rivista anarchica
anno 44 n. 386
febbraio 2014



Su la testa


Mi diano pure del reazionario, ma comincio a detestare tutta questa faccenda degli smartphone. Ci leggo dietro la più subdola e strisciante manovra del potere per tenere la popolazione perennemente sotto controllo. Cominciamo dalla postura. L'utilizzatore dello smartphone si distingue per il passo irregolare, a scatti, e lo sguardo sempre rivolto all'ingiù. È uno svirgolatore d'aria professionista, padrone di un unico movimento, quello delle dita che sfiorando il visore fanno scorrere i numeri di telefono o i messaggi. Non c'è dubbio. Siamo avviati verso generazioni dal pollice ipertrofico. Una popolazione abituata ormai a guardare in basso e a cogliere i colori del cielo solo dalle fotografie di qualche amico che le ha postate su Facebook.
Ecco, anche questa storia del gergo. Postare, taggare, poke, app, cliccare, mi piace, non mi piace... Ma che cazzo significa? Mi sento tagliato fuori.
Mia moglie, per esempio. Fino a qualche settimana fa era la donna più dolce e avvolgente. Sapeva ricambiare il mio sguardo con un sorriso carico di promesse. Poi si è imbattuta nel dannato aggeggio, uno smartphone vinto con i punti del supermercato. Adesso, quando le parlo, mi rivolge un'attenzione distratta, infastidita, con gli occhi sempre bassi e il pollice in azione per consultare chissà quali aggiornamenti. Ogni tanto mi ricambia con blande rassicurazioni.
“Si, uhm... sì... uhm... no... aspetta aspetta, che devo finire di leggere la mail”.
Ho pensato di risolvere la crisi di coppia mettendo un'inserzione su un periodico specializzato.
Cerco compagna disposta a parlare guardandomi negli occhi.
Si è presentata una ragazza carina, lentigginosa, sui 25 anni, ma quando mi ha detto che aveva scaricato l'inserzione dal telefonino le ho raccontato che avevo fatto pace con mia moglie.
Ormai mi sento assediato, accerchiato da una massa di disattenti che si illudono che basti camminare a testa bassa per ritrovare il filo. E invece il filo si ingarbuglia sempre più, soprattutto quando costoro si imbattono in zone prive di copertura della rete. Strano. Ciò che potrebbe rivelare loro le falle del sistema, diventa invece un'esperienza traumatica da rimuovere il prima possibile, magari abbonandosi a un nuovo gestore.
Mi sembra che basti e avanzi per respingere l'etichetta di reazionario. Al contrario, mi sento un tipo che guarda avanti. Così ho pensato alle contromosse. Da stamattina giro con un tablet appiccicato alla faccia. Due fessure mi permettono di vedere la strada e i volti di chi mi incrocia. Mi sento decisamente osservato, finalmente al centro dell'attenzione. Pronto a calare la maschera e a dire la mia.
Su la testa, gente.

Paolo Pasi