rivista anarchica
anno 40 n. 350
febbraio 2010


lettere

 

Donne e potere

Cara “A”,
ho domande sollecitate da Felice Accame, simpatico autore di Categorie in transito (“A”348, novembre 2009).
Dall’ora delle ragazze alfa alla regola generale indubbia sul modo con cui vengono, se vengono, distribuiti i poteri fra i generi, ci stanno spazi mentali e fisici dove le donne ambiscono a non averli? Avendone in mente ed esercitandone da sempre altri e altrimenti. Di che potere si tratta? O piuttosto di quale potenza più donne che uomini sono portatrici e portatori? Potenza di tenebra, probabilmente?
E se si trattasse del potere di chi non ha potere? di cui parlano la politica femminista e il pensiero della differenza sessuale; non pensa Felice Accame che sia meglio non averlo, non farlo transitare proprio quel potere – non tanto e soltanto perché mal distribuito? Come si fa per una libertà concessa: poca cosa a fronte di una libertà espressa, fosse anche con lo sgarbo di un rifiuto.
Un potere assoluto finisce per scoppiare in assoluta impotenza?
Chi o che cosa meglio di A Rivista anarchica è in grado di rilanciare l’interrogazione con la consapevolezza che la risposta sta in altre domande ancora?
Con l’amore di sempre.

Monica Giorgi
(Livorno)

 

Lager in Italia

Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
mi cercarono l’anima a forza di botte.

(Fabrizio De Andrè)

“Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto”
l’audio shock del comandante delle guardie del penitenziario di Teramo aggiunge altro orrore al dramma delle carceri.
(Fonte: “Il Manifesto”, martedì 9 novembre 2009)

Ecco due testimonianze tratte dalla tesi di laurea “Vivere l’ergastolo”:

Una mattina, mentre mi trovavo al passeggio, vengo chiamato dalle guardie, dopo che mi vengono messe le manette vengo fatto salire in una jeep, mettono in moto ed usciamo. Mi ordinano di tenere la testa abbassata. Ad un tratto una guardia impugna la pistola e mi dice “Stai per morire!” Mi punta la pistola nella tempia destra. Non ho battuto ciglio, certamente la paura c’era, ma non potevo fare nulla. In quel momento pensavo alla mia famiglia, quando sento il grilletto girare a vuoto … una finta esecuzione con le relative risate dei secondini. Come se non bastasse mi si dice:”Ora scappa, corri per la campagna”. Io con la testa faccio segno di no. Un aguzzino mi dà uno schiaffo e urla: “Scappa” io non mi muovo. Prendono una corda la mettono tra le mie manette e la legano alla jeep, mettono in moto e mi tirano dietro, cerco di correre il più forte possibile, ma non posso farlo più forte della jeep, finché con un piede entro in una buca, perdo l’equilibrio, cado e sono trascinato per circa 100 metri con risate e divertimento delle guardi carcerarie.
(Matteo Greco, carcere di Pianosa 1992)

Dopo i primi giorni avvenne il primo pestaggio: quando si usciva all’aria gli sgherri erano messi in fila con i manganelli nelle mani. Un compagno anziano, lento nei movimenti, rimasto indietro, venne preso a calci, pugni e manganellate. Sentivamo urli strazianti. Al ritorno vedemmo tutto il sangue sparso nel corridoio, ma noi eravamo troppo impauriti per potergli dare la nostra solidarietà. E quella nostra debolezza fu l’inizio della fine, perché fatti del genere in seguito si ripeterono sovente.
In quel periodo imparai a conoscermi a crescermi dentro, scoprii che lo Stato è peggio di quel che credevo, mi faceva conoscere privazioni, torture e patimenti nell’assenza totale di legalità, giustizia e umanità. In quella maledetta isola persino i gabbiani erano infelici per quello che vedevano. Alla fine, nell’estate del ’93, iniziai a fare lo sciopero totale della fame …
(Carmelo Musumeci, carcere dell’Asinara 1992)

Perché meravigliarsi tanto dell’omicidio di Stefano Cucchi e delle botte ai detenuti?
Il carcere in Italia è così e basta e non deve rendere conto a nessuno.
Perché queste lacrime di coccodrillo da parte dei politici e dei mass media?
Non è un segreto che in carcere i detenuti vengono picchiati, è sempre stato così e sempre sarà così.
Vengono picchiati soprattutto i detenuti più deboli, i più soli e i più emarginati.

