizio Dentini

 

 

Una nuova
Libera

Nuova occupazione degli agitati di Modena

Bisognerebbe rallegrarsi della capacità anarchica di mettere in moto continuamente processi di frammentazione: la ricchezza umana non può nascere dalla uniformità sociale ma dalla diversità sia biologica che culturale ed alla lunga fase di omogenizzazione dell’umanità non sarebbe male se succedesse una fase contraria (Ronald Creagh)

A distanza di 9 mesi dallo sgombero di Libera (cfr. “A” 338) il collettivo degli agitati occupa un nuovo stabile, anzi come scrivono sul loro sito:

I Solidali, Liberi e Agitati venuti da ogni dove hanno liberato un nuovo spazio a Modena in via San Martino di Mugnano sulla sinistra tra Modena e Montale (1).
E sì, hanno liberato un nuovo stabile che da parecchi anni era abbandonato e lasciato al degrado uno stabile molto grande dove sin dal primo giorno di occupazione sono state organizzate iniziative, che vanno dalla costruzione di orti biologici, concerti, e a un importante a un inizio di sistemazione dei locali interni che sono pieni di macerie.
Fra i vari progetti che il collettivo si propone di portare avanti abbiamo: una ciclofficina, una libera scuola autogestita, orti biologici collettivi, mercatino gratuito di vestiti, riutilizzo, riciclo autorecupero e autoproduzione di energia.
L’occupazione è nata all’interno di una tre giorni soprannominata di passione rossonera per liberare spazi d’autogestione. È iniziata con un presidio venerdì 10 aprile in piazza Matteotti per poi proseguire con il corteo di sabato dove hanno partecipato molte persone, un corteo festoso che ha attraversato il centro della città, con svariati gruppi che hanno suonato su un palco a 6 ruote, il tutto chiuso da un trattore con un telo enorme dove è stato scritto “Libera”. La domenica 12 e il lunedì 13 si è tenuta una festa dell’ambiente ed è proseguita la costruzione degli orti.
Il primo comunicato prodotto dagli occupanti che riportiamo integralmente nella pagina seguente è molto chiaro sin dalla prima frase:
L’autogestione è inarrestabile. Inarrestabile perché si nutre di desideri, sogni, idee, progettualità di individui liberi.
Come voler chiarire alla giunta comunale che li ha sgomberati da Libera che è inutile continuare a usare la repressione contro gli individui liberi perché continueranno per questa strada quella della autogestione e della libertà.
Importante notare come la giunta e la questura invece anche questa volta si sia accanita incredibilmente con i manifestanti, sin dalle prime ore del pomeriggio ingenti le forze di polizia e carabinieri dispiegate sul territorio modenese ma soprattutto la Digos era indaffarata a fare fermi (persino a Bologna e Milano), a identificare, fotografare intimidire i compagni che volevano mostrarsi solidali con libera e il collettivo degli agitati, la maggior parte dei partecipanti di questo corteo forse addirittura fin troppo festoso, sono stati fermati, schedati dalle forze di polizia.
Sabato durante il corteo i gruppi che suonavano invitavano la città a passare nel nuovo spazio a dimostrare la loro solidarietà agli agitati ma l’indirizzo esatto di questo nuovo posto occupato ancora non girava nei discorsi fra la gente, ma incredibilmente già dalla prima serata all’interno dello spazio centinaia di Modenesi sono passati a dimostrare la loro solidarietà, a divertirsi, a bere una birra, ad ascoltare concerti o anche solamente per curiosità.
È molto importante che questa nuova occupazione si assuma una grossa responsabilità verso l’ambiente esterno, non deve isolarsi, deve aspirare con un azione profonda e utile di portata generale a essere un agente di trasformazione, deve sapersi relazionare con la città e con la comunità in cui è inserita. Facendo dell’autogestione e dell’azione diretta una pratica quotidiana , senza delegare a nessuno la propria vita.

