rivista anarchica
anno 43 n. 380
maggio 2013


biografie

Donne nel Cpc

a cura di Martina Guerrini


Le edizioni Zero in Condotta hanno appena pubblicato Donne contro. Ribelli, sovversive, antifasciste nel Casellario politico centrale, di Martina Guerrini.
Riproduciamo in queste pagine le schede di polizia di Irma Zanella e delle tre sorelle Zecca, precedute dalle note dell'autrice.


1. Lo sguardo maschile sulle schedate

L'intento che mi prefiggo è soprattutto quello di evidenziare quanto la discriminazione di genere riesca a permeare l'articolazione delle schedature delle donne nel Cpc (Casellario politico centrale). I fascicoli che ho potuto analizzare contengono spunti significativi a riguardo. È essenziale evidenziare quanta influenza abbia giocato la cultura, il pregiudizio, la collocazione ideologica di ogni singolo estensore dei fascicoli – spesso un oscuro impiegato d'ufficio – nel suggerire motivazioni e moventi fortemente discriminatori e sessisti per le azioni e scelte delle donne in oggetto.
Gli uomini preposti alla classificazione e all'allestimento delle biografie sovversive hanno un posizionamento ben definito: eterosessisti con forte pregiudizio omofobo, membri della classe politica dominante, fiduciosi nel ruolo disciplinante della famiglia autoritaria – non a caso oggetto di continui rimandi e definizioni da parte di Mussolini – così come nel ruolo dello Stato, del paternalismo patriarcale e violento fascista, della funzione pedagogica del Partito.
È quindi con questi occhi che i compilatori descrivono e talvolta inventano profili inattendibili di donne militanti o sovversive, spesso definite come “dedite alla prostituzione” perché compagne non sposate di un sovversivo, oppure perché già sposate ma compagne di un uomo diverso, oppure semplicemente perché frequentatrici di compagnie politiche maschili: quale diverso motivo avrebbe potuto spingere uomini ad accogliere con tanta frequenza una donna durante i loro incontri, non essendole attribuita alcuna capacità o volontà autonoma di autodeterminazione in ambito pubblico?
Raramente una sovversiva è ritenuta capace di scegliere. Se una donna è schedata perché antifascista, con alta probabilità sarà definita “aver abbracciato la fede del marito o del compagno”, oppure “aver seguito la malsana compagnia del compagno” comunista/anarchico: in nessun caso si fa menzione all'autodeterminazione femminile in ambito politico, pur essendo talvolta costretti a tributare alle donne una personale capacità oratoria, organizzativa, teorica.
Tragicamente, ancora oggi poco è cambiato e non solo tra gli sguardi repressivi, poiché le militanti politiche sono spesso accusate di seguire e cambiare il proprio orientamento politico in base alle frequentazioni affettive e amorose, mentre quasi mai si ammette che esse stesse possono essere capaci di orientare compagni di vita e di politica, o scegliere di condividere amore e orientamento politico come un continuum, senza gerarchiche relazioni maschiliste di causa-effetto (viene prima l'uomo e poi l'impegno e/o la capacità di astrazione!?).
Le schedate nel Casellario saranno oggetto di sguardi maschili percorsi da un immaginario castrante, contraddistinto da intrinseche contraddizioni utili a rafforzare la norma predefinita: lo stigma sessuato. Le antifasciste sono “mantenute” se vivono secondo schemi monogamici ma “prostitute” se non lo fanno, “abili simulatrici”, “squilibrate”, “suggestionabili”, “nevrotiche”.
Come esercizio non retorico, e sperando di attivare riflessioni autodeterminate, ho scelto di sollecitare poco i resoconti biografici delle donne prese in esame, limitandomi a interventi brevi o di carattere storico/storiografico. Che ciascuna-o affronti le pagine che seguiranno con personale disgusto e acume, cercando di scorgere e identificare segni, allusioni, illazioni, ricostruzioni architettate secondo le molteplici forme di oppressione presenti; che tutte sentano come propria la faccia trascritta e stravolta in ogni sua parte, fin nelle cicatrici più profonde, fin nelle più segrete corrispondenze, d'animo o di lettera.
Durante il regime fascista la sottovalutazione patriarcale del ruolo autonomo femminile sarà dalle donne combattuto e usato, come accade in tempi fortemente repressivi, con l'intelligenza di chi conosce lo stereotipo e decide di farlo pagare caro all'ideatore o replicante: le staffette partigiane raccontano con sarcasmo decisamente malevolo di aver usato dosi massicce di mielosa leziosaggine per oltrepassare i posti di blocco nemici con biciclette completamente armate. Chi avrebbe resistito allo sguardo svenevole di una bella ragazza, quale uomo avrebbe potuto pensare che dietro all'innocenza o alla allusione da meretricio si celasse una militante disposta a tutto per distruggere l'oppressore?
Successivamente si sarebbe potuto “scoprire” che le donne non sono solo puttane o madonne, ma fin dai mancati riconoscimenti al coraggio e ai rischi corsi durante la guerra di liberazione i conti iniziano a non tornare.
Nell'attuale società spettacolare, da quando i media hanno assunto il ruolo di raccontare alle donne e agli uomini la loro vita, contribuendo non da soli a operare una scissione irriducibile tra l'esperienza e il suo simulacro (ormai sempre più simulacro di se stesso), l'orrore e lo sconcerto dei dominanti di fronte all'arresto di donne con ruoli dirigenti in ambito politico, magari ritenute capaci di usare armi non solo “seduttive”, è ormai un cliché abituale. Negli ultimi anni le sovversive che hanno dovuto subire provvedimenti restrittivi carcerari, hanno inoltre visto infliggersi un immaginario mainstream degno del miglior resocontista fascista: arpie, amanti di ogni frequentante maschile del proprio centro sociale, madri snaturate e irresponsabili le/i cui figli-e senza alcun demerito sono sbattuti-e con nome, cognome e indirizzo sui principali quotidiani; questo è ancora oggi lo sguardo disumanizzante che ogni servo del potere recupera dai peggiori incubi della storia.
Per questo principale motivo rileggere sotto questo profilo il Cpc credo possa inchiodare coloro i quali vivono beatamente la democrazia e condannano il fascismo che fu, senza voler vedere, senza voler fare i conti con la (stra)ordinaria continuità di pratiche e teorie repressive che lo Stato affina ogni giorno contro chi lotta per essere libera-o.