Carmelo Musumeci
ergastolano, Carcere di Spoleto

www.urladalsilenzio.wordpress.com – Gruppo "Urla dal silenzio" su Facebook: http://www.facebook.com/group.php?gid=155797882305&ref=ts

 

Alcune domande sui Rom

Egregio signor Paolo Finzi,
mi trovo a scriverLe nuovamente a distanza di poco meno di un anno, perché credo che Lei sia l’unica persona che probabilmente è in grado di darmi risposte, senza la presunzione di impormi la Sua idea, che comunque so che condividerei quasi certamente (presunzione assunta dai media, dai giornali o solamente dai miei famigliari o insegnanti stessi.)
Io abito in un paesino abruzzese non lontano da Alba Adriatica, ed in questi ultimi giorni, dopo l’omicidio di un giovane da parte di un gruppo di Rom, si stanno facendo più concrete le problematiche relative alla discriminazione di zingari e extracomunitari.
Partendo dal presupposto che per me la violenza o un qualunque tipo di azione che va a ledere i diritti di un qualsiasi uomo, non dipende dalla nazionalità di una persona, ma dalla persona in sé, e che quindi gli uomini sono perfettamente uguali tra loro, mi chiedo quale sia il comportamento adatto da seguire in questa situazione.
Mi sento dire che i Rom sono violenti, hanno una cultura violenta, che li spinge a rubare senza curarsi degli altri, che non lavorano, che sono arroganti, che meritano di essere espulsi dalle città, che sono pericolosi. Io so che queste non sono caratteristiche di quella cultura, ho compagni di classe rom o zingari che sono persone civili e corrette.
Allora io mi chiedo per quale motivo si continua a generalizzare? Perché le persone non si rendono conto che non si deve penalizzare tutta la “categoria” (non troppo delicata e corretta definizione) delle popolazioni rom? Perché invece di alzare polveroni contro queste persone, non chiedono che la legge italiana venga applicata in modo da punire quelle persone solo nel momento in cui si dovessero trovare a commettere un reato? Perché non si rendono conto che la violenza non è caratteristica di una nazionalità o di una cultura, ma dell’intero genere umano?
Oggi in televisione sono arrivati a dire che la popolazione rom è un’organizzazione di stampo mafioso. com’è possibile?
Mi piacerebbe far conoscere a tutte queste persone così ignoranti com’è bella, profonda e diversa quella cultura, non che sia migliore o peggiore della nostra, semplicemente diversa. Questo discorso credo possa essere fatto anche riguardo gli extracomunitari, non solo riguardo i rom.
Mi sono avvicinata a questo mondo (che comunque non conosco abbastanza) grazie a De Andrè, di cui sono una grande appassionata, che mi ha aperto davvero gli occhi, su tante cose.
Grazie in anticipo, spero di ricevere una sua risposta. Cordiali saluti.

