rivista anarchica
anno 42 n. 375
novembre 2012


alimentazione

Il militante nel piatto

di Andrea Perin


Mangiare e bere non è solo una necessità biologica. Ripercorrere le abitudini a tavola ci aiuta a capire tante cose, dell'organizzazione sociale, dei valori dominanti, dei mille modi per costruire un mondo alternativo.
Ecco il resoconto di una nostra collaboratrice.



Affidare alle scelte del cibo un valore etico, riconoscere nell'alimentazione la propria identità ideologica: ormai entrati nel terzo millennio, quelli che si potrebbero definire con una semplificazione uomini o donne di sinistra hanno sviluppato un immaginario gastronomico che non ha precedenti nella storia, strutturato sulla consapevolezza che quanto finisce nel piatto è un atto politico nei confronti della società e dell'economia. Il concetto stesso di “bontà” a tavola spesso coincide con quello di “giustizia”. Il militante, l'individuo di sinistra, si può ormai riconoscere per la sua esibita attenzione per ciò che mangia e per ciò che non mangia.

Logo dello Slow Food Day

Parlo alle classi agiate”

Anche in passato l'alimentazione aveva un valore etico, ad esempio religioso, e un significato simbolico da rispettare: soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento l'alimentazione per i ricchi era differente da quella per i “rustici”, i poveri, e non solo per la distanza tra fame e abbondanza. La società e la scienza medica definivano con precisione i cibi per le due classi, affermando che non era fisiologico per gli uni cibarsi di quelli degli altri.
Ovviamente a stabilire queste distanze erano l'aristocrazia prima e la borghesia dopo, che avevano la disponibilità economica, il tempo e il gusto di operare scelte in cucina, di elaborare una gastronomia, di affidare al cibo valori di distinzione sociale. Scriveva Pellegrino Artusi a inizio Novecento nel volume che contribuì a definire la cucina italiana: “S'intende bene che io in questo scritto parlo alle classi agiate, ché i diseredati dalla fortuna sono costretti, loro malgrado, a fare di necessità virtù e consolarsi riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla robustezza del corpo e alla conservazione della salute”1.
È difficile conoscere l'opinione dei “diseredati dalla fortuna”, i contadini e gli operai, così come il loro immaginario e le aspettative: sono praticamente assenti le fonti dirette, essendo loro solitamente analfabeti e senza risorse, mentre quelle indirette erano redatte a cura della classe dominante. Probabilmente la cucina contadina era conservatrice, abituata a trarre il meglio da quello che aveva, anche se spesso seppe costruire un cultura gastronomica in grado di influenzare anche i gusti della classe dominante. Gli operai, sradicati dalla campagna, erano spesso in balia della disponibilità offerta dalla città e dalle variazioni della sua economia. Sia contadini che operai, costretti a un'indigenza che spesso viene dimenticata dalla retorica dei “bei tempi andati”, pur in possesso di proprie consuetudini gastronomiche, ambivano verosimilmente ad accedere all'abbondanza e ai piatti delle classi dominanti. Per secoli l'abbondanza fu un sogno, un mito come quello del Paese della Cuccagna2, luogo dell'immaginario dal medioevo fino a tutto il Settecento, dove le vigne erano legate con le salsicce, piovevano fagiani e i fiumi erano di vino bianco.
Con la rivoluzione industriale e la nascita delle ideologie, i movimenti politici e rivoluzionari avevano il cibo come obiettivo: si lottava per superare la fame o per garantire alla classi subalterne un'alimentazione sufficiente, soprattutto nell'ottica di una società nuova nata dalla rivoluzione, ma non esisteva l'idea che la scelta di un regime alimentare potesse avere un valore politico. Mancava un modello alimentare cui tendere. Tra le poche eccezioni era la scelta vegetariana, soprattutto da parte di militanti anarchici sensibili alle sofferenze commesse su ogni essere vivente.
Vigeva in generale per gli attivisti una sorta di etica della sobrietà, un francescanesimo laico, che escludeva l'indulgere ai piaceri della tavola, sia perché peculiari della proterva classe dominante sia perché avrebbero distolto i rivoluzionari dal loro compito.
Neanche le Case del Popolo e le Cooperative di consumo svilupparono mai un modello autonomo alimentare e le cucine collettive rappresentarono sicuramente momenti comunitari e solidaristici ma non una scelta gastronomica. In occasione dell'inaugurazione nel 1893 della Casa del Popolo di Massenzatico (RE), il “banchetto economico a lire una” venne descritto come “un pasto semplice e frugale, affratellati dalla comunanza dei sentimenti”3. Sia per mancanza di modelli sia per spirito irriverente, non di rado si trasponevano le tradizioni legate alle feste religiose alle nuove ricorrenze laiche come il “pranzo del primo maggio”: in area emiliano-romagnola si consumavano i cappelletti o i tortellini, tipiche pietanze natalizie, e il battesimo si faceva con il lambrusco.

