rivista anarchica
anno 43 n. 382
estate 2013


(in)giustizia

Così hanno fatto morire
Francesco Mastrogiovanni

di Angelo Pagliaro


Sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza sulla morte in ospedale del maestro “gigante buono”, la cui agonia durata quasi quattro giorni è documentata da uno sconvolgente video “interno”.


Dopo circa sei mesi dall'emanazione della sentenza par la morte di Francesco Mastrogiovanni, nella quale i sei medici del reparto di psichiatria dell'Ospedale San Luca di Vallo della Lucania (Sa) sono stati condannati a pene varie, mentre sono stati assolti i dodici infermieri loro collaboratori, la dottoressa Elisabetta Garzo (presidente del tribunale di Vallo della Lucania) il 27 aprile 2013 ha reso note le motivazioni del provvedimento da lei emesso il 30 ottobre 2012. In questo periodo di lunga attesa abbiamo riflettuto molto sui possibili motivi per i quali il giudice ha ritenuto che i dodici infermieri non avessero alcuna responsabilità penale nel sequestro e nell'atroce morte dell'insegnante libertario.

Francesco Mastrogiovanni

Perché gli infermieri sono stati tutti assolti

Nel precedente servizio pubblicato sul n. 378 (marzo 2013) di “A” abbiamo parlato di “elemento di civiltà giuridica mancante” in riferimento all'incomprensibile assoluzione dei dodici infermieri che avrebbero dovuto, a nostro avviso, attenersi alle norme contenute nel loro codice deontologico. A partire da pag. 172 del dispositivo consegnato dalla dottoressa Garzo il 27 aprile 2013, al paragrafo avente per titolo “La posizione processuale degli infermieri”, la stessa spiega i motivi per i quali ha deciso per l'assoluzione. Il giudice scrive che il dibattimento non ha fornito la piena prova della penale responsabilità degli infermieri. Gli stessi, continua la dottoressa Garzo, non avevano né potevano avere contezza del principale elemento di indizio dell'illegittimità della contenzione praticata ai pazienti Mancoletti e Mastrogiovanni in quanto è emerso che le cartelle cliniche erano visionate esclusivamente dai medici, e che le stesse non erano custodite in prossimità dei pazienti, ma in apposita stanza deputata al ricovero dei medici. Agli infermieri è rimasto occulto, a parere del giudice, il principale sintomo dell'illegalità della pratica contenitiva: la mancata annotazione in cartella. Gli infermieri non potevano nemmeno compilare le consegne ai colleghi subentranti in servizio in quanto non esisteva, presso il reparto, la cartella infermieristica.
Il quadro che emerge dalla relazione del giudice è veramente sconfortante, se si considera che si sta parlando di un grande ospedale civile italiano. Ad aggiungere fuoco al fuoco è l'affermazione del giudice, contenuta a pag. 174, circa l'assoluta impreparazione degli infermieri rispetto alla contenzione. “Impreparazione intesa in senso scientifico”. Tutti i propalanti hanno infatti negato di aver svolto specifici corsi di aggiornamento sul punto; la pratica della contenzione era alquanto frequente nel reparto psichiatrico del San Luca e, (aggiungiamo noi), come in tutti i lager degni di questo nome, non esisteva né un registro delle contenzioni né la cartella infermieristica. In conclusione gli infermieri non hanno responsabilità penale in quanto, per errore di fatto, hanno ritenuto di obbedire a un ordine legittimo imposto dal superiore gerarchico. Nel contesto in cui si sono svolti i fatti è evidentemente insorta negli infermieri operanti la convinzione che sussistesse la necessità di contenere i pazienti per preservarne la salute. A ciò bisogna aggiungere che gli stessi (L. 251/2000 e Codice deontologico) non possono intervenire nello svolgimento di quelle attività che, in ragione della competenza scientifica e professionale, sono di stretta spettanza del medico.

Una gestione irresponsabile e approssimativa del reparto

Dalle considerazioni del giudice emergono, in tutta chiarezza, la mancata formazione e professionalizzazione degli infermieri, il sussistere di un forte rapporto di assoluta subalternità al dirigente: tutti fattori che, uniti alla inaccettabile “secretazione” delle cartelle cliniche e all'assenza della cartella infermieristica, configurano un quadro di grave irresponsabilità gestionale del reparto lager di psichiatria. Per non parlare delle false dichiarazioni sullo stato di salute di Franco rilasciate da vari medici, una per tutte quella della dottoressa Anna Angela Ruberto che dichiarava: il paziente “era tranquillo a letto, non aveva reazione alla contenzione” (...) “russava e respirava regolarmente” circostanze tutte smentite dal fatto che a quell'ora Francesco Mastrogiovanni era certamente già deceduto. Un mix esplosivo di negligenza, imperizia e imprudenza che ha condotto alla morte Franco, privandolo dell'assistenza più elementare, negandogli persino l'acqua e il cibo oltre a contenerlo ininterrottamente per 83 ore a tutti e quattro gli arti.