2. Irma Zanella/“dotata di singolarescaltrezza”

Irma Zanella di Mosè e di Maria Concetta De Carli, nasce a Adria il 22 giugno 19001. Casalinga.
È schedata come comunista-anarchica.
Di statura bassa, esile, neri capelli ondulati; occhi piccoli e castani, volto di colore scuro. Possiede una cicatrice di forma circolare, piuttosto vistosa, sullo zigomo destro.
“Nel pubblico riscuote cattiva fama perché abitualmente dedita alla prostituzione clandestina. Di carattere impulsivo, ha poca educazione e coltura [sic], avendo frequentato la sola quarta classe elementare, ma è dotata di intelligenza non comune. Poco amante del lavoro, ritrae i mezzi di sostentamento dalla prostituzione, e verso il padre si comporta bene.”
Irma Zanella è infatti orfana di madre: siamo nel 1928, anno di apertura del suo fascicolo. Nonostante sia stata schedata come casalinga, la si definisce “prostituta”, pur senza aggiungere elementi in grado di circoscrivere e dettagliare maggiormente la fonte o la veridicità di tale supposizione.
È ritenuta essere stata iscritta al Partito comunista e precedentemente ad “altro partito”, oltre ad essere stata in corrispondenza epistolare con militanti – definiti “già suoi amanti”: quasi la si sospettasse usare l'arma seduttiva, in mancanza di una capacità politica, per entrare in contatto con soggetti sovversivi.
Non collabora né riceve o spedisce giornali o stampe sovversive, né ha mai tenuto conferenze: non si ritiene esserne in grado.
Verso le autorità tiene contegno indifferente.
È dotata di “singolare scaltrezza” oltre a essere coraggiosa, e a causa dei suoi “sentimenti sovversivi e anarchici” è ritenuta capace di complottare e commettere qualsiasi atto contro il regime. In questo quadro l'aggravante della prostituzione clandestina offre ulteriori e convincenti spiegazioni – agli occhi di chi sta schedando – alla coraggiosa determinazione di chi sembra essere capace di tutto:
“Dall'ignobile sfruttamento di sé stessa approfitta anche per iscopi politici, facilitata in tale subdola e pericolosa azione dall'esercizio della prostituzione clandestina, che la pone in grado di avvicinare persone di qualsiasi posizione sociale e di qualsiasi età e sentimento politico.”
Oltre a giudicare la sua condotta immorale – sempre qualora fosse accertato l'esercizio della prostituzione da parte della Zanella – viene ritenuta pericolosa anche perché facilmente assoggettabile alla volontà di “qualche facinoroso”.
In poche parole, poiché Irma Zanella fa la prostituta, questo la rende volubile e utilizzabile: il suo percorso politico è quindi ritenuto l'inevitabile conseguenza dell'incontro avuto con uomini – i suoi “amanti” – che ne avrebbero condizionato la militanza e il contributo alla causa antifascista.
“Recentemente prese parte ad un convegno di sovversivi in Adria per un tentativo di riallacciamento di rapporti con elementi di comune fede.”
Dell'incontro dà conto Marco Rossi nel suo La Banda Boccato:
“Ad Adria un folto gruppo di anarchici e comunisti venne accusato di 'riorganizzare le masse alla riscossa, capaci, e sempre pronti a favorire e partecipare ad un eventuale complotto contro i poteri del nuovo Stato Fascista, in collegamento con altri antifascisti adriesi emigrati nel Nord Italia'; per alcuni di loro vi fu il confino, per gli altri la misura dell'ammonizione o della viglianza2.
[...] Vennero confinati Antonio Camerini, Cesare Galimberti, Mario Garbin, Fausto Beghin (o Bighin) ed Irma Zanella; vennero sottoposti a vigilanza Giuseppe Moretti, l'ombrellaio Giovanni Beccheri, Luigi Vivarini, Ruschi Vicolo, il barbiere Nino Donà, il capomastro Zanforlin (probabilmente Ferruccio), Celeste Chiossi, Leonida Zen, il maestro di musica Stignani, Giovanni Baruffali, Paolo Beghin (o Bighin), Antonio Mori, Remo Fabbris, Aristide Marchiandi, Delladea, Ennio Boccato, il calzolaio Menina, il capomastro Enrichetto Barbiani ed i fratelli Guarnieri3”.
Il 12 luglio 1928 è quindi assegnata al confino di polizia per due anni e tradotta a Lipari4; successivamente la Commissione d'Appello ridurrà la pena a un anno.
