rivista anarchica
anno 44 n. 390
giugno 2014




Nuove prospettive
per l'organizzazione della società

intervista a Emanuele Amodio


Ecco la seconda e ultima parte dell'intervista con l'antropologo Emanuele Amodio, da decenni residente in Venezuela, iniziata sullo scorso numero. Buona lettura e, come sempre, se rimangono dubbi o volete dare il vostro contributo scrivetemi alla mail andreastaid@gmail.com.

A.S.

Partendo dalla tua risposta... Giusta osservazione quella sul matrimonio che troppo spesso viene considerato come qualcosa di innato, naturale nella nostra cultura. L'antropologia attraverso le sue ricerche sul campo ha dimostrato che il matrimonio occidentale è solo una possibilità tra le tante. Legato a questa tua osservazione non posso non pensare, per esempio, al lavoro di Sahlins sull'economia della società della pietra dove grazie alle sue ricerche e quelle di altri antropologi documenta il lavoro e l'economia nelle società altre e dimostra come sia falsa la tipica affermazione ancora oggi in voga del selvaggio povero e affamato. Poi seguendo questa linea di riflessione arriviamo dritti all'opera di Pierre Clastres al suo monumentale La società contro lo Stato, Archeologia della violenza... le connessioni tra pensiero libertario e antropologia possono essere molte. Nel tuo lavoro di ricerca ormai decennale quali sono le connessioni più forti che hai riscontrato?
Come ho accennato prima, sono convinto dell'esistenza di una relazione iniziale fra il campo libertario del secolo XIX e la nascita dell'antropologia come scienza sociale. Questo vuol dire che nel corso della sua storia l'antropologia, proprio per il suo relativizzare l'Occidente, ha attratto giovani insofferenti, adolescenti in crisi di crescita e perfino teorici politici in cerca di giustificazioni alla loro ideologia. Detto questo, e al di là dei vasi comunicanti che storicamente possiamo identificare, occorre tener chiaro che, nel caso dell'anarchismo, si tratta di una ideologia, con la sua visione del mondo e naturalmente con le sue strategie per realizzare la sua utopia. Al contrario, nel caso dell'antropologia, ci troviamo di fronte a una scienza sociale che l'Occidente usa per costruire la propria identità (gli altri sono selvaggi o primitivi) e spesso a fini di dominazione, anche se, allo stesso tempo, questa finisce per essere critica, almeno nelle sue frange più coscienti, dell'uso che si fa dei suoi prodotti. Precisamente questa frangia critica è quella che denuncia l'imperialismo e perfino mette in dubbio, grazie alla sua auto-riflessività, il valore stesso della descrizione etnografica, della sua “densità” interpretativa, etc.
Nel mio caso specifico, ho molto chiaro che la mia sensibilità verso i problemi del potere e del controllo sociale, così come dei cambi culturali imposti da fuori ai popoli indigeni dell'America latina, derivano dalla mia militanza previa al lavoro di campo tanto nella selva amazzonica come nelle Ande. Ancor di più, è precisamente per motivi ideologici che, mentre per un lato non posso non rispettare la differenza culturale, dall'altro non posso rimanere impassibile di fronte all'oppressione che, occorre non dimenticarlo, non è solo genericamente culturale, ma soprattutto sociale ed economica e arriva al genocidio senza tanti preamboli. Militanza libertaria qui vuol dire rispettare l'altro, anche nelle sue decisioni che uno non condivide, senza però esimersi dal proporre letture critiche dei processi che si danno nel contatto continuato con il mondo occidentale. Anche se può sembrare romantico, credo che la difesa della differenza culturale sia necessaria non solo a loro ma anche a noi che stiamo diventando così poco differenti. Come non ricordare Ernesto Di Martino, quando scriveva che entrava nelle case dei contadini salentini “come compagno, come un cercatore di uomini e di storie umane dimenticate, che al tempo stesso spia e controlla la sua propria umanità, e che vuol rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati, della fondazione di un mondo migliore, in cui migliori saremmo diventati tutti, io che cercavo e loro che ritrovavo”.