la sedicenne e un po’ sconcertata
Carla Tozzi

Alcune risposte sui Rom

Cara Carla,
mi sembra che tu stessa, nel modo di porre le tue domande, già sia vicina alle risposte. La tua apertura mentale, la tua esperienza con i tuoi compagni di classe rom, le tue considerazioni sulla sostanziale uguaglianza di tutti gli individui vanno nella direzione – a mio avviso – giusta.
Nell’accostarci a popoli, culture, individui, abitudini diverse, bisogna innanzitutto mettersi “in ascolto”, cercare di conoscere, di comprendere, di ragionare. E i Rom e i Sinti e le altre popolazioni simili, che da molti secoli popolano il mondo – e l’Europa in maggioranza – richiedono per tante ragioni uno sforzo particolare per essere conosciuti. Sono popoli perlopiù provenienti dall’India, con una loro lunga storia di migrazioni, persecuzioni, dififcoltà di convivenza (ma non dappetutto e non sempre). Il loro nomadismo non è “strutturale”, come dimostrano per esempio proprio i Rom abruzzesi che sono insediati, stanziali, in terra d’Abruzzo da molti secoli.
Non è vero che i Rom siano “violenti”. Tra di loro ce ne saranno di sicuro, come in ogni popolazione, ma non è senza motivo che il nostro Fabrizio De André li abbia proposti per il premio Nobel per la pace, dal momento che sono l’unico popolo che, pur girando in lungo e in largo per un millennio, non ha mai avuto un esercito e non ha mai fatto guerra ad altri popoli.
Chiedi perché tanta gente accolga i numerosi pregiudizi anti-Rom. Il fatto è che per molti è decisamente più rassicurante identificare un nemico esterno, un cattivo di turno (o non di turno, come nel caso dei Rom, che ormai sono capri espiatori fissi), piuttosto che ragionare, cercare di capire, fuardare in maniera autocritica al proprio comportamento.
Un ruolo fondamentale è giocato dai mass-media, che sottolineano sempre l’identità Rom quando c’è un fatto di cronaca negativo che ha per protagonista (vero o spesso solo presunto) uno di loro. Ma riserva ben altro trattamento quando non si tratti di un Rom. Come ho modo di sottolineare sempre quando parlo in pubblico dei Rom, se si evidenziasse da parte dei mass-media che i protagonisti di efferati delitti sono – come in effetti a volte sono – cattolici e brianzoli (penso a Olindo e sua moglie, nel delitto di Erba, ma non solo), se questa campagna di discriminazione e odio contro i cattolici e i brianzoli fosse portata avanti per anni, decenni, secoli come è stato fatto con i Rom, forse a Bergamo oggi leggeremmo cartelli di affitto con su scritto “Non si affitta ai cattolici e ai brianzoli”.
E noi anarchici saremmo qui a spiegare che si tratta di pregiudizi, che anche tra i cattolici e i brianzoli ci sono sì dei violenti, ma che non si deve generalizzare.
E invece (chissà perché) siamo qui a farlo con i Rom.
Cara Carla, tante cose si potrebbero ancora dire sull’argomento, per esempio andando a vedere più da vicino la situazione concreta dei Rom oggi in Italia, i campi, gli sgomberi, la scolarizzazione, l’integrazione, ecc..
Lo spazio per la risposta finisce qui. La battaglia contro tutti i razzismi, no. E tutti possiamo fare qualcosa di positivo, a partire dai nostri comportamenti quotidiani. Ciao.

Paolo Finzi

 

