rivista anarchica
anno 41 n. 366
novembre 2011


alternative

Quali proposte concrete?
di Cosimo Scarinzi

Riflessioni ad alta voce su come opporsi alla crisi.

Mercoledì 27 settembre vi è stata, presso la sede della federazione piemontese della CUB, una presentazione del libro “Il sogno nelle mani – Torino 1909 / 1922. Passioni e lotte rivoluzionarie nei ricordi di Maurizio Garino”. Un libro importante che ritengo utile in particolare ai militanti sindacali oggi impegnati in una faticoso sforzo di contrasto alle politiche padronali e governative e che hanno un forte bisogno di riflettere sul fatto che il movimento di classe nei suoi momenti alti affronta il problema centrale dell’attuale organizzazione sociale: la contraddizione fra dominanti e dominati e la costruzione di una pratica autonoma di lotta e di organizzazione evitando l’ovvietà che le passate esperienze del movimento dei lavoratori si sono date in contesti completamente diversi rispetto all’attuale. Lo sappiamo e ciò non ci dice nulla di significativo.
E, non a caso, la discussione si è incentrata proprio sui limiti, intesi alla lettera e non come alibi per l’abbandono del conflitto sindacale immediato, della lotta sindacale e sulla necessità di una prospettiva di rottura radicale con l’esistente. Questa discussione mi ha portato a riflettere su quanto si dibatte in un’area di militanti politico sindacali di diversa appartenenza proprio in queste settimane. Mi riferisco in particolare al documento “Dobbiamo fermarli – 5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche.” http://sites.google.com/site/appellodobbiamofermarli/home sul quale si svolgono assemblee locali e nazionali.

La piattaforma dei cinquepuntisti

Ne riporto ampi stralci:

  1. Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie..... Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.
  2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
  3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
  4. ...Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
  5. Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. …. È indispensabile una legge sulla democrazia sindacale....che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
Ovviamente, almeno per me, alcune di queste proposte sono pienamente condivisibili, altre francamente no, ma mi interessa in primo luogo coglierne la logica generale. In sostanza si propone:
  • un controllo pubblico/statale sull’economia che colpisca in particolare il capitale speculativo finanziario. Una socialdemocrazia forte in altri termini, visto che l’espropriazione degli espropriatori non è presa in considerazione, ed un’economia ecosostenibile e piegata agli interessi collettivi della società, variazione ecologica del modello socialdemocratico di cui sopra;
  • con questa rivendicazione di taglio “socialista” s’intreccia quella, meno “tradizionale” di una radicale democratizzazione della società che riprende, con ogni evidenza, i temi “anti casta” che caratterizzano una serie di nuovi movimenti culturali, politici e sociali;
  • infine si rivendicano un robusto sistema di diritti per la working class e il taglio delle spese militari, temi se vogliamo più classici della sinistra radicale e del sindacalismo di base.

Un’operazione politica non originale

Un programma del genere è evidentemente influenzato dal quadro della crisi internazionale: Islanda, Grecia, Spagna, Portogallo ecc. e dalla deriva della sinistra istituzionale alla quale si propone un’alternativa.
Ad una prima lettura, ammetto che la considerazione che mi è venuta alla mente è sin banale: troppo e troppo poco. Come piattaforma di movimento mi pareva implausibile e come programma politico troppo moderato.
Ad una riflessione più meditata, devo dire che sono restato della stessa idea ma che la mia attenzione si è spostata al progetto politico che sottende la proposta, per un verso, ed alle questioni politiche a cui rimanda, per l’altro.
Dal primo punto di vista, è sin troppo evidente che si tratta di un classico tentativo di raggruppare settori della “sinistra sinistra”, in evidente difficoltà su di una piattaforma che modernizza in qualche misura la sua tradizionale cultura. Un’operazione politica che sospetto abbia poca vela ma, come si suol dire, si vedrà.
Dal secondo punto di vista, mi sembra che l’esigenza che muove i promotori dell’appello sia quella di andare oltre le lotte immediate, frammentate e difficilissime dell’oggi per proporre una sorta di programma minimo unificante.
In altri termini, vi è la, condivisibile, esigenza di dare una prospettiva generale alle lotte dell’oggi ma il rischio di affidare il tutto ad una campagna d’opinione che delega ad altri la possibile realizzazione di quanto viene prospettato. Una forma di “divisione del lavoro” fra movimenti e, per la verità poco disponibili, istituzioni.

La necessità dell’azione

A questo proposito, una compagna ed amica mi scrive:

“I sostenitori della campagna per il congelamento del debito uno sforzo di sintesi almeno lo hanno fatto; il grosso limite è che sono tutte richieste che dovrebbero essere messe in atto da un soggetto politico (fantasmatico).
Quanto è realistico che una mobilitazione di popolo riesca a innescare quei processi auspicati?
E allora, ipotetico per ipotetico, irrealistico per irrealistico, direi che noi dovremmo praticare un altro terreno, che peraltro è quello specificamente sindacale. Se dieci punti di PIL si sono spostati in un quarto di secolo dal lavoro al capitale, dobbiamo richiedere che questa ricchezza sottratta torni ai lavoratori. E dobbiamo anche spiegare ai lavoratori che la crisi internazionale è la crisi per miliardi di esseri umani e la realizzazione del sogno di Paperon de’ Paperoni per pochissimi pirati internazionali che hanno disegnato nel tempo, con la complicità di una politica sempre più sottomessa alla finanza, una macchina mostruosa. ….
Questo nucleo “grezzo” (rivendicazione del diritto al lavoro e di un reddito dignitoso) penso che possa essere sviluppato e tradotto in slogan efficaci, evitando, se vogliamo rivolgerci a chi lavora, sia tecnicismi sia inutili geremiadi. E ricordandoci che oggi chiedere un innalzamento dei salari ha la stessa portata eversiva che chiedere il congelamento del debito, ma ha il vantaggio di toccare gli interessi immediati di chi lavora.”

Mi sembra colga il punto, se una campagna sindacale e politica unificante va praticata deve essere tale da porre al centro l’azione delle lavoratrici e dei lavoratori, delle disoccupate e dei disoccupati.
Forzatura per forzatura, sceglierei quella che pone tutti noi di fronte alla necessità dell’azione e che non delega a nessuno la sua realizzazione. Questo, ovviamente, senza dimenticare che resta sullo sfondo il problema dei problemi e cioè l’espropriazione degli espropriatori che, almeno a mio avviso, non è praticabile a rate (oggi le banche, domani?).
Ma, come si suol dire, una questione per volta.

Cosimo Scarinzi