rivista anarchica
anno 44 n. 394
dicembre 2014 - gennaio 2015


Premio Tenco

Resistenze e canzone d'autore

di Steven Forti / foto di Roberto Molteni e Fabrizio Fenucci


Dal 2 al 4 ottobre si è tenuta a Sanremo la 38esima edizione del Premio Tenco, dedicata alle Resistenze e con invitati d'eccezione. Come i premiati: Gianni Minà, Maria Farantouri, Plastic People of the Universe, José Mário Branco e John Trudell. Ma sono molte le cose stimolanti che si sono potute vedere e ascoltare in quei giorni sulla riviera ligure...


Quella di quest'anno non è stata un'edizione come le altre del Premio Tenco. Per varie ragioni. Innanzitutto perché si festeggiavano i quarant'anni dalla prima rassegna della canzone d'autore, tenutasi nell'ormai lontano 1974. Il Club Tenco era nato sì nel 1972 grazie al coraggio e al genio di Amilcare Rambaldi, ma solo due anni dopo sono iniziate le rassegne. E si cominciò subito forte. Nelle prime due edizioni i premiati furono quelli che potremmo definire i simboli di un'epoca: Leo Ferré, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, Domenico Modugno e Gino Paoli (per il 1974), Vinicius de Moraes, Fausto Amodei, Umberto Bindi, Fabrizio De André, Francesco Guccini e Enzo Jannacci (per il 1975). Nei 38 anni successivi sarebbero arrivati poco a poco i premi, e nella maggior parte dei casi la partecipazione, di altri numi tutelari della poesia che si fa canzone: Atahualpa Yupanqui, Chico Buarque de Hollanda, Paolo Conte, Silvio Rodríguez, Tom Waits, Caetano Veloso, Pablo Milanés, Elvis Costello, Nick Cave e tanti, tanti altri. Questa sarebbe dunque dovuta essere la 40esima edizione, ma in due occasioni e per ragioni diverse, la rassegna o non si è celebrata (1987) o non è stata propriamente una rassegna, ma solo una manifestazione (2012). E dunque, bisognerà attendere il 2016 per festeggiare le nozze di Smeraldo del Premio Tenco.

Paola Turci
Resistenza, Resistenze

Non è stata questa però l'unica ragione dell'eccezionalità della 38esima edizione da poco conclusa. Si è tornati anche – e questa è forse la grande novità, una di quelle novità che lascia il segno – a una rassegna a tema. E il tema non è cosa di poco conto, come si suol dire. Un tema dalle molte sfaccettature e dalle molte letture: le Resistenze. Non al singolare, ma al plurale. Resistenze politiche, certamente, ma anche sociali, culturali, linguistiche, umane. “Sanremo diventa capitale della musica grazie alla Resistenza” ricorda Sergio Secondiano Sacchi in apertura al numero speciale de Il Cantautore, la rivista-libro che esce in occasione della rassegna, quest'anno in un'edizione di 44 pagine in formato vinile curata graficamente da Stefania Minozzi e Fabio Santin di ApARTe. Sanremo diventa difatti capitale della musica grazie a Amilcare Rambaldi, che fu partigiano rappresentante del Partito Socialista nel CNL locale e relatore della sottocommissione artistica con il compito di trovare iniziative per il rilancio economico della città. Ed è ancora lo stesso Sacchi a mettere in evidenza il trait d'union della rassegna di quest'anno con il suo fondatore e con lo spirito stesso del Tenco: “al Tenco siamo tornati a essere, un poco, resistenza anche noi. Con una rassegna che non è affatto la manifestazione di un'improponibile nostalgia, ma della Memoria. Quindi, del Presente.”

Eugenio Finardi
Dall'Europa dell'Est all'Italia

”Le Resistenze sono tante, milioni di milioni...”. Mi si permetta citare un famoso slogan pubblicitario coniato dal compositore Pier Emilio Bassi non per togliere importanza e singolarità all'esperienza della guerra partigiana italiana, ma per sottolineare come i fenomeni di resistenza, con le loro diversità e le loro sfaccettature, siano una costante del passato e del presente, tanto italiano quanto internazionale. Questa rassegna ce ne ha dato un'ulteriore prova.
Presentata, come tradizione vuole, da un sempre energico e ironico Antonio Silva, la rassegna è iniziata non come di consueto con Lontano Lontano, bensì con Le Deserteur di Boris Vian nella traduzione italiana di Luigi Tenco, interpretata da una carismatica Paola Turci. Si è passati poi ad un set composto da sei canzoni, tradotte in italiano da Alessio Lega e Sergio Secondiano Sacchi e arrangiate da Rocco Marchi, per mostrare la resistenza e il dissenso interni ai regimi del socialismo reale dell'Europa orientale. Dei video hanno introdotto le sei canzoni – interpretate da alcune delle voci più interessanti della musica italiana – dei russi Bulat Okudzava, Vladimir Vysotskij e Aleksandr Galic, del cecoslovacco Karel Kryl e del polacco Jacek Kaczmarski.