Parola d’ordine: salvarci

Ora ricordo: un giorno ero a sentire una conferenza di un teologo. Dopo ore di soliloquio auto celebrativo sembrava essere giunto (oltre che dall’America per predicare a Rovereto le sue «scoperte» su Dio) alla domanda fondamentale: «Arrossisce Dio quando prova vergogna? Dio prova vergogna»? E soprattutto: «L’embrione di Gesù era onnisciente?». E tanti, tanti ragazzi dalla fronte corrucciata prendevano appunti, scrivevano, scrivevano. Qualcuno, addirittura, provò a rispondere. Non avrei mai immaginato si potessero dire tante cose (chiamiamole così se vogliamo essere educati) su ciò che non si conosce, e non solo perché per onestà faccio mio il consiglio di Wittgenstein («delle cose che non conosciamo dobbiamo tacere»), ma perché non avrei mai immaginato potesse esserci – con le urgenze del presente – un’utilità in discussioni simili. Tanto da impegnare le menti di una ventina di giovani studiosi.
Dopo la conferenza ebbe inizio la visita alla casa del prete-filosofo Antonio Rosmini: non potrò mai dimenticare il «wow!» meravigliato e commosso di fronte al cilicio, che portava il pensatore, tenuto in una teca come una sindone. Occhi curiosi lo guardavano.
A me iniziò a girare vorticosamente la testa. Non capivo cosa ci facevo lì e non riuscivo a sintonizzarmi su quella loro meraviglia, su quella loro attenzione. E qualcosa mi premeva, mi premeva forte nella testa e mi strozzava lo stomaco.
Era il mondo.
Era il mondo fuori di lì che mi chiamava e forse mi insultava. Certo non ero lì per «interesse disinteressato», lo ammetto: ero lì, forse ipocritamente, per circostanza. Ma intanto il mondo chiamava.
Così mi sono chiesto quanto tempo, quante risorse, quante strutture mette a disposizione la cultura per perpetuare soltanto un rituale di potere? Quante parole, pensieri e studi si sprecano, in un momento così urgente come il nostro, solamente per poter fare dei “giochi di ruolo” all’interno del mondo del sapere?
Credo che sia giunta l’ora di smetterla di prendersi in giro: ogni epoca ha le sue priorità. Saper leggere queste priorità richiede intelligenza, conoscenza, saggezza. Spesso coraggio. Una volta riconosciute e condivise con buon accordo (all’oggettività si può sempre aspirare riconoscendo il dominio, pur sempre limitato, della soggettività) bisogna volgersi ad esse con tutta la forza possibile, anche sacrificando caratteri, interessi o discipline. È proprio quello che non sta accadendo. Sicuramente perché cambiare rotta, riorientare anche i saperi, significherebbe riconoscere la presenza grave e incombente del problema.
E in questo nostro tempo niente è più urgente di una riflessione che porti all’azione umana nel tentativo di salvare noi stessi, fisicamente (la nostra specie) e psicologicamente (la nostra anima, o mente, o spirito che dir si voglia: insomma quello che “sentiamo” di essere nelle nostre diversità). E i due movimenti vanno di pari passo. La biodiversità biologica si estingue ad una velocità direttamente proporzionale all’estinzione della biodiversità culturale e soggettiva.
Salvarci deve diventare la parola d’ordine del nostro tempo. I drogati di finto ben-essere non se ne rendono conto, non vogliono o non possono. Il dolore, la morte, o semplicemente la realtà va rimossa con la cocaina, con giochi di perversione, con l’alcol, con l’alienazione, con la dismisura (rispetto sé stessi, e non rispetto la presunta e mortifera morale borghese). E la “libertà” diventa una parola tra le tante, che si consuma e si vomita fuori, perché non sentiamo più la necessità di realizzarci, cioè di “produrre noi stessi nella realtà”. Eppure se una questione importante c’è, è quella della sorte della nostra specie, del mondo tutto, e della nostra possibilità di abitarlo ancora. Garantirsi questa possibilità sarebbe oggi il gesto più libero. Chi sa stare al mondo deve avere a cuore, oggi, prima di ogni altra cosa, la sorte, per poter nutrire ancora speranza in un futuro. Non tanto migliore, ma nella semplice possibilità che un futuro possa ancora esserci. C’è chi nega questa priorità. E non voglio ora entrare nel merito scientifico della deriva ambientale (ma chiamiamola pure biologica) cui stiamo assistendo. Già altri, ed impeccabilmente, lo fanno. E chi nega l’urgenza di questa complessa situazione credo manchi assolutamente di basilari capacità di analisi e di interpretazione. Perché comprendere la priorità ambientale, che è poi la priorità delle “forme di vita”, tra cui la più complessa, l’uomo, non significa diventare soltanto attivisti di Greenpeace, abbonati del WWF o sostenitori di magnifiche associazioni come Survival (l’unica davvero umanitaria che ha a cuore la salvezza della diversità umana e culturale). Significa cogliere giorno per giorno, tra le cose che facciamo, nel segno: gli insegnanti, di qualsiasi materia (fatta eccezione per la matematica), hanno quotidianamente – per fare solo degli esempi – la responsabilità di una scelta etica (valorizzando determinati autori e testi) e lo stesso i professori universitari possono scegliere corsi sensibili, così come i librai possono privilegiare, nell’esposizione, certe pubblicazioni piuttosto che altre.
Quando leggiamo un giornale non dovremmo soltanto saltare le speculazioni da rotocalco stile Italia Uno sul fondoschiena della Rodriguez o sulle pagliacciate disumane del Grande Fratello, ma dovremmo correre con velocità a leggere la pagina dell’ambiente, perché, sembra retorico dirlo ma mai abbastanza viene ripetuto, è lì che sta scritta la nostra storia. È su quelle pagine, e soprattutto non su quelle di misera cronaca della cloaca/politica italiana, che il lettore attento può leggere la possibilità del suo futuro, la qualità del suo avvenire nel mondo. Non ci sarà nulla (così come noi oggi lo conosciamo nella sua bellezza) senza il mantenimento di un equilibrio vitale e noi, che siamo vita, possiamo anche affannarci a consultare gli astri o pregare Dio, ma non sfuggiamo né alla biologia né alle leggi della fisica. Gli scienziati, forieri di verità “materiali troppo materiali”, sono ormai tacciati di essere dei rivoluzionari sovversivi. Rischiano di essere considerati, a breve, elementi destabilizzanti, e quindi pericolosi per la nostra società.
Comprendere una priorità, dopo un’attenta ed onesta lettura del reale, non significa fare un voto, né tanto meno divenire fondamentalisti: significa piuttosto organizzare il pensiero, l’azione e noi stessi (questa è poi l’etica) secondo un criterio ragionevole e, soprattutto, libero, in quanto frutto di decisioni indipendenti. Ognuno di noi, proveniente dalla propria storia, dalla propria formazione, ha – dalla sua posizione, qualunque essa sia – la possibilità di agire, senza per questo rinunciare al resto.
Questo vorrei che si riconoscesse con disincanto (e questo scriveva anche Dario Fo nel libro Benvenuta catastrofe): stiamo sprecando, ad ogni livello del sistema, tutte le energie utili per arginare il comunque inevitabile collasso: davvero continuiamo a lasciare che l’orchestra suoni mentre non vogliamo vedere, a costo di coprirci gli occhi, gli iceberg che stanno per farci affondare. Sembra un discorso ingenuo, un discorso infantile. Invece, ogni momento storico ha delle priorità che vanno considerate ed affrontate, e tanto più quando queste priorità sono interconnesse tra loro e si determinano a vicenda. Una scelta decisa di fronte ad un problema che i filosofi chiamerebbero non solo esistenziale ma, ormai, ontologico (che riguarda l’Essere stesso, la sua sopravvivenza) sarebbe la soluzione etica implicita, la risposta alla crisi sociale ed individuale della nostra società occidentale. Della nostra società, potremmo ormai dire, mondiale, globale, visto che la resistenza alle nostre seduzioni sembra ormai, in ogni luogo del Pianeta, una battaglia persa.
Non è un caso ma una condizione strutturale del pensiero libertario il fatto di essere in sintonia con la visione ecologica: condividere una visione del mondo (un sistema di valori, di priorità) significa scegliere una “veste” (un ethos, appunto) con cui stare al mondo.
E sicuramente una prospettiva che privilegia la vita, nel suo spontaneo, libero e «ordinatamente disordinato germinare», credo possa realmente anteporsi ad ogni altra esigenza. Oggi e forse per sempre.