Le società, da orizzontali a stratificate

Ora vorrei soffermarmi sui tuoi studi, per esempio sull'identità etnica e le sue trasformazioni nei popoli indigeni dell'America Latina ma non solo... prima parlavi della parentela come rete di accesso al potere? Puoi spiegarci meglio? Anche il discorso di come questo possa influire sulle società orizzontali che poi diventano piramidali.
Le società indigene, soprattutto quelle che in America Latina chiamiamo di “terre basse”, come le amazzoniche, son definite “segmentarie” perché organizzate in “segmenti” orizzontali, in opposizione a quelle “stratificate”, nelle loro differenti forme. Questi segmenti possono essere di vario tipo, secondo il loro referente mitico o la loro organizzazione, come le fratrie o i clan, al cui interno le relazioni si danno fra le famiglie. In altri casi, come fra i popoli caribi, la struttura sociale è più diffusa coincidendo con le reti ampliate di parentela e forti legami di reciprocità. In questo contesto, se utilizziamo la definizione weberiana di potere (la possibilità che qualcuno imponga la sua volontà su un altro), le società indigene hanno prodotto meccanismi affinché questa situazione non si dia, salvo forse in periodi di guerra quando, come nel caso del caribi nella loro lotta contro gli spagnoli, si confederavano e nominavano un “capo di guerra” unico. Se invece consideriamo il potere anche come effetto di relazioni quotidiane, flussi d'influenze e reti di solidarietà differenziate, evidentemente anche in queste società è possibile identificare la trama del controllo sociale informale e, soprattutto, i centri di decisioni nelle reti diffuse, per lo meno nell'ambito delle comunità locali, giacché in termini generali non esiste assolutamente un sistema di potere e controllo di tutta la società. In questo senso, ogni famiglia può negarsi di accettare le decisioni comunitarie prodotte coralmente e trasferirsi altrove, però anche correndo il rischio, alla larga, di restare isolate dal resto del suo gruppo di ascrizione.
D'altro canto, anche se è vero che il luogo del potere individuale è “vuoto”, come direbbe Clastres, nel senso che non ti permette di accumulare molti più beni degli altri, che potrebbero servire da referente per l'azione dominatrice, esso è anche il “luogo della parola” mediatrice che evidentemente produce effetti di potere, allo stesso modo che nel caso dell'influenza che gli sciamani o le sciamane hanno sul territorio di cui si occupano. E risulta molto suggerente che in molti casi amazzonici, esistono famiglie che hanno prodotto storicamente capi villaggio e sciamani, naturalmente appoggiati dalle proprie reti di parentela. In ogni caso, esistono sistemi di controllo contro l'accumulazione della “capacità di influire”, spesso di tipo rituale (spiriti vendicatori, per esempio) o, nel caso degli sciamani, l'accusa di stregoneria può avere risultati devastanti. Infine, occorre ricordare che nella maggioranza di queste società in contatto permanente con l'Occidente, i sistemi tradizionali di controllo del potere son entrati in crisi e spesso sono sostituiti in parte da caratteristiche occidentali (accumulazione di beni, mediazione con i poteri statali, ecc.).
Per rispondere alla domanda sulla trasformazione delle società orizzontali in stratificate, a parte quando questo si produce per influenza delle società locali di origine occidentali (missionari, funzionari, mercanti...), occorre avere chiaro che queste società sono storiche, nel senso che vivono il cambio come tutte le altre: cioè cercando di frenarlo in epoca di abbondanza e tranquillità sociale e di accelerarlo in epoca di crisi. In questo senso la famosa catalogazione di Levi-Strauss di società “fredde” e “società calde”, riguardo a come si comportano di fronte alla storia, vale non solo per differenziare sincronicamente tipi di società, ma anche per differenziare epoche differenti di una stessa società.
Partendo da questa premessa, tanto la ricerca archeologica come la storica hanno dimostrato l'esistenza di società indigene che da segmentarie si sono trasformate in stratificate di tipo cacicale, cioè, con una concentrazione di potere su un unico individuo o famiglia e con una economia di maggiore accumulazione di beni. Sembra evidente che è da questo tipo di società che sono sorte le società incaiche e azteche, fortemente stratificate e piramidali.
I motivi di queste trasformazioni possono essere vari, probabilmente crisi di qualche tipo, sociale o ambientale, o semplicemente un aumento della popolazione che ha obbligato cambi strutturali nella produzione. Però, quello che più importa, è che questi cambi strutturali non sono obbligati, come vorrebbero i teorici dell'evoluzionismo sociale, marxisti classici inclusi, ma storicamente contingenti, tanto che possiamo citare vari casi di ritorno al sistema segmentario, come per esempio i maya centramericani o, in certo modo, i quechua andini.

