rivista anarchica
anno 42 n. 374
ottobre 2012


Le cucine del popolo

 

Ma le tradizioni
e le radici contano

Luigi Veronelli

Come tutte le avventure che si rispettano, anche le Cucine del Popolo iniziano con una “maledizione“, uno scherzo del destino, un fatto imprevisto e imprevedibile.
Il nostro è l'assenza di quell'incredibile anarchenologo che fu Luigi Veronelli. Un uomo che insegnò agli italiani a mangiare, guardandoli da un televisore in bianco e nero e che spiegò loro che prima di ingoiare qualcosa bisogna riflettere su quello che si mangia, sul perché e sul per come. Un compagno che raccontò che il vino che si beve è anche storia, geografia, fatica, fantasia, amore e piacere. Insomma, che mangiare è anche fare politica. Proprio dalle intuizioni dei compagni della Federazione Anarchica Reggiana e dal loro confronto con il compagno Veronelli nacquero le nostre Cucine, ma lui a Massenzatico non ci venne mai. Almeno di persona, perché lasciò noi e questa terra senza nemmeno scambiare un brindisi. E noi rimediammo nell'unico modo con cui siamo capaci. Contro la fisica, la logica e la tristezza: decidemmo che Luigi fosse insieme a noi in tutte le edizioni. Lo è con il pensiero, con un brindisi e con una targa che affianca quella di Camillo Prampolini che sulla prima Casa del Popolo italiana (perché è lì che ci ritroviamo) scrisse a futura memoria “uniti siamo tutto, discordi siamo nulla“. Non ci siamo fermati, però, alle targhe di marmo o ai brindisi propiziatori nella nostra vorace ricerca. Abbiamo riempito come un manicaretto o una buona mortadella tutti i convegni con altri amici, cuochi di parole e fantasie, che potevano mantenere viva la fiammella curiosa e ribelle che le Cucine aveva acceso. A fianco dell'indispensabile lavoro di studio, garantito dai convegni con le loro relazioni, non sono mai mancati momenti di spettacolo e di ascolto dove potere fare scorpacciate di sogni e di avventure. Amiche e amici come la Cuoca Rosso Nera, con la sua saggezza libertaria o il Barone Rosso della Lunigiana, un corsaro dei sapori che ruba sempre un po' di mare per riversarlo con successo nella piatta Pianura Padana. Ma continuiamo a guardarlo questo menù. Qualcuno può dimenticare Edoardo Sanguineti che con la voce tranquilla del grande poeta ci raccontò che parlare di cibo andava bene, ma che era necessario ragionare anche dell'odio di classe? O lo stupore provocato da Libereso Guglielmi che ci insegnò che pure i fiori si possono mangiare, lui che ne aveva parlato con Italo Calvino? O Gianni Mura che ci parlò del Veronelli che molti non vogliono ricordare, perché non volle mai essere solo un insipido esperto? O Carlo Lucarelli con i suoi misteri che possono partire anche da un caffè corretto per il signor Sindona? O Paolo Nori con le sue narrazioni stralunate? O Maurizio Maggiani con la cucina dei viaggiatori notturni? Aggiungiamo il “furioso” Gigi Pascarella, Giuseppe Caliceti, Stefano Raspini, Ivanna Rossi, Mario Vighi, Arturo Bertoldi e Ermanno Bartoli e il pranzo è servito. Un menù di gran classe, robusto e raffinato.

Massenzatico (RE) - La targa commemorativa
apposta sull'ex Cooperativa di Consumo

Abbiamo dissetato, però, anche le orecchie. I palchi e i tavoli di Massenzatico sono stati calcati da Donpasta e il suo Food Sound System, Alessio Lega, Marchi Rocco, Lorenza Franzoni, i Forastieri, Mara Redeghieri, Les Anarchistes e Dekal Thiossane direttamente dal Senegal. Il pubblico presente ogni volta ci ha aggiunto come in ogni festa che si rispetti i canti delle nostre lotte e della nostra tradizione. Un Veglione Rosso non è un Veglione Rosso senza l'Internazionale. In politica, come in cucina, le tradizioni e le radici contano. Per questo vogliono convincerci a mangiare male e a pensare peggio. Lo stomaco e il cervello, però, a Massenzatico sono diventati ogni volta sempre più fini e più attenti.

Arturo Bertoldi