Alla fine degli '80, la prima vera svolta

Le osterie furono spesso luogo di azione politica perché erano i ritrovi della classe lavoratrice4, ma il consumo del vino e l'alcolismo furono messi sotto accusa sia nel movimento socialista che in quello anarchico: “(...) la lotta contro l'acoolismo è necessaria, per purgare l'ambiente rivoluzionario di alcuni difetti ad esso inerenti appunto a cagione dell'alcoolismo.”5. Nondimeno il vino spesso fu un elemento economico significativo, in grado ad esempio di finanziare le cooperative edilizie grazie alla grande sete della classe operaia (soprattutto nel secondo dopoguerra)6.
I regimi autoritari europei imposero un proprio sistema alimentare: il Fascismo costruì un modello di autarchia e sobrietà, anche in conseguenza delle sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni nel 1935; il Comunismo sovietico arrivò a pubblicare un ricettario con la prefazione di Stalin, che proponeva la cucina tradizionale in stretto collegamento con l'industria alimentare nazionale7.
Il secondo dopoguerra e il seguente boom economico videro il progressivo miglioramento delle condizioni economiche e alimentari italiane, di pari passo con lo sviluppo dell'industria alimentare e della grande distribuzione: la quota di spesa familiare destinata all'alimentazione diminuì sensibilmente, dopo secoli di privazione il benessere non era più un sogno8. Negli stessi anni intellettuali come Mario Soldati e Luigi Veronelli dedicarono grande attenzione al tema della cucina tradizionale, valorizzando il patrimonio eno-gastronomico italiano.
Il '68 e il movimento del '77 influenzarono molti aspetti della società italiana e aprirono molte nuove istanze legate all'arte, alla musica e alla controcultura in generale, ma non ebbero un'attenzione particolare verso il tema della cucina.
La prima vera svolta si ha alla fine degli anni Ottanta con la nascita nel 1986 di Arcigola, diventata SlowFood pochi anni dopo, e la conquista del piacere a tavola anche per la sinistra. Scrive Carlo Petrini, il fondatore di SlowFood: “Quella del piacere era – e rimane – una questione spinosa: genera pruriti moralistici, rimproveri di 'compagni', moniti salutistici e accuse di superficialità”9. Non senza una buona dose di ironia, il godimento del cibo viene sdoganato dai sensi di colpa e di inadeguatezza, si rivendica la difesa della tradizione e di una gastronomia legata alla campagna e alla tradizione, contrapponendola a quella aristocratica e cittadina, alla industrializzazione della produzione del cibo (fast-food) e alla sua globalizzazione. Se fino a prima il gusto gastronomico è stato appannaggio delle elite, ora viene rivendicato come un diritto comune e, non di rado, ne viene affermata anche un'origine popolare.
Il successo, progressivo e travolgente, si innesta sulle istanze ambientali e terzomondiste che da anni agitano la sinistra, strutturando un panorama di intervento vasto e articolato organizzato attorno ad alcuni temi: il sostegno e l'attivazione delle pratiche locali, la biodiversità, il diritto alla sovranità alimentare per tutti i popoli, la lotta agli sprechi, difesa del paesaggio, del suolo e del territorio, valorizzazione della memoria locale, l'educazione al futuro.
Il Documento Congressuale 2010-2014 di Slow Food rivendica “un forte impegno politico”: “I temi che trattiamo sono sempre più di attualità, riguardano sempre più da vicino la vita di tutti e la quotidianità, incidono sull'economia, sulla cultura, sulla socialità, sulla salute, oltre che naturalmente su ambiente, agricoltura e alimentazione. Non dobbiamo diventare un partito politico, tuttavia non possiamo sottrarci alla funzione politica che siamo in grado di esercitare. In piena libertà e autonomia, dobbiamo continuare a fare politica come è avvenuto in questi anni: intervenendo laddove abbiamo cose da dire e facendo valere il peso della nostra autorevolezza”10.