Il 5 luglio 1929 Irma Zanella torna ad Adria presso il padre, ma decide nel dicembre di trasferirsi a Venezia presso la suocera. Il marito, Riccardo Secondo Banzato, è un comunista confinato politico a Lipari: dal marzo del 1930 la Zanella deciderà di raggiungere il marito confinato per un anno, tornando, assieme a lui, a Venezia nel luglio dell'anno successivo.
Il 16 agosto 1932 si trasferisce di nuovo ad Adria per assistere il padre infermo: sembra che la decisione di tornare nella città paterna sia dettata anche da divergenze coniugali.
La relazione con il marito riprende dal dicembre 1932, e la prefettura di Venezia compila l'ultima annotazione rintracciabile all'interno del fascicolo – il 24 gennaio 1940 – con un laconico “nulla da segnalare”.

3. Le sorelle Zecca/ “con ostentato disprezzo”

Le sorelle Zecca vengono ammonite nel 1935 a seguito del seguente rapporto del Direttore della Colonia di Ponza:
“Quest'ufficio da parecchio tempo esercitava una particolare oculata vigilanza sul conto delle donne qui appresso indicate, le quali si erano messe in evidenza per la sospetta assiduità con cui frequentavano i confinati di questa Colonia, specie quelli più pericolosi e turbolenti5.”
Anna Maria, Luisa e Silveria manifestano apertamente simpatia per i confinati di Ponza, e “non fanno misteri dei loro sentimenti ostili al Regime e tengono un contegno sprezzante verso le Autorità”.
Sono colpevoli di partecipare a “riunioni clandestine tra confinati, ove con brindisi e balli si festeggiavano anniversari sovversivi”.
Tuttavia, sembra non esistere una fonte attendibile di quanto appena riportato:
“Di tali occulte manifestazioni antinazionali, che avevano luogo negli alloggi cosiddetti diurni dei confinati, recentemente soppressi, non si è mai riuscito ad avere la prova per una concreta denunzia all'Autorità Giudiziaria competente, e ciò per le cautele di cui si circondavano i partecipanti, coadiuvati in questo dalle predette donne, le quali, anche con la complicità dei propri famigliari, a turno si collocavano di vedetta in punti adatti, sventando così le sorprese.”
Spesso, in occasione di “cerimonie patriottiche”, all'avvicinarsi dei cortei erano dette rientrare in fretta in casa mostrando le spalle “con ostentato disprezzo”.
Questi episodi inducono chi compila il profilo delle sorelle a sostenere:
“I principi sovversivi professati dalle predette donne sono così profondamente radicati in esse da spingerle, tra l'altro, a compiere azioni che possono provocare la giusta reazione dell'elemento fascista locale.” Sono inoltre sospettate, in virtù di un non meglio precisato e approfondito “complesso di indizi”, di essere complici dello scambio di corrispondenza clandestina tra confinati, “nei cui riguardi operano in modo così scaltro da non lasciare alcuna traccia concreta della loro illecita attività”.
Infine, si ritiene evidente che “per la loro attività e per i sentimenti antifascisti inequivocabilmente manifestati” esse costituiscano “un rilevante pericolo nei riguardi della disciplina e della sicurezza della Colonia, in particolare, e dell'ordine pubblico, in generale”.
Sono quindi sottoposte a un provvedimento di polizia che impedisca loro di frequentare i confinati politici di Ponza e conseguentemente di agevolare – secondo i sospetti – la loro corrispondenza epistolare.
Ciononostante, il motivo di allarme per il regime fascista è più sottile e talmente urgente da essere necessario evidenziarne con estrema precisione tutta la portata politica:
“il provvedimento si impone, inoltre, e, soprattutto per mettere gli organi di polizia nelle condizioni di esercitare un più rigoroso ed attivo controllo sulle attività di tali donne, allo scopo di impedire la trasmissione all'estero e nell'interno del Regno di notizie mendaci e allarmistiche sulle organizzazioni e disciplina di questa Colonia e sul trattamento usato ai confinati, poiché è indubbiamente da ritenersi che alcuni confinati in questa Colonia, che rappresentano figure di un certo rilievo, si servono dell'opera delle predette donne, sfruttandone i sentimenti sovversivi, per riuscire a corrispondere con ex confinati e sovversivi in genere, per fini politici, certamente esiziali per gli interessi dello Stato.”