Federico Premi
(Verona)

 

Gentilezza obbligatoria

Obbligo alla gentilezza “Domani normerò l’obbligo della gentilezza e della cortesia nei confronti dei cittadini”, ha detto il ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione intervenendo a un convegno organizzato dal Cup sulla posta elettronica certificata. (fonte: http://www.ilgiornale.it/interni/brunetta_gentilezza_obbligatoria)
Ebbene questa ennesima sparata demagogica del ministro Brunetta mi sembra che abbia la portata di una norma da stato etico, per cui il pubblico dipendente è un minus habens da controllare e indirizzare finanche nelle norme di buona educazione che afferiscono alla sfera personale.
C’è da dire che già oggi i contratti collettivi del pubblico impiego prevedono nelle dichiarazioni di principio l’obbligo di correttezza e rispetto verso l’ utenza e i colleghi di lavoro, ma innalzare il principio ad obbligo di legge significa porre le basi per azzoppare le coscienze e il principio di autodeterminazione delle persone nelle scelte di carattere etico.
Vale a dire che da lì a vietare poi per legge la pillola abortiva o la libertà di decidere per una morte dignitosa (i casi Welby ed Englaro insegnano) il passo è breve, se lo Stato per legge può entrare nelle pieghe delle scelte personali delle persone, sempre per il tuo bene di cittadino mezzo scemo, si intende. Ma intendiamoci anche sul significato delle parole: cosa si può intendere per cortesia e gentilezza?
Se si intende il diritto a non essere strapazzati dall’ impiegato pubblico arrogante (questa è la immagine veicolata dai media sulla questione) chi non potrebbe essere d’accordo? Ma si sa che vi sono persone che, per ignoranza o presunzione, a volte richiedono all’ ufficio pubblico le cose più assurde o ti insultano senza motivo e allora se non si è “gentili” (accontentandoli) con personaggi del genere magari ci si becca una denuncia per scortesia? Inoltre si offrirebbe un arma di ricatto a tutti quei cittadini furbi e furbetti, che non sono pochi, che si inalberano e poi ti denunciano perché responsabili di qualche violazione amministrativa o penale beccati da qualche ispettore del lavoro, dal fisco o magari dall’insegnante di scuola superiore non abbastanza gentile con l’alunno che copiava il compito in classe. Inoltre una tale legge, soprattutto se esteso alla generalità dei rapporti sociali, sarebbe una formidabile arma di controllo sociale dal basso in favore delle oligarchie dominanti che potrebbero continuare a delinquere e sfruttare le masse di lavoratori nella più totale impunità, sfornando leggi repressive per le masse e i marginali (migranti , poveri, “diversi” per genere, ecc..) e leggi permissive per ricchi, potenti e grandi delinquenti. Infatti ognuno avrebbe in mano una piccola arma di ricatto da esercitare verso l’ altro, sfigato come lui, per ogni minima infrazione al codice “etico” e disciplinare. Una volta il mio amico Gioacchino ha osservato che negli ultimi anni l’ attenzione è sempre focalizzata verso i fruitori di ogni determinato servizio e non verso il lavoratore che lo eroga. Si potrebbe parafrasare la cosa dicendo che è un modo per distogliere l’attenzione dai diritti dei lavoratori (comprimendoli) spostandola in favore di una generalità di consumatori, appunto, non di cittadini e massa di sfruttati titolari di diritti.

Gabriele Gaddi
(Modena)

 

I referendum svizzeri

(…) Una notizia per me sconvolgente arriva da un piccolo Paese, a noi tanto vicino geograficamente, ma tanto lontano quanto a qualità della vita e soprattutto – per dirla con l’illustre ginevrino Jean-Jacques Rousseau – a virtù civica. Sto ovviamente parlando della Svizzera. Quest’estate ci ho passato un po’ di tempo, tra Zurigo e Ginevra. Sono rimasto incantato. Città ideali, a misura d’uomo, piene di verde, ospitali, super-organizzate e – sorpresa – aperte anche a stili di vita alternativi. La politica come (buona) amministrazione, e nulla più, incarichi a rotazione, aria di libertà.
Molta attesa, dunque, per i referendum del fine settimana a cavallo tra novembre e dicembre. Ce n’era uno con uno straordinario impatto simbolico potenziale: il divieto assoluto di vendita di armi prodotte nel Paese. E poi ce n’era anche un altro, presentato dal blocco conservatore, o meglio reazionario, che proponeva di vietare la costruzione di nuovi minareti. Alcuni autorevoli amici elvetici (e pure diversi sondaggi…) davano per scontato un voto molto progressista, che bandiva le armi e accoglieva la diversità religiosa. Purtroppo si sbagliavano di brutto. I risultati sono stati devastanti, per loro, per me e credo per chiunque ami il libero pensiero. E praticamente speculari. Quasi il 60% dei voti (non moltissimi, e questo è già un primo dato significativo) ha bloccato la costruzione di nuovi minareti. Una percentuale ancora superiore ha bocciato la proposta di bandire la vendita (e la costruzione) di armi.
Intendiamoci bene. Non si tratta qui di essere filo-islamici, ovviamente. Ma la libertà di fede è un diritto inviolabile, e porsi in contrapposizione frontale rispetto a un culto, quale che esso sia, rinunciando alla forza della ragione e alla scelta dell’accoglienza, del confronto, dell’integrazione, ottiene sempre l’effetto contrario, ossia consolida l’identità “perseguitata” e innesca quel noto meccanismo del Politico schmittiano costituito dalla contrapposizione irriducibile amico-nemico, che alcuni di noi avevano forse un po’ troppo sbrigativamente dato per superato dalla Storia (sempre quell’inguaribile ottimismo della volontà!). Poi oggi tocca ai musulmani, domani (anzi sempre) agli “Zingari” o agli Anarchici, e dopodomani a chissà chi altro ancora (…).