In una concezione più vasta la natura viene vissuta come realtà positiva, situazione incontaminata che contiene virtù e spontaneità, da difendere rispetto all'intervento umano visto come negativo e distruttore.
L'animalismo non è più una stravaganza per pochi e l'alimentazione vegetariana e vegana smettono di essere una scelta prevalentemente personale appannaggio di ristrette avanguardie, per diventare un atto politico esplicito, soprattutto nelle grandi aree metropolitane del nord, legato alla protezione delle risorse della Terra e motivato da un'etica pacifista di rispetto della vita. Il movimento antispecista rappresenta l'evoluzione del pensiero animalista, che rifiuta la superiorità della specie umana sulle altre: la liberazione da tutte le imposizioni per cui nasce l'Anarchia è inconcepibile, per gli antispecisti, se rivolta alla sola specie umana.
La coscienza dello sfruttamento del Terzo Mondo invece interviene ancora nella difesa dell'ambiente minacciato ma anche nel rispetto del diritto dei lavoratori, con la costruzione di rapporti diretti con i produttori locali e l'immissione di prodotti sul mercato garantiti (mercato equo e solidale), spesso estranei alle tradizioni italiane.
Oltre al boicottaggio a singole aziende multinazionali dell'alimentazione, si afferma il concetto di consumo critico, nel quale la spesa non è più solo un atto individuale, ma deve considerare anche il comportamento delle imprese stesse in merito (utilizzo delle risorse, l'energia, i rifiuti, le condizioni di lavoro).
Nascono collettivi e manifestazioni che legano esplicitamente l'alimentazione all'azione politica (ad es. Food not bombs), cooperative e reti di consumo e di produzione (ad es. la rete Campi Aperti), Gruppi di Acquisto Solidali, negozi ed esercizi commerciali (ad es. le fiere “Fa la cosa giusta”) che a vario titolo aderiscono a queste istanze; si moltiplicano le pubblicazioni di cucina che si legano esplicitamente alle tematiche alimentari di consumo critico, equo-solidale ed etico11. Le feste politiche, dove fino a pochi anni fa l'orizzonte gastronomico era mediamente costituito dal panino con la salamella, ora vedono un'offerta articolata e spesso incentrata su una cucina politicamente corretta: biologica, chilometro zero, tradizionale, vegetariana o vegana.
Il fenomeno dell'immigrazione insieme ad altre tematiche porta l'attenzione sui temi identitari a partire dalla cucina, suscitando talvolta un'adesione entusiastica e non di rado aprioristica delle nuove cucine, spesso come dichiarazione di accettazione e di non rifiuto dei nuovi cittadini anche in aperta e strumentale polemica con gli slogan e le semplificazioni delle posizioni più esplicitamente razziste (“Cuscus no, polenta sì”)12.
Manifestazione estrema dell'uso politico dell'alimentazione è il suo rifiuto totale, il digiuno, come strumento di lotta utilizzato spesso da soggetti o movimenti che non hanno risorse o possibilità di agibilità politica, oppure operano all'interno di istituzioni totali come il carcere. Al di fuori di questi ambiti, dove spesso il digiuno è spinto alle conseguenze estreme, appaiono risibili i vari digiuni di tipo “leggero” o a “staffetta” utilizzati da alcuni esponenti politici nel tentativo di attirare attenzione e consenso.