Simone Cristicchi

Le storie di questi poeti e cantautori si assomigliano nella loro diversità: esilio, arresti, proibizione di esibirsi, prigione, sofferenze. Kaczmarski, il più giovane di tutti, classe 1957, dopo aver appoggiato Solidarnosc, è costretto all'esilio ed è a questa esperienza che dedica La nostra classe, interpretata, sul palco del Teatro del Casinò di Sanremo, da un giovane italiano che vive all'estero, Olden. I tre “poeti-cantanti” russi rappresentano le tre diverse maniere di confrontarsi con la realtà: la tristezza, il dolore e la disposizione alla comprensione di Okudzava (Premio Tenco 1985), il grido disperato di Vysotskij (unico Premio Tenco assegnato alla memoria, nel 1993), l'ostinazione, la denuncia e lo scherno di Galc. E tre canzoni hanno rappresentato queste loro poetiche: Zitto e mosca (Piccolo valzer dei cercatori d'oro) di Galic cantata da Alessio Lega, Il bagno alla bianca di Vysotskij e A Volodja Vysotskij di Okudzava, entrambe interpretate da Eugenio Finardi, che, non a caso, nel 2008 aveva già cantato in italiano Vysotskij dedicandogli un intero disco, “Il cantante al microfono”, accompagnato dall'orchestra Sentieri Selvaggi. Anche Paola Turci ha dato voce al grande cantautore russo Okudzava, cantando la sua Canzone georgiana. Il cecoslovacco presente in questo set, Karel Kryl, e la sua bellissima Amore, è stato interpretato da Pierpaolo Capovilla, che, oltre al “lavoro di rock star” con il Teatro degli Orrori, recentemente ha anche portato in giro per l'Italia un reading tratto da La religione del mio tempo di Pasolini.

Vratislav Brabenec

Sul palco del teatro del Casinò di Sanremo sono saliti poi i cecoslovacchi Plastic People of the Universe, uno dei premi Tenco di questa 38esima edizione. Attivi da 46 anni, devono il loro nome a una canzone di Frank Zappa (Plastic People, contenuta nell'album “Absolutely Free” del 1967) e il loro stile a Captain Beefheart. Il quintetto ha vissuto numerosi cambi di formazione e attualmente degli “storici” rimane solo Vratislav Brabenec, sassofonista e clarinettista, nonché poeta. La loro storia è legata a doppio filo al dissenso nella Cecoslovacchia comunista. Nel 1976 vengono arrestati con l'accusa di “teppismo” per aver partecipato a un festival underground: Brabenec sconta otto mesi di carcere e il loro manager, il poeta, critico e storico dell'arte Ivan Jirous, ben diciotto. È proprio per reazione all'arresto del gruppo che Václav Havel e altri quattro intellettuali lanciano la Charta 77, il documento in difesa dei diritti umani e civili che porterà dodici anni dopo alla Rivoluzione di Velluto. Dei Plastic People of the Universe “storici”, come si è detto, rimane ora solo Brabenec, affiancato da altri cinque musicisti, tra cui la bassista e cantautrice Eva Turnova.
Ma non ci sono state solo le resistenze dell'Europa orientale nella prima serata del Premio Tenco. Simone Cristicchi ha offerto una visione personale della resistenza, tra le mura degli ex-manicomi (Ti regalerò una rosa), il ricordo degli anziani reduci di guerra della ritirata di Russia del '43 (L'ultima notte degli alpini, canto corale di Bepi De Marzi) e i magazzini in cui sono affastellate e dimenticate le masserizie di chi è dovuto fuggire dalla propria terra, come gli esuli istriani alla fine della Seconda Guerra Mondiale (Magazzino18). Matti, esuli e soldati. E di soldati, e non solo di soldati, hanno cantato anche i Modena City Ramblers (MCR), per l'occasione insieme a Stefano “Cisco” Belotti, storico leader della band che dal 2005 ha intrapreso la carriera solista. Di quei soldati che nell'autunno del 1943 hanno scelto la via delle montagne nel centro e nel nord Italia per combattere il nazi-fascismo. Ma non solo di soldati, appunto, hanno cantato i Modena City Ramblers. Con loro sul palco è stato il momento della Resistenza, con le canzoni che la band emiliana ha portato in lungo e in largo per oltre vent'anni e con gli omaggi ai canti che hanno trasformato quell'epoca in un'epopea, a volte rischiando di limitarla a un recinto troppo ristretto. Una su tutte: Bella Ciao. Ma prima i MCR hanno omaggiato Fausto Amodei con Per i morti di Reggio Emilia e tra i brani che hanno proposto del loro repertorio non poteva mancare I cento passi, dedicata a Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Prima della loro esibizione, i Modena City Ramblers hanno consegnato il premio Tenco all'Operatore Culturale di questa edizione a Gianni Minà. Un altro resistente in tutto e per tutto, dalle sue trasmissioni televisive degli anni Ottanta e Novanta fino ai più recenti progetti, come la rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo. L'America Latina, uno degli amori di Minà, e terra di resistenze in un continente trasformato come non mai dall'imperialismo statunitense negli anni della Guerra Fredda e dal neoliberismo globalizzante nell'ultimo ventennio. E uno dei punti di contatto con il Tenco, a cui Minà è legato da un forte vincolo di amicizia fin dai primi anni della rassegna sanremasca.