Giorgio Barberis
gbarberis74@libero.it

 

Due precisazioni

Ho letto con piacere, sullo scorso numero, l'intervento di Luca Bino "Vegano perché..." e potrei sottoscriverlo integralmente. Anzi, vorrei averlo scritto io.
Mi permetto soltanto di segnalare, fraternamente, quello che probabilmente è stato un lapsus. La "Colonna di Ferro" (Columna de hierro) era una formazione anarchica che durante la guerra civile spagnola si oppose con fermezza alla militarizzazione e alla controrivoluzione staliniana. Quella famigerata dei fascisti rumeni di Codreanu (tanto amato dai "nostri" forzanovisti) era invece la "Guardia di ferro".
Letture consigliate: 1) Charles Patterson, "Un'eterna Treblinka", Editori Riuniti, che amplia i concetti esposti con grande cognizione di causa da Luca; 2) "Protesta davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni del 1937", edito da Nautilus, opera di un non meglio identificato "incontrolado" della Colonna di Ferro (anche se personalmente ho sempre sospettato che possa trattarsi di un apocrifo situazionista alla "Censor"). In ogni caso merita di essere letto.
Saluti fraterni.

Gianni Sartori
(Vicenza)

 

Fregarsi con le proprie mani

Salve, è la prima volta che scrivo una lettera “aperta” a una rivista, premetto che è da poco tempo che leggo A e forse da ancora meno mi ritengo appartenente al movimento anarchico.
Ho letto solo oggi della bomba piazzata a Milano dalla “FAI” (dove la “I” sta per Informale e non Italiana), la mia domanda o meglio il mio pensiero da condividere rimane questo: è questo il modo di operare? Non mi sembra una gran trovata per farci belli agli occhi delle persone, che già diffidano dell’Anarchia perché non comprendono che non siamo un gruppo di pazzoidi che non vogliono regole.
Con la fatica che si fa a sopravvivere a far crescere le nostre buone intenzioni di uguaglianza di rivoluzione e tutto quello che di buono e bello ha in seno il movimento, così è fregarsi con le proprie mani.
Poi io sono ignorante forse troppo e non ho idea di chi siano di preciso gli Informali se vogliamo definirli i violenti del movimento o gli estremisti, solo che non appoggio il loro gesto e non per questo mi sento meno anarchico.
Anarco-pacifista beninteso, non è con la violenza gratuita o distruggendo le università che realizzeremo i nostri ideali o tenteremo di farlo.
Che rivoluzione è se continuiamo a fare sempre le stesse cose? Dobbiamo ri-voltarci continuare a cambiare fino a trovare la strada giusta le bombe le piazzavano anche 100 anni fa e non mi sembra che sia andata meglio.
Spero di essere stato chiaro, scusate l’intromissione. Se vi è gradito potete pubblicarlo sul prossimo numero di A.
Buon lavoro a tutti

Ivan Franetti
franez88@hotmail.it

Caro Ivan,
proprio su questo numero trovi riprodotto il comunicato emesso dalla Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana sulle esplosioni alla Università Bocconi di Milano e a Gradisca, che condividiamo. Così come condividiamo le riflessioni sulla violenza espresse, sempre in questo numero, dai nostri collaboratori Andrea Papi e Massimo Ortalli.