“Genuino Clandestino”, film di
Nicola Angrisano, InsuTv

Temi identitari

Le dinamiche appena descritte costituiscono un insieme articolato, a volte contraddittorio nelle sue componenti, che costituisce un pensiero politico che ha nel cibo non solo un campo di azione ma anche uno strumento per costruire una nuova identità politica.
Difficile individuare le cause di questa svolta. Probabilmente, una volta esaurite le istanze rivoluzionarie dei movimenti antagonisti degli anni sessanta e settanta, cadute insieme al muro di Berlino, è seguito un ripiego dell'impegno politico su obbiettivi più riformisti e quotidiani: “in principio era il militante di sinistra stanco e deluso”, scrive Petrini sull'origine di SlowFood13. Ma per le generazioni successive, cresciute senza l'esperienza di quegli anni, la rivoluzione è una prospettiva inesistente, mentre l'azione concreta e personale hanno un valore primario, così come l'attività associativa come contesto per modificare la società, spesso al di fuori delle ideologie. L'alimentazione e la cucina non fanno più parte dell'ambito strettamente individuale ma sono diventate un'azione etica e condivisa: il cibo viene considerato una leva di riscatto sociale e un paradigma economico della società, per cui ogni scelta alimentare è un'adesione di campo.
Si è passati dal coinvolgimento dei singoli in un'azione rivoluzionaria per cambiare la società che avrebbe aperto a nuovi comportamenti sociali, all'azione per cambiare l'individuo e le sue abitudini che, sommate, dovrebbero cambiare la società.
Queste istanze si legano strettamente anche al salutismo e alla crescente diffidenza verso un'alimentazione prodotta con metodi industriali, alimentata anche da recenti fatti di cronaca e identificata con il sistema economico dominante: adulterazioni, presenze di elementi chimici e pesticidi, “mucca pazza”, etc.
Tutto questo si muove all'interno di una sorta di rivoluzione culturale degli ultimi decenni, grazie alla quale la cucina ha smesso di essere argomento marginale, considerato appannaggio di casalinghe e ghiottoni, per diventare un tema diffuso di riconosciuta dignità culturale, tanto pervasivo da essere diventato un'ossessione. Nella società benestante attuale sono ormai molte le malattie legate al disordine alimentare, dall'anoressia e bulimia all'obesità per arrivare alla creazione di nuovi disturbi come l'ortoressia, descritta come un'attenzione abnorme alle regole alimentari.

Sacche di consumo etico

Quale ne sia la motivazione, il militante attuale, l'uomo e la donna di sinistra, sono ormai definiti anche dal loro regime alimentare. Non esiste uno modello specifico cui aderire e l'approccio sembra più quello di una combinazione soggettiva di scelte e risorse all'interno di una vasta area di riferimento, le cui tematiche a volte appaiono anche in contraddizione tra loro e non di rado hanno portato a contrasti e divisioni14.
Frequenti sono inoltre i rischi di scivolare nella semplificazione e rigidità o nel consenso acritico e mitizzato, se non addirittura nell'adesione di moda.
L'idealizzazione del passato e della tradizione come epoca felice appare per esempio spesso ingenua e disinformata, non tiene conto delle durissime condizioni di vita delle classi subalterne, della loro fame e malnutrizione15.
La considerazione nostalgica e retorica verso la “natura” è scollegata poi da una sua reale conoscenza ed è frutto di mitizzazione, dimentica che essa non è né vergine né intatta, ma profondamente e storicamente in relazione con la cultura e l'azione antropica. Anzi la natura stessa è strettamente connessa all'uomo stesso e non la sua controparte migliore16.
Spesso sono assenti considerazioni critiche verso l'indotto commerciale e industriale che ormai gravita intorno ai temi dell'alimentazione biologica, naturale, equa e solidale, all'invenzione di marchi e prodotti che sfruttano abilmente queste nuove tendenze non di rado con truffe e frodi. Esiste un marketing del naturale e del biologico, astuto e invasivo come quello di qualsiasi altro brand industriale17. Senza dimenticare che molto spesso questi prodotti hanno un costo ancora elevato, nonostante l'impegno dei produttori, che li rende difficilmente accessibili alle classi economicamente più disagiate (almeno teoricamente ancora ambito di riferimento della sinistra).
Rimane da chiarire se questa attenzione al tema del cibo, una novità nel panorama dell'antagonismo politico, sia riuscita realmente a incidere nella società italiana.
Una prima considerazione porta a osservare che quasi in nessun caso i temi affrontati sono peculiari ai movimenti storici di sinistra (socialisti, marxisti, anarchici) ma appartengono anche a realtà molto diverse da loro, di frequente al mondo cattolico, e che in grande misura sono seguite da persone senza precise convinzioni politiche; alcuni temi, come ad esempio l'animalismo, sono adottati anche da movimenti di destra18. Sono scelte che rientrano nel variegato mondo che vede la possibilità di creare un sistema sociale ed economico alternativo a quello attuale, senza che questo sia accompagnato da cambiamenti dell'organizzazione politica o statale.
In generale si sono moltiplicate le realtà di difesa del territorio e sono state create delle sacche di consumo etico; la produzione biologica e il commercio equo-solidale sono in continua espansione e il boicottaggio delle multinazionali talvolta riesce a condizionare le scelte delle industrie (che però continuano a macinare utili): un sondaggio del 2008 riporta che motivi etici o politici hanno guidato il 18,7% degli intervistati nel boicottaggio di prodotti o marchi e il 30,1% nell'acquisto di prodotti; il 47% ha comprato prodotti per finanziare una “buona causa”19. Dal rapporto Censis/Coldiretti sulle abitudini alimentari degli italiani del 2010 emerge chiara “la percezione della responsabilità sociale ed ambientale che ha ogni atto di acquisto e il rapporto tra il cibo ed il territorio con il riconoscimento del valore che ha l'identità territoriale delle produzioni”, ma anche una grande disomogeneità nelle azioni: ad esempio “tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio equo e solidale una nettissima maggioranza acquista i prodotti a marchio commerciale del distributore, espressione della nuova forza della Gdo [Grande Distribuzione Organizzata ndr], oltre tre quarti acquista prodotti surgelati ed oltre due terzi scatolame”20.
Nondimeno rimane la sensazione che si tratti comunque di scelte alimentari che, sia per un costo tendenzialmente alto che per la necessità di un'attenzione che richiede tempo e conoscenza, sono il più delle volte appannaggio di una minoranza informata ed economicamente benestante. Il proletariato, i migranti, i precari, le persone che rincorrono una quotidianità strizzata dalle difficoltà, rimangono spesso legate all'economicità dei prodotti, perciò alla grande distribuzione e all'adesione di fatto di un modello proposto dalla società dei consumi.