Eugenio Finardi
Dal Portogallo della Rivoluzione a Léo Ferré

In questo premio Tenco le Resistenze non sono mai state proposte come scatole chiuse, ma si sono incrociate e incontrate più volte, a dimostrazione di come la memoria sia un lavoro di continuo scavo nel passato. Così, nella seconda e nella terza serata, quelle del 3 e del 4 ottobre, molte Resistenze si sono incontrate più d'una volta, offrendoci una panoramica su diverse storie, diversi passati e diverse aree geografiche. Un altro set, questa volta dedicato al Portogallo, ha voluto ricordare, nel suo quarantesimo anniversario, la Rivoluzione dei Garofani che il 25 aprile del 1974 ha posto fine ad una dittatura durata 48 anni. Una rivoluzione pacifica, è bene ricordarlo, il cui segnale d'inizio – non è un caso – è stata la messa in onda della canzone Grândola Vila Morena di José Afonso.

Alessio Lega & José Mário Branco

I grandi poeti-cantautori portoghesi di quell'epoca sono tutti legati direttamente alla resistenza alla dittatura di Salazar e Marcelo Caetano e al processo rivoluzionario che ha inizio dopo il 25 aprile. È stata l'algherese Claudia Crabuzza a cantare Zeca Afonso, poeta impegnato e coltissimo, il vero e proprio traghettatore dal Fado ai nuovi ritmi nel Portogallo dei primi anni Sessanta. Sérgio Godinho, altro cantautore omaggiato, come vedremo tra poco, ricorda come Os Vampiros, la canzone di Zeca Afonso pubblicata nel 1963, fu “un meteorite caduto con un boato in acque paludose. [...] In una casa dove non c'erano pareti, Zeca aveva aperto una finestra. Ancora con le sbarre, ma pur sempre una finestra.” È lì che inizia la rivoluzione della canzone portoghese che porterà a dischi che segneranno un'epoca, come Os Sobrevivientes (1971) e À queima-roupa (1974) dello stesso Godinho, Margem de Certa Maneira (1972) e FMI (1982) di José Mário Branco, P'ró Que Der e Vier (1974) e Por Este Rio Acima (1982) di Fausto, O Canto e as Armas (1970) e Que nunca mais (1975) di Adriano o Cantigas do Maio (1971) e Venham mais cinco (1973) di Zeca Afonso. “Portane cinque”, la canzone che ha interpretato Claudia Crabuzza, è quella che dà proprio il titolo a quest'ultimo album, che può essere considerato l'anticipazione della Rivoluzione dell'anno successivo. Diodato ha poi cantato Le foto dal fuoco di Godinho, mentre Chiara Civello la meravigliosa Fa che ricordi il sogno di Fausto. Alessio Lega, che, anche in questo caso con Sergio Secondiano Sacchi, ha tradotto in italiano i brani e che non poteva mancare in una rassegna dedicata alle Resistenze, è salito sul palco per offrire al pubblico Preghiera delle anime incensurate e Ciò di cui l'uomo è capace di José Mário Branco, che ha duettato con il cantautore leccese.