Andrea Staid

Modena, 11 aprile

L’autogestione è inarrestabile. Inarrestabile perché si nutre di desideri, sogni, idee, progettualità di individui liberi. In autogestione abbiamo occupato questo spazio dando una risposta alle esigenze e alle volontà di centinaia di persone che sono subito accorse per condividere questo percorso. Da un lato le istituzioni controllano il territorio con la logica delle spartizioni politiche, dall’altro la cultura e i luoghi di aggregazione sono sempre più soggetti a dinamiche di tipo commerciale.
Ma non possiamo pensare che la socialità e la vivibilità di un territorio si possano esaurire in queste risposte.
Lo hanno dimostrato le centinaia di persone che hanno attraversato in questi giorni questo spazio liberato legittimando con la loro presenza questo percorso, infischiandosene se lo spazio fosse di proprietà pubblica o privata.
In una società realmente liberata il diritto di proprietà non può scavalcare il rispetto del territorio come bene comune. Ogni luogo abbandonato, sia pubblico che privato, è uno spazio sottratto alle possibili progettualità di una comunità.
Lo spazio che abbiamo occupato è inutilizzato da circa 15 anni e non ci risulta che su quest’area ci sia da parte del proprietario nessun progetto immediato. Se fosse così questo posto resterebbe abbandonato per chissà quanto altro tempo ancora, cosa che risulta negativa alle persone che abitano qui attorno, che si sono invece mostrate solidali e contente della una nuova vitalità che ha riconquistato lo spazio. Già tante realtà sociali, culturali e artistiche che non hanno trovato risposta da parte delle amministrazioni per poter autogestire le proprie attività, si sono rese disponibili per condividere con noi questo percorso.
Per questo continuiamo a ribadire che il processo dell’autogestione è inarrestabile e facciamo quindi appello alle forze sociali di questa città per l’apertura di un tavolo di confronto con la proprietà. Un tavolo dove una figura super partes faccia da garante per un dialogo costruttivo.
Sarebbe un grave errore rispondere sempre con gli sgomberi a un’esigenza così forte e diffusa.

Gli/le occupanti dell’ex caseificio di San Martino di Mugnano

1. http://www.libera-unidea.org.

 

 

Comune
Urupia

Assaggi eccellenti di vini resistenti

La comune Urupia, a Francavilla Fontana (Br), compie 14 anni. Ne abbiamo parlato qualche volta su “A”. Si trova in un territorio minacciato dalle discariche questa oasi contadina (e libertaria) tra naturalità e resistenza. Tra i loro prodotti, il vino. Pubblichiamo gli appunti di uno stretto collaboratore del compianto Luigi Veronelli, che ha recentemente visitato Urupia per incontrare i compagni e per degustarne i vini. Sue anche la scheda sulla storia della comune e le foto.

“Attenzione, galline in fuga, bimbi che corrono” una simpatica segnaletica dipinta su una delle colonne d’ingresso della Comune libertaria Urupia, ci invita a decelerare, mentre ci danno il benvenuto cinque o sei cani che maltrattati dai loro padroni, abbandonati con legacci al collo, dopo essere stati amorevolmente curati hanno trovato qui la loro dimora definitiva.
Una pasqua strana quella di quest’anno, avvolta da una nuvola di tristezza con il pensiero rivolto al’Abruzzo, alle vittime ma anche ai soccorritori che tra il cemento scadente dell’edilizia speculativa nostrana, cercano di ricostruire la speranza. Mentre la meridiana dipinta sulla masseria segna “l’ora illegale” la campanella suona e richiama gli ospiti che, dal primo mattino, “passano” la fresatrice nelle vigne e nell’uliveto, mentre le comunarde potano alberi di ulivo secolari per raccogliere la legna che servirà a riscaldare le stanze e la cucina comune. Il pranzo è pronto, grosse teglie attendono che uomini e donne le “ripuliscano” a dovere innaffiando il tutto con calici di negroamaro e primitivo di Manduria. I bimbi fanno a gara per conquistarsi il posto a tavola vicino all’amico del momento, gli adulti discorrono piacevolmente sorseggiando il nettare della terra.