Andrea Perin

Note

  1. Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, Einaudi, Torino 1970, p. 15. Si basa sull'ultima edizione curata dall'autore (1910, quattordicesima edizione)
  2. Massimo Montanari, La fame e l'abbondanza. Storia dell'alimentazione in Europa, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 118-121
  3. Federico Ferretti, Le cucine della via Emilia, in AA.VV., Le cucine del Popolo, Zero in Condotta, Milano 2005, p. 17
  4. Pierpaolo Casarin (a cura di), L'osteria “luogo” di libertà, in “Bollettino Archivio G. Pinelli”, n. 20, p. 27-33
  5. Luigi Fabbri, Prefazione, in Tomaso Concordia, L'alcolismo, Libreria Editrice Sociale, Milano 1910
  6. Andrea Perin e Viviana Perin (a cura di), 100 anni della Cooperativa Case Popolari Vercellese. I soci raccontano, CCPV, Milano 2011
  7. Sandro Bellei, Ricettario fascista. Chi mangia troppo deruba la patria, CDL, Finale Emilia (FE) 2007; Ljiljana Avirovi (a cura di), Rivoluzione in cucina. A tavola con Stalin: il libro del cibo gustoso e salutare, excelsior 1881, Milano 2008
  8. Paolo Sorcinelli, Gli italiani e il cibo. Dalla polenta ai cracker, Bruno Mondadori, Milano 1999
  9. Carlo Petrini, SlowFood. Le ragioni del gusto, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 22
  10. Slow Food Italia, Le conseguenze del piacere. Documento Congressuale 2010-2014, p. 39
  11. Emanuela Barbero et al. (a cura di), La cucina etica, Edizioni Sonda; Annalisa Ippolito e Carlo Gubitosa, Ricettario della Pace. Consigli e ricette per mangiare bene senza appesantire il mondo,Guide Meravigli, 2009; Marinella Correggia, Il cuoco leggero, Altraeconomia edizioni, Milano 2010; Marina Berati, Vegan si nasce o si diventa? Vivere (e mangiare) come si deve: per gli animali, la natura e la nostra salute, Edizioni Sonda, 2011
  12. Anche se sono numerosi i punti di contatto con la Lega sul tema dell'alimentazione: dalla difesa di una supposta tradizione al chilometro zero – inteso come difesa del prodotto locale
  13. Petrini, op.cit., p. 16
  14. Ad esempio il dibattito su alimentazione vegetariana-vegano sulle pagine de «il manifesto»/Cultura, 16 febbraio 2012 e 28 febbraio 2012. O ancora su “A” (n. 368, febbraio 2012; n. 370, aprile 2012, p. xxx)
  15. Andrea Perin, La fame aguzza l'ingegno. Cucina buona in tempi difficili, Eléuthera, Milano 2005; Riccardo Bertani, La magra cucina contadina di un tempo, in AA.VV., Le cucine del Popolo, op. cit, p. 107-109
  16. Gianfranco Marrone, Addio alla natura, Einaudi, Torino 2011; Fernando Savater, Tauroetica, Editori Laterza, Roma-Bari 2012
  17. Marrone, op. cit., pp. 71-88
  18. Ad es. il numero monografico di Charta minuta, bimestrale della fondazione Fare Futuro, dal titolo Dalla parte degli animali – n.4, luglio-agosto 2010
  19. Studio dell'Osservatorio Demos-Coop/La Polis riportato in Miniguida al consumo critico e al boicottaggio, Editrice Monti, Saronno (VA) 2010, p. 8
  20. http://www.coldiretti.it/docindex/cncd/informazioni/747_09.htm