Le reazioni dei famigliari e del Comitato

Non appena letto il lungo documento composto da 183 pagine, la sorella di Francesco Mastrogiovanni, Caterina ha affermato: “Come familiari continuiamo la lotta e così invieremo copia della sentenza ai presidenti di camera e senato in maniera da essere convocati dinanzi alle commissioni sanità dei rispettivi consessi per poter dire una volta di più che nessuna persona può essere trattata con tanta disumanità in un ospedale pubblico”. “Purtroppo – ha proseguito Caterina – non possiamo presentare appello contro la sentenza nella parte che riguarda gli infermieri, questo per legge lo può fare solo la procura ma in ogni caso abbiamo intenzione di proseguire la nostra lotta. Infatti – ha aggiunto Caterina – gli infermieri sono stati assolti ma dalle motivazioni emerge una impreparazione scientifica degli stessi che non sono stati condannati solo perché meri esecutori. In ogni caso tutto ciò non esime chi svolge l'attività di operatore sanitario da usare un po' di umanità nei confronti dei pazienti che gli sono affidati”. La stessa Caterina ha poi dichiarato: “La sentenza non ridà la vita a mio fratello, ma almeno gli restituisce un minimo di dignità che era stata completamente cancellata”.
In merito alle motivazioni è intervenuto anche Giuseppe Tarallo, presidente del comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni: “In attesa di completare la lettura delle 183 pagine, ha dichiarato Tarallo, rimango stupefatto per le pene irrisorie inflitte ai medici, l'avvocato Valentina Restaino mise in rilievo come l'entità di queste pene corrispondessero al maltrattamento di animali, e per l'assoluzione totale degli infermieri”. Ma qual è la motivazione per la quale il giudice monocratico ha deciso di assolvere gli infermieri? L'insussistenza della colpevolezza. “Sia dalle deposizioni testimoniali che dalle parole di tutti gli imputati – scrive il giudice nelle motivazioni rese note il 27 aprile 2013 – è emerso che le cartelle cliniche erano visionate esclusivamente dai medici e che non erano custodite in prossimità dei pazienti ma in apposite stanze”. “Tutti gli indagati e i consulenti – continua il giudice – hanno precisato che la contenzione è un atto medico e le modalità applicative sono rimesse all'insindacabile scelta dell'operatore”. “È doveroso rimarcare – scrive ancora la dottoressa Garzo – come dal dibattimento sia emersa l'assoluta impreparazione degli infermieri rispetto alla contenzione. Impreparazione intesa in senso scientifico”. Gli infermieri hanno testimoniato di non aver svolto corsi di aggiornamento sul punto, hanno sostenuto che ogni iniziativa era rimessa alle valutazioni del medico. Occorre aggiungere che la pratica della contenzione era alquanto frequente nel reparto spdc dell'ospedale San Luca e che il direttore sanitario dell'Asl, Pantaleo Palladino, nel corso dell'istruttoria, ha equiparato il tso alla contenzione. Fin qui le considerazioni del giudice.

Infermieri: “saper essere” per “saper assistere”

Da parte nostra vogliamo ribadire che i dodici infermieri del reparto di psichiatria dell'Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania sono stati soggetti attivi nelle 83 ore di contenzione di Francesco Mastrogiovanni e hanno agito in prima persona (con autonomia di scelta e responsabilità così come prevede il codice) e quindi avevano l'obbligo di denunciare gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano sotto i loro occhi. L'art. 17 del codice deontologico afferma che l'infermiere, nell'agire professionale “è libero da condizionamenti” mentre, nell'art. 30 ribadisce che lo stesso “si adopera affinchè il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali”.
Ricordiamo ai nostri lettori che la contenzione a cui è stato sottoposto Franco, non è stata neanche annotata in cartella clinica. Negli articoli 33, 34, 43, 48 e 51 dello stesso codice si ribadisce, con diverse sfumature, che l'infermiere è tenuto, di fronte a carenze, a condizioni che limitano la qualità delle cure e il decoro dell'esercizio della professione, ad abusi e comportamenti contrari alla deontologia, a denunciare tali situazioni ai responsabili della struttura, al proprio collegio professionale e (come è successo a Franco) in caso di maltrattamenti o privazioni a carico dell'assistito, di produrre segnalazione alle autorità competenti. I componenti del comitato e i famigliari di Mastrogiovanni vogliono continuare a sperare che dopo la morte di Franco si restituisca alla collettività un reparto modello, e che l'onta che si è abbattuta su questo luogo (che doveva servire ad aiutare i più deboli, i sofferenti, i soggetti più fragili) possa essere cancellata e si trasformi in un centro di formazione, prima umana e poi professionale. Per “saper assistere” bisogna “saper essere” e, in nome della propria etica, sentirsi liberi e in dovere di impedire, in qualsiasi istante del percorso terapeutico e assistenziale, le atrocità contenute nel video dell'orrore che molti cittadini italiani, e non solo, hanno potuto vedere.

