Consapevolezza
e divagazione
Proviamo per un istante a dimenticare le
immagini cinematografiche e riepiloghiamo qualche quadro della
vita contemporanea: la geografia della fame, le crisi economiche,
le aree depresse, le guerre dimenticate, la miseria, la superstizione,
l'analfabetismo, le malattie, la violenza...e si potrebbe
continuare. Poi torniamo a pensare al cinema e come questo
medium racconta oggi il nostro contemporaneo. Cos'è
oggi il cinema del reale? Ha strumenti, sensibilità,
capacità e consapevolezza necessari per riuscire a
raccontare ciò che lo circonda? Ha la libertà
e l'autonomia per riuscire a riflettere a riverberare il contemporaneo?
Se il cinema finisce solo per costituire una divagazione,
un pretesto per guadagnare tempo e alibi, un veicolo per gonfiare
i lamenti privati, la risposta risulta semplice: fare a meno
di questo cinema e pensarne uno nuovo. Non sperperare tempo,
danaro e mezzi per cercare di stare ad ogni costo nel mercato,
ma gettarsi a capofitto in una lavoro di radicale trasformazione
dei contenuti e delle forme del cinema contemporaneo.
Ma tutto ciò prevede una radicale modificazione dei
soggetti che il cinema lo pensano, lo producono, lo dirigono.
L'approdo – anche per meglio individuare la funzione
del cinema – non è l'azione cui deve porre mano
colui che come artista si occupa “anche” di politica,
ma una concezione rivoluzionaria della politica e del suo
rapporto con la cultura.
Il cineasta (e parlo in senso lato, cioè di tutti quelli
che si occupano a vario titolo di cinema) può essere
oggi veramente utile alla trasformazione dell'arte cinematografica
solo riconoscendo l'identità della sua situazione con
quella della generalità degli uomini e impegnando la
sua intelligenza ad analizzare scientificamente questa situazione
e a partecipare al suo possibile cambiamento. Riverberare
cioè nel suo fare la condizione dell'essere
umano, in tutta la sua infinita complessità. Sarà
anche una concezione troppo materialistica della storia, ma
francamente non ne vedo altre possibili.