Anna Maria
Anna Maria Zecca di Luigi e di Maria Feola, nasce a Ponza l'11 novembre 19066. Casalinga. Schedata come antifascista.
Ammonita7.
Si sposa il 6 marzo 1936 a Ponza con il confinato politico Mario Malgaretto.
Viene attentamente vigilata e ritenuta nutrire
“sentimenti ostili al Regime ed alle Istituzioni Fasciste, con contegno sprezzante verso le Autorità, dimostrando speciale simpatia per i confinati assegnati alla colonia di Ponza.”
L'11 luglio 1935 viene prosciolta dai vincoli del monito in seguito all'atto di clemenza di Mussolini.
Nel novembre 1937 Anna Maria si trasferisce con il marito a Mestre “senza dar luogo a rilievi di sorta”.
Resta vigilata.

Luisa
Luisa Zecca nasce a Ponza il 9 ottobre 19118. Lavandaia. Schedata come antifascista. Confinata.
È alta un metro e sessanta. Ha i capelli castani e ondulati; gli occhi marroni e la pelle rosata. Tra i caratteri professionali è segnalato l'“abituale colorito roseo delle mani”.
Il 30 marzo 1938 viene assegnata al confino politico di due anni ad Altomonte (Cosenza) assieme alla sorella Silveria.
In una nota del 5 aprile 1938 di lei si scrive:
“Pericolosità specifica per reati politici, ma relativa a speciali contingenze di luogo, cioè ambientali.
Il provvedimento di polizia dell'ammonizione non ha prodotto su di lei alcuno effetto. Forse potrà essere salutare il provvedimento del confino, in quanto la isolerà dall'ambiente in cui è vissuta fin dalla giovanissima età.
Carattere piuttosto altero, indole ribelle.
Verso le autorità mantiene un contegno sprezzante.”
Luisa svolge il suo abituale lavoro di lavandaia, secondo quanto riportato nel fascicolo, “quasi ad esclusivo uso di questi confinati politici con i quali ha frequenti contatti”. È inoltre responsabile di essere “in intima amicizia con le altre donne del luogo le quali simpatizzano con l'elemento confinato”.
“Ha vissuto nell'isola di Ponza fin dalla nascita. Appartiene a famiglia di mediocri condizioni sociali, e, ancor giovanetta, ha appreso il mestiere di lavandaia. Per condizioni ambientali e di lavoro, ha frequentato, unitamente alla germana Anna Maria e Silveria, la malsana compagnia dei confinati politici di colore comunista, dai quali le è stato istillato nell'animo una sorda avversione al Governo Fascista, ed alle istituzioni nazionali. Non ha mancato di manifestare tali suoi sentimenti in occasioni di feste patriottiche e, in simili ricorrenze, ha spesso indossato abiti o comunque indumenti di tinta rossa.”
Il 7 ottobre 1935 – successivamente al provvedimento di ammonizione – viene denunciata alla Pretura di Ponza per oltraggio e resistenza alla Pubblica Sicurezza, nonché per contravvenzione al monito:
“Ad ora della sera piuttosto inoltrata, essendo stata diffidata da un agente di Pubblica Sicurezza e da un milite a rincasare, in ottemperanza agli obblighi imposti dal verbale di sottoposizione, si rivolta in malo modo e con parole oltraggiose, ed oppone viva resistenza ai verbalizzanti.”
Con medesimo rapporto, e per gli stessi motivi, viene denunciata anche la sorella Silveria, comportatasi, verso la Pubblica sicurezza, nell'identica maniera.
Verrà assolta per insufficienza di prove il 25 gennaio 1936 dal Tribunale di Napoli.
Nel maggio 1936 sarà amnistiata come le sorelle, per atto di clemenza di Mussolini, dal provvedimento di ammonizione.
Una nota del novembre 1937 riferisce che Luisa si reca “spesso a Napoli, ed è fortemente sospettata di favorire l'inoltro di notizie e di corrispondenza clandestina per la terraferma”.
Nel 1938 è quindi tradotta ad Altomonte per scontare un periodo di due anni di confino, ma il 15 ottobre 1939 è prosciolta condizionalmente per atto di clemenza del Duce, avendo dato “prove di ravvedimento”, e riportata a Ponza.
Il 10 novembre 1939 si trasferisce a Mestre, dove si iscrive ai Sindacati dell'Industria.
Una nota del 1943 della prefettura veneziana dispone: “Non avendo la stessa, finora, dato prova di ravvedimento viene opportunamente vigilata”.