Andrea Satta, cantante dei  Têtes de Bois

Anche lui premio Tenco di questa edizione, Branco è stato la figura centrale di quella generazione irripetibile, sia come arrangiatore sia come produttore, nonché come grande innovatore della musica portoghese. Esiliatosi a Parigi nel 1963, quando era ricercato dalla PIDE, Branco è stato difatti, tra le tante cose, l'arrangiatore di Grândola Vila Morena e uno dei principali animatori del collettivo del Gruppo di Azione Culturale (GAC), una delle molte esperienze che hanno lasciato il segno durante e dopo la Rivoluzione. Persona di grande coerenza e integrità, qualche anno fa, dopo aver pubblicato il suo ultimo disco – dal titolo sintomatico: Resistir é Vencer – Branco ha deciso di smettere di esibirsi, facendo un'eccezione per il Premio Tenco. Ad accompagnare Branco e gli altri interpreti, come anche nelle altre serate della rassegna, una resident band formata da Rocco Marchi – che è stato anche in questo caso l'arrangiatore dei brani – al pianoforte e chitarra, Francesca Baccolini al contrabbasso, Guido Baldoni alla fisarmonica, Marco Santoro al fagotto e Valeria Sturba al violino e al theremin.
L'omaggio al Portogallo rivoluzionario non si è però concluso con questo affascinante set. I Têtes de Bois, una delle realtà più interessanti della canzone d'autore nostrana, hanno interpretato in italiano Lisbona quando albeggia, indimenticabile canzone di Sérgio Godinho che i Têtes de Bois avevano già inciso nel 2008, duettando con il cantautore di Porto per l'album “Quelle piccole cose”. La band romana guidata da Andrea Satta ha omaggiato un altro resistente a tutto e a tutti: Léo Ferré. Con il poeta e cantautore libertario, i Têtes de Bois hanno instaurato ormai uno stretto legame. Sia per due dischi, Léo Ferré, l'amore e la rivolta (2002) e il recentissimo Extra (2014), che contiene anche un pezzo inedito di Ferré, L'eautontimorumenos, e un brano, Il tuo stile, dove la voce è quella del compianto Francesco Di Giacomo. Ma anche per ragioni personali e familiari: Luca De Carlo, trombettista della band, è infatti il compagno di Marie Cécile, la figlia che Ferré ha avuto dalla moglie Marie.

Esther Béjarano
Esther Béjarano, novant'anni di resistenza

Uno dei momenti più emozionanti di tutta la rassegna è stata l'esibizione di Esther Béjarano, la “ragazza con la fisarmonica”. Nata nel 1924 in Saarland da una famiglia ebrea askenazita perfettamente integrata nella comunità tedesca, Esther Loewy, divenuta in età adulta Béjarano dal cognonome del marito, viene mandata in un campo di lavoro vicino Berlino nel 1941, mentre i genitori vengono fucilati in un bosco insieme ad altri 30 mila ebrei. Nell'aprile del 1943 è trasferita ad Auschwitz, dove riesce a salvarsi suonando la fisarmonica nell'orchestra femminile del lager. Esther la fisarmonica non l'aveva mai suonata, mentre sì aveva ricevuto lezioni di pianoforte fin da bambina: il padre ne era insegnante, oltre che essere cantore capo di una comunità ebraica. La sua storia è raccontata nel bel libro La ragazza con la fisarmonica. Dall'orchestra di Auschwitz alla musica rap, curato da Antonella Romeo, editrice, traduttrice e biografa italiana di Esther. Grazie alla sua fisarmonica, Esther riesce a salvarsi: nel novembre del 1943 viene trasferita a Ravensbrück e all'inizio del 1945 viene liberata da russi e americani. Ma la resistenza di Esther non si conclude qui, tutt'altro. Come precisa Bruno Maida nella prefazione al libro sopra citato, la sua è “la scelta di praticare ogni giorno una resistenza civile”. E così è stato lungo tutti i suoi 90 anni, che Esther porta con un'energia, uno spirito e un ottimismo che pochissimi possono solo immaginare. Dopo la guerra, va in Palestina e entra nel coro operaio Ron, col quale tiene concerti in mezza Europa, con canti antifascisti in yiddish, russo ed ebraico. Ma la discrimazione per i palestinesi porteranno lei e il marito, Nissim Béjarano, ad andarsene da Israele nel 1960 e a fare ritorno in Germania. Accompagnata dalla sua centenaria fisarmonica Hohner, non ha mai smesso di cantare e di suonare, contro tutte le discriminazioni, contro il razzismo e la xenofobia, i rigurgiti neo-nazisti e le ingiustizie, arrivando a collaborare cinque anni fa con un duo rap italo-turco di Colonia. Nel repertorio che porta in giro e che ha proposto anche a Sanremo, accompagnata in quest'occasione dal figlio Joram, musicista anche lui, e da un fisarmonicista d'eccezione, Gianni Coscia, ci sono Brecht, Theodorakis, Boris Vian, Bella Ciao... Non aveva mai cantato, invece, una canzonetta alla moda nella Germania degli anni Trenta contenuta nel film Bel Ami che era obbligata a cantare ad Auschwitz. L'ha fatto per la prima volta al Premio Tenco.

