rivista anarchica
anno 42 n. 375
novembre 2012


cinema

 

Consapevolezza e divagazione

Proviamo per un istante a dimenticare le immagini cinematografiche e riepiloghiamo qualche quadro della vita contemporanea: la geografia della fame, le crisi economiche, le aree depresse, le guerre dimenticate, la miseria, la superstizione, l'analfabetismo, le malattie, la violenza...e si potrebbe continuare. Poi torniamo a pensare al cinema e come questo medium racconta oggi il nostro contemporaneo. Cos'è oggi il cinema del reale? Ha strumenti, sensibilità, capacità e consapevolezza necessari per riuscire a raccontare ciò che lo circonda? Ha la libertà e l'autonomia per riuscire a riflettere a riverberare il contemporaneo?
Se il cinema finisce solo per costituire una divagazione, un pretesto per guadagnare tempo e alibi, un veicolo per gonfiare i lamenti privati, la risposta risulta semplice: fare a meno di questo cinema e pensarne uno nuovo. Non sperperare tempo, danaro e mezzi per cercare di stare ad ogni costo nel mercato, ma gettarsi a capofitto in una lavoro di radicale trasformazione dei contenuti e delle forme del cinema contemporaneo.
Ma tutto ciò prevede una radicale modificazione dei soggetti che il cinema lo pensano, lo producono, lo dirigono.
L'approdo – anche per meglio individuare la funzione del cinema – non è l'azione cui deve porre mano colui che come artista si occupa “anche” di politica, ma una concezione rivoluzionaria della politica e del suo rapporto con la cultura.
Il cineasta (e parlo in senso lato, cioè di tutti quelli che si occupano a vario titolo di cinema) può essere oggi veramente utile alla trasformazione dell'arte cinematografica solo riconoscendo l'identità della sua situazione con quella della generalità degli uomini e impegnando la sua intelligenza ad analizzare scientificamente questa situazione e a partecipare al suo possibile cambiamento. Riverberare cioè nel suo fare la condizione dell'essere umano, in tutta la sua infinita complessità. Sarà anche una concezione troppo materialistica della storia, ma francamente non ne vedo altre possibili.

Bruno Bigoni