Il Salento è da millenni un luogo d’incontro privilegiato tra culture diverse ed i suoi vini, più di ogni altra cosa, esprimono il melting pot di oltre duemila anni di storia. Terminato il pasto, la curiosità ci spinge a visitare la sala per la lavorazione del vino. Lo stupore alla vista dei grandi fusti di acciaio al posto delle caratteristiche botti per la conservazione del mosto si attenua di fronte al piccolo, ma attrezzato laboratorio dove Lele (laurea in fisica ed una smisurata passione per il vino) segue con costante amore, mediante reattivi specifici e alambicchi, le trasformazioni del mosto. Ma è la cantina, posta al piano inferiore, la vera e propria opera d’arte costruita dalle comunarde. I muri in pietra secca garantiscono alle bottiglie riposte ordinatamente sulle scaffalature il giusto tasso di umidità.

I vini, tutti a IGT Salento Rosso, hanno nomi legati al terroir: il Breccia ottenuto da un sapiente uvaggio a base di Negroamaro e Montepulciano prende il suo nome dal terreno pietroso che ospita le viti. Il Sanapi, a base di Primitivo di Manduria e Malvasia Nera, così denominato per i broccoletti un po’ asprigni che vegetano nei campi della comune. Infine il Terrone, vino potente e corposo che esalta il calore e la solarità dei vitigni autoctoni di Negroamaro e Primitivo. Fantasia di colori, di sentori, freschezza, corposità dei vini, felicemente associati al dolce profumo della libertà. Dentro alle bottiglie sono mescolati idee, sogni, aspirazioni di questo gruppo misto di salentini e tedeschi che, in quattordici anni di duro lavoro, hanno dato vita a una realtà associativa alternativa al mondo globalizzato. Quella che solo quattordici anni fa era una porzione di masseria (uno jazzo, recinto per le pecore) con alloggi precari e stalle da riattare, oggi si presenta come una confortevole comune aperta, dotata di campeggio, ludoteca, pannelli solari, impianto di fitodepurazione, impianto di riscaldamento alimentato con residui vegetali, sala olio, falegnameria, officina meccanica, cantina e laboratorio chimico-fisico per le analisi in loco. Quale sarà il percorso dei fermenti utopici che alimentano Urupia?

Chiediamolo ai piccoli Emma, Adele, Matteo, Tobia, Giacomino, Leonardo, Teresa … L’oro del grano, l’azzurro limpido del cielo, il candore dell’aria tersa della campagna incontaminata riflessi nei loro volti lascia sperare che, gemme nutrite dalla linfa della solidarietà, dell’amicizia, del rispetto dell’altrui dignità, della giustizia, dell’amore, … sbocceranno in delicati fiori .
Il vento della libertà ne spargerà i semi…

Angelo Pagliaro

Il progetto Urupia nasce all’inizio degli anni novanta dall’incontro tra un gruppo di salentini – all’epoca quasi tutti redattori della rivista “Senza Patria” – e alcuni tedeschi militanti della sinistra radicale in Germania. Nel 1995 il progetto prende corpo con l’acquisto collettivo di alcuni fabbricati rurali e di circa 24 ettari di terreno nelle campagne di Francavilla Fontana, nell’Alto Salento.

I principi costitutivi della Comune sono: l’unanimità nelle decisioni, il principio del consenso, la proprietà collettiva, l’assenza di proprietà privata. In circa dieci anni sono stati realizzati: impianti idrici, elettrici, del gas, fitodepurazione, pannelli solari, irrigazione, stanze, cucina comune, bagni, magazzini, forni, laboratori, ricoveri per le macchine agricole, un campeggio, sala per stoccaggio olio, cantina e un capannone per le attività sociali. I 23 ha di terra sono stati investiti a oliveto, vigneto, orto e seminativi. Si produce: olio d’oliva vergine ed extravergine, vino rosso-rosato-bianco, ortaggi freschi e conservati, frutta, marmellate, prodotti da forno, miele, erbe medicinali. Periodicamente si organizzano iniziative politico-culturali. La Comune offre inoltre competenze professionali in vari campi. Ha invece bisogno di aiuti con acquisti e distribuzioni dei propri prodotti, sostegno lavorativo nei periodi della raccolta e per le ristrutturazioni.

Per contatti:
Associazione Urupia
casella postale 29 - 74020 San Marzano di San Giuseppe (TA)
tel-fax: 0831 89 08 55
email: comune.urupia@gmail.com