rivista anarchica
anno 43 n. 383
ottobre 2013



Il nome sbagliato

di Paolo Pasi


Il primo campanello d'allarme suonò alla fine di una telefonata con la sua ex: “Mi ha fatto piacere sentirti” gli aveva detto lei. “Ci vediamo presto. Ciao Luca.”
Dieci minuti di conversazione solo per arrivare a un congedo sbagliato, perché lui si chiamava Giovanni.
Tre giorni dopo ci fu una seconda telefonata, e l'allarme divampò. Un suo caro amico che non vedeva da tempo lo aveva salutato con trasporto e partecipazione: “Grazie di avermi chiamato. È stato un piacere, dobbiamo assolutamente vederci. A presto Roberto!”
Due nomi sbagliati da persone che aveva creduto intime, ma che non avevano retto alla prova del tempo. Seguirono altri equivoci ed errori con amiche, conoscenti, familiari, il che portò presto a far convergere le sue ansie su una domanda: era così sicuro che fossero loro a sbagliarsi?
Chi poteva assicurare che lui fosse davvero Giovanni? Un nome altero, evangelico, comune ma ambizioso. Per anni lo avevano chiamato così, e sui documenti era tutto certificato. Giovanni Benincasa, professione fotografo. Ma nulla era per sempre. In pochi giorni, la sua identità era diventata un lapsus. Quegli errori marchiani sul nome lo avevano spinto a dubitare di se stesso, ponendo altri, più pesanti interrogativi.
Che cos'era diventata la sua esistenza per non lasciare più traccia nella memoria degli altri? Probabilmente una vita scialba, uguale a quella di milioni di persone. Anonima, appunto.
Ecco che a forza di compiacere le aspettative degli altri, ho perso di vista le mie pensò.
Per anni aveva delegato al prossimo il potere di giudicare, di scegliere ruoli e limiti, di assicurare l'ordine affinché ciascuno rispettasse la propria parte. Era stato sottomesso in cambio di precise generalità. Giovanni Benincasa, professione fotografo. Scatti di vita quotidiana e operose pacche sulle spalle di colleghi interessati, pronti a dimenticarti al primo accenno di difficoltà professionale.
Era accaduto. Consegnandosi a una vita omologata, aveva semplicemente smarrito il copione, trascinando il suo nome nel gorgo dell'indifferenza. Era nudo. Un apolide senza nome. Non era più nessuno per gli altri, e poco per se stesso. Avrebbe lavorato su quel residuo di energia. Sarebbe scomparso per rinascere.
Fu così che si concesse una lunga aspettativa, si ritirò in una stanza segreta e si scelse uno pseudonimo, Notor, che non voleva dire assolutamente nulla. Poi si gettò con impeto nichilistico nella rete. Social network, blog, hackeraggio...
Notor.
Un nome su cui spirava l'alito del mistero, che metteva soggezione, e che in breve tempo si conquistò rispetto e autorevolezza. Notor divenne il più influente blogger della rete, un opinion maker che dilagava nei messaggi, un obbligo morale per i possessori di tablet. Un neologismo. Notor come sinonimo di potere virtuale.
Ebbe un programma radiofonico tutto per sé. Lo conduceva nella sua stanza segreta da mezzanotte alle sei del mattino. Provocò un boom di insonnia. Il pubblico lo adorava. Notor era tutto ciò che loro non avevano il coraggio di essere. Era un fuoco nel buio, una voce senza i fardelli del corpo.
Allora Notor capì. Non poteva limitarsi a essere una voce, ripiegare sull'ennesimo ruolo, seppure di successo, scelto da altri. Aveva bisogno del suo corpo, per quanto indolenzito dagli anni. La chiave stava proprio nello pseudonimo, nient'altro che l'anagramma di “torno”. Doveva tornare. Fu così che una notte, nel pieno dell'ascolto, decise di rivelare il mistero: “Tutti mi conoscono come Notor” disse al microfono con voce profonda “ma io mi chiamo Giovanni Benincasa”.
Si scatenò l'inferno. Arrivarono centinaia di mail, e in una di queste riconobbe nel mittente il nome del suo migliore amico, da tempo in esilio volontario su un'isola del Tirreno.
Ecco i vecchi amici che si rifanno sotto pensò compiaciuto e sorridente. Dopo di che aprì il messaggio e lo lesse: “Perdio, Giorgio, sei proprio tu. Chi lo avrebbe mai detto?”

Paolo Pasi