Ognuno guardando nel proprio piatto

Proviamo a immaginare un pranzo impossibile, con alla stessa tavola un militante di un secolo o anche solo cinquant'anni fa, un socialista o un anarchico, magari un comunista o un sindacalista; seduto di fronte a lui un attivista contemporaneo, appartenente a una delle varie anime del cosiddetto movimento.
Il vecchio militante mangia lo stesso pasto quotidiano di un operaio, un piatto di pasta con un sugo al pomodoro pieno di aglio, un'insalata condita con un olio pallido o lardo fuso e una grande pagnotta, il tutto accompagnato da un mezzo litro di un vinello leggero e un po' acido; magari un pezzo di formaggio. Si fa un punto d'onore di nutrirsi come un qualsiasi lavoratore, anzi, in quanto militante trova giusto essere morigerati e non indulgere in eccessive distrazioni. Guarda con stupore il piccolo piatto di pasta integrale condita con piccoli pomodori tondi, il piatto di verdura biologica (“ma cosa sarà mai?”) condito con olio (extravergine di oliva IGP), la bistecca ai ferri (da mucca “felice” acquistata al GAS), la bottiglia di vino dall'etichetta raffinata (“biologico?”); se il nuovo militante è vegetariano o vegano rimarrà sorpreso da quelle cose per lui strane che sono il seitan o l'hamburger di soia (“pensavo fosse una svizzera”).
Al vecchio militante tutta questa attenzione al cibo non convince mica tanto, non è neanche la festa del Primo Maggio quando è giusto fare un pasto ricco, magari con i piatti della Pasqua per far arrabbiare il prete; gli sembra tanto una cosa un po' da forchettone, da borghese panciuto. Lui la carne la mangia ogni tanto, bianco costato o brodo con le ossa. Il suo commensale, se vegano, lo guarda decisamente cattivo, ostentando un irritazione appena contenuta di cui non capisce il senso.
Il nuovo militante ha scelto con cura i suoi ingredienti tra quelli che sono più rispettosi di ambiente e lavoro, cercando di coniugare il buono con il giusto, “La scelta del cibo è un atto politico”. Considera con sostanziale delusione il magro e squallido pasto del suo commensale: “Ma la tradizione popolare? La buona cucina povera di una volta dov'è?”.
Quello vecchio osserva senza comprendere il compiacimento del suo commensale per quello che sta mangiando. Trasecola quando sente affermare che il consumo consapevole condiziona l'economia, migliora il mondo e salva l'ambiente. “Ma chissenfrega della natura e dell'ambiente!” dirà il sindacalista o socialista o anarchico, è la rivoluzione che conta, il rovesciamento del potere, una nuova realtà sociale. Al popolo manca il pane e voi vi trastullate al desco! Prima la lotta e poi si penserà a mangiare!
“Ma che rivoluzione e rivoluzione - risponde l'altro - è un'esperienza vecchia che ha fallito ovunque. È partendo dal basso con i propri comportamenti che possiamo cambiare il sistema”.
I due riprendono a mangiare in silenzio, ognuno guardando nel proprio piatto
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A.P.