La redazione

 

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I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Rocco Tannoia (Settimo Milanese – Mi) 20,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla nel 24° anniversaio della morte (26.01.1986), 500,00; Pino Fabiano (Cotronei – Kr) salutando Spartaco, 10,00; Antonio Ciano (Gaeta – Lt) auguri e forza ad Aurora, 10,00; Mirko Piras (Nulvi – Ss) 5,00; Gianfranco Perlasco (Ivrea – To) 30,00; Walter Severgnini (Zelo Buon Persico – Mi) 8,00; Gino Perrone (Brindisi Casale) 10,00; Armida Ricciotto (Garlasco – Pv) 10,00; Paola Mazzaroli (Trieste) un po’ di soldi perché leggo la rivista e vi voglio bene, 100,00; Luigi Vivan (San Bonifacio – Vr) 10,00; dal fondo di Eugenia Bassani, 3.000,00; Adriano Paolella (Roma) 700,00; David Gori (Prato) per il Collettivo libertario della facoltà di Agraria di Firenze, 36,00; Fabio Leone (Sedtiano – Mi) 30,00; Pasquale Messina (Milano) 20,00; Antonello Lepizzera (Penitro – Lt) 39,00; Umberto Seletto (Verano Brianza – Mi) per il lavoro fatto da Paolo Finzi con Marc Tibaldi per Gino (Luigi) Veronelli, 40,00; Alba Finzi (Milano) raccolti durante diverse iniziative pubbliche per ricordare Pinelli, 44,25; una compagna iraniana (Milano) 20,00; Antonia e Vittorio Golinelli (Bussero – Mi) 20,00; Cesare Vurchiio (Milano) 20,00; Gianni Forlano (Mialno) 50,00; Nicola Piemontese (Monte Sant’Angelo – Fg) 20,00; Simone Gatti (Borgo Val di Taro – Pr) 20,00; Antonella Trifoglio (Alassio – Sv) 55,00; Alberto Bonassi (Bergamo) 50,00; Rolando Paolicchi (Pisa) 5,00; Gianni Pasqualotto (Crespano del Grappa – Tv) 144,00; Giancarlo Baldassi (Sefigliano – Ud) 20,00; Gaetano Ricciardo (Vigevano – Pv) in memortia di Giovanni Rabai, 20,00; a/m Massimo Varengo, Ivano (Ancona) 20,00; Antonio Linfanti (Gambolò – Pv) 5,00; Battista Saiu (Biella) 20,00; Alessandro Spinazzi (Marghera – Ve) 20,00; a/m Francesco, bresciaAntiautoritaria (Brescia) 10,00; Angelo Pagliaro (Paola – Cs) 30,00; Roberto Caneba (Grottaferrata – Rm) 23,82: Edoardo Iaculli (Toma) 5,00; Roberto Bernabucci (Cartoceto – Pu) 10,00; Pietro Steffenoni (Lodi) 30,00: Maurizio Pastorino (Torino) 10,00; Ernesto De Liperi (Pisa) 40,00; Michele Zorzetto (Jesolo – Ve) 20,00; Giancarlo Gioia (Grottammare – Ap) 20,00; Renato Tarditi (Torino) 20,00; Pietro Bertero (Cavallermaggiore – Cn) 20,00. Totale euro 5.376,17.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Fernando Ferretti (San Giovanni Valdarno – Ar) 130,00; Cariddi Di Domenico (Livorno); Loriano Zorzella (Verona); Luigi Natali (Donnas – Ao); Paolo Trezzi (Lecco); Mariangela Raimondi Riva (Milano) 150,00; Gianni Pasquakotto (Crespano del Grappa – Tv); Giovanna e Antonio Cardella (Palermo); Davide Nasato (Bellinzona – Svizzera); Aimone Fornaciari (Nattari – Finlandia); Arturo Schwarz (Milano); Mario Perego (Carnate . Mi) 200,00; Alessandro Natoli (Cogliate – Mb); Loredana Zorzan (Porto Garinaldi – Fe) 200,00; Luca Todini (Brufa/Torgiano – Pg) 200,00; Lucia Sacco (Milano); Pietro Steffenoni (Lodi); Ronal Perono Querio (Ciconio – To); Gianfrancesco Di Nardo (Roma); Giordana Garavini (Castel Bolognese – Ra); Giacomo Dara (Certaldo – Fi). Totale euro 2.480,00.