Angelo Pagliaro

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Motivazioni e spunti di riflessione

La contenzione fisica effettuata su Mastrogiovanni Francesco durante tutto il ricovero presso il reparto di psichiatria di Vallo della Lucania (dalle ore 13.30 del 31.7.2009 alle ore 7.20 del 4.8.2009) è stata effettuata fuori da qualsiasi regola e protocollo, tanto che non abbiamo dubbi a definirla “illecita”, impropria e antigiuridica”.

“La morte di Mastrogiovanni Francesco, a nostro giudizio, è diretta conseguenza della contenzione fisica a cui è stato sottoposto. Contenzione che ha cagionato, per le modalità con cui è stata messa in atto, un edema polmonare acuto che ha causato la morte per sommersione interna.
Il comportamento del personale sanitario che tenne in cura Mastrogiovanni, a nostro giudizio, è stato gravemente negligente:
1) Negligenza commissiva nel mettere in atto una contenzione fisica con le modalità sopra descritte;
2) Negligenza omissiva nel non controllare, monitorare e nutrire il paziente per tutto il periodo di ricovero.
3) Sulla cartella clinica di ricovero non si fa alcun cenno della contenzione fisica messa in atto. (pagg. 41-42)”.

dottori Adamo Maiese e Giuseppe Ortano
(medici, consulenti del tribunale)


Gli esami ematochimici del 3.8.2009 mostrano dati assolutamente allarmanti per quanto attiene lo screening enzimatico che appare con valori tutti elevati decisamente indicativi delle alterazioni delle cellule muscolari striate e probativi di un infarto del miocardico anche se possono essere alterati per una embolia polmonare”.
“...l'evento morte del Mastrogiovanni è stato causato da una assoluta carente assistenza fornita da tutto il personale del servizio di psichiatria personale sanitario medico ed infermieristico che si è alternato nell'assistenza (si fa per dire) dei quattro giorni di degenza presso il servizio Spdc del San Luca”.

professor Luigi Palmieri
(ordinario di medicina legale della II Università di Napoli consulente Asl Salerno)


È doveroso, poi, rimarcare come dal dibattimento sia emersa l'assoluta impreparazione degli infermieri rispetto alla contenzione. Impreparazione intesa in senso scientifico, con riferimento cioè alla possibilità che gli stessi si fossero dovuti aggiornare su come espletare al meglio le loro mansioni in casi simili”.

– “Il terzo comma dell'art. 51, infatti esclude la responsabilità dell'esecutore di un ordine criminoso quando, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo”.

– “Ciò che più allarma, però, in punto di sussistenza del dolo, è l'assoluta inconsistenza delle spiegazioni che i medici hanno provato ad offrire proprio in relazione alla scelta di contenere. Gli imputati, infatti, hanno insistito sui pericoli corsi dal paziente (in particolare il pericolo di caduta), ovvero sul loro stato di agitazione. Ebbene, di tutto ciò non vi è alcuna traccia nel video, dove pare, al contrario, che fosse proprio la contenzione a determinare l'atteggiamento di disperazione del Mastrogiovanni”.

– “In altre parole, l'ordine di contenere i pazienti, di per sé non illegittimo astrattamente (e dunque non manifestamente criminoso), lo era in concreto, poiché difettavano i requisiti minimi per disporre il presidio in questione. Ma ciò fu celato agli infermieri operanti, che invece agirono nel convincimento della sussistenza delle condizioni di necessità che potevano legittimare il ricorso alla contenzione. È convincimento del giudice che nel caso di specie sussistano plurimi indicatori dell'erronea valutazione in fatto compiuta dagli infermieri”.

dottoressa Elisabetta Garzo
(giudice monocratico, Tribunale di Vallo della Lucania)