Silveria
Silveria Zecca nasce a Ponza il 1° gennaio 19149. Lavandaia. Schedata come antifascista. Confinata.
È alta un metro e sessantadue. Ha i capelli castani, folti e ondulati; gli occhi marroni e la pelle rosata. Tra i caratteri professionali è segnalato l'“abituale colorito roseo delle mani”.
“Carattere suggestionabile, e piuttosto scontrosa. Verso le autorità mantiene un contegno indifferente. La si ritiene correggibile, ed anche utilizzabile.”
Il fidanzato, Mario Pianesi, è confinato politico a Ponza. È la più piccola delle sorelle, ed è presente in entrambe le circostanze che la porteranno a condividere le ammonizioni che colpiranno la sorella Luisa.
“L'antifascista in oggetto, durante la sua permanenza a Ponza, manifestava idee avverse al Regime favorendo anche la corrispondenza clandestina tra i confinati politici ed i sovversivi residenti nella penisola, nonché il recapito dei fondi del soccorso rosso.”
Sarà anche lei prosciolta condizionalmente dal provvedimento di confino grazie all'atto di clemenza di Mussolini.
Si trasferisce, il 10 novembre 1939, a Mestre e si iscrive come la sorella Luisa ai Sindacati dell'Industria.

Martina Guerrini

Note

  1. Acs, Cpc ad nomen.
  2. Marco Rossi, La Banda Boccato, in «Rivista Storica dell'Anarchismo», anno 10 – numero 2(20), Luglio-Dicembre 2003, pp. 79-80.
  3. Cfr. Adriano Dal Pont, et al. (a cura di), Aula IV. Tutti i processi del Tribunale speciale fascista, Roma, La Pietra, 1961.
  4. Nel fascicolo si annota che il 5 luglio 1928, una settimana prima del procedimento di confino della Zanella, è stato arrestato nella città di Venezia Romeo Veronese, ritenuto essere in rapporti con «l'anarchica».
  5. La proposta di ammonizione colpisce anche Anna Maria Zecca (figlia di Domenico e Maddalena Aversano, nata a Ponza il 16 marzo 1877), Maria Migliaccio e Ida Scarpati.
  6. Acs, Cpc ad nomen.
  7. Nel fascicolo sono presenti note attribuite erroneamente a Anna Maria Zecca, di Domenico e Aversano Maddalena, nata a Ponza il 16 marzo 1877, schedata come antifascista. La causa è da rintracciarsi probabilmente, oltre all'omonimia, al fatto che quest'ultima sarà ammonita assieme alle tre sorelle Zecca.
  8. Acs, Cpc ad nomen.
  9. Acs, Cpc ad nomen.
La prefazione di Marco Rossi al volume Donne contro di Martina Guerrini è stata pubblicata parzialmente in “A” 373 (estate 2012), con il titolo Un altro genere di arditismo.

Donne contro.
Ribelli, sovversive, antifasciste
nel Casellario Politico Centrale

Edizioni Zero in Condotta, 2013, € 10,00

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