Un nostro adesivo pubblicitario degli anni '70,
realizzato da Fabio Santin e Marina Padovese

Le nuove organizzazioni indigene

Altra cosa alla quale sono molto interessato sono i tuoi tre anni passati nelle comunità indigene del Brasile e Perù puoi dirci qualcosa di più? È da li che nascono le tue riflessioni sull'identità e le trasformazioni delle popolazioni indigene dell'America latina?
In effetti, le mie riflessioni o conclusioni sull'identità e le sue trasformazioni fra i popoli indigeni dell'America latina, nascono da lunghi anni di ricerche e convivenza con vari gruppi etnici, soprattutto di cultura e lingua caribe del nord del Sudamerica e con i quechua e aymarà del mondo andino. Inoltre, occorre chiarire che, a differenza delle definizioni essenzialistiche, per me l'identità, nelle sue varie accezioni sociale, etnica o nazionale, è una costruzione dinamica e posizionale di fronte agli altri.
Questo vuol dire che si tratta di un processo dinamico, costruito storicamente però usato ideologicamente, in un senso amplio. Fa parte delle strategie di costruzione di se e di gruppo, di fronte agli altri e agli eventi contingenti, servendo di riferimento costante anche per le organizzazioni etniche di difesa territoriale o culturale. In conformità a queste premesse, ho studiato sia i processi di conquista culturale, attraverso differenti agenzie occidentali, come i missionari delle varie chiese o i funzionari dello stato, sia le reazioni difensive da parte dei popoli indigeni. Così mi sono interessato della storia della resistenza indigena durante l'epoca coloniale, risalendo fino all'attualità, con casi che vanno dalla resistenza armata fino a quella culturale, includendo fenomeni di millenarismo. In questo contesto, risulta importante riaffermare che le culture non sono statiche e che si trasformano, anche assumendo elementi culturali dagli altri gruppi etnici e persino dello stesso occidente. Molti antropologi pensano che in questo modo le culture indigene perderebbero la loro “essenza”, dimenticando che non esistono culture pure e che tutte e sempre sono il risultato di processi sociali dinamici.
Il problema infatti non è la mescolanza di elementi culturali, più o meno rese omogenee dallo sforzo intellettuale di questi popoli, ma il controllo che possono avere sulla loro riproduzione. Per esempio, per venire a tempi attuali, mentre il dominio sulla costruzione del relato storico, che assume le forme mitiche, includendo spesso elementi e personaggi cristiani, si mantiene nelle mani indigene, non è cosi per la assunzione di tecniche occidentali di coltivazione o di caccia, creandosi così la dipendenza dal mercato occidentale. Lo stesso vale per le diete indigene attuali, quando includono alimenti non appartenenti alla cultura alimentare locale, come per esempio la pasta, generalmente di scarso valore nutrizionale, o l'olio per friggere.
Di questi processi le nuove organizzazioni indigene, nate durante la seconda metà del secolo XX con piattaforme esplicitamente indigeniste, sembrano ben coscienti, tanto che la difesa della cultura “tradizionale” e della lingua occupa un posto predominante insieme alla difesa delle terre. Naturalmente, l'uso qui del termine identità come bandiera di lotta diventa importante, anche se l'autodefinizione non coincide completamente con quella antropologica, giacché ha bisogno de “solidificarsi” (vedi l'uso politico dell'aggettivo “ancestrale”) per servire da referente alle lotte politiche.

Andrea Staid

(2. - fine)