Vinicio Capossela con il suo baglamas

Tra rebetiko e canzone d'autore: la Grecia che resiste

Ancora connessioni e interconnessioni in questo Premio Tenco. La Grecia è stata un altro trait d'union tra una serata e l'altra. Venerdì infatti Vinicio Capossela, che ormai possiamo considerare l'ambasciatore della Grecia della crisi in Italia, ha riconfermato l'attualità e il valore della musica rebetika, a cui ha dedicato i suoi ultimi lavori: il disco “Rebetika Gymnastas”, Tefteri. Il libro dei conti in sospeso e il film Indebito, a cui ha lavorato insieme al regista Andrea Segre. Accompagnato da Manolis Pappos al bouzouki e da Vasilis Massalas alla chitarra, Capossela, con il suo baglamas e una sola manica della giacca infilata – come i mangas che suonavano il rebetiko nelle taverne del Pireo negli anni Venti e Trenta – ha riproposto solo una canzone del suo repertorio, Scivola, vai via, offrendo poi un triplo omaggio: a Fabrizio De André con Quello che non ho, a Vladimir Vysotskij con Gimnastika e alle vittime dei lager con Suona Rosamunda. Tutto riarrangiato al ritmo dei 9/8 del rebetiko.

Maria Farantouri

Ma non c'è stata solo la resistenza del milione e duecentomila Greci che nel 1923, alla fine della guerra greco-turca, sono stati costretti ad abbandonare le loro città nella nuova Turchia di Kemal Atatürk e a tornare all'antica patria, che li accolse con diffidenza e ostilità, ma anche la resistenza vissuta durante la dittatura dei colonnelli tra 1967 e 1974. Un anno che ci riporta con la mente anche al Portogallo della Rivoluzione dei Garofani. Sabato sul palco è salita Maria Farantouri, insignita anche lei del premio Tenco 2014. Nata nel sobborgo ateniese di Nea Ionia, che negli anni Venti aveva ospitato molti dei rifugiati dall'Asia Minore, Farantouri è stata, fin dai primi anni Sessanta, giovanissima, una delle collaboratrici più strette di Mikis Theodorakis, insieme ad altri conosciuti interpreti (Grigoris Bithikotsis, Dora Yiannakopoulou e Soula Birbili). In quei sette terribili anni, dall'esilio parigino, Farantouri è stata l'ambasciatrice di un Theodorakis incarcercato e di una Grecia che resisteva, utilizzando le canzoni come strumento di denuncia contro il regime militare, esibendosi in decine e decine di concerti di solidarietà in tutto il mondo. Farantouri canta e incide testi di autori scomodi per il regime, come i poeti Seferis e Ritsos, e nuove versioni di opere precedenti di Theodorakis, come “Epitaphios” e “Epiphania”, alla base dell'entechno, la rivoluzione estetica della musica greca che ha saputo unire gli stili musicali popolari e la poesia, realizzata dal compositore che aveva già sofferto arresti e torture durante l'occupazione italiana e tedesca del paese ellenico e durante la Guerra Civile greca. Ma nell'esilio parigino Farantouri collabora anche con il compositore Manos Hadjidakis e, ancora con Theodorakis, che la raggiunge a Parigi una volta scarcerato, canta le Sette canzoni tratte dal Romancero gitano di Federico García Lorca e il Canto General di Pablo Neruda.
Ancora connessioni di resistenze: nel 1974 la Grecia che resiste canta la Spagna sotto il giogo franchista da quasi quarant'anni e il Cile trafitto al cuore l'anno precedente dal colpo di Stato di Pinochet, finanziato e appoggiato, come nel caso del colpo di Stato dei colonnelli greci dell'aprile del 1967, dagli USA.

Gianni Miną

Dalle Resistenze italiane agli Stati Uniti d'America

Oltre alla voce di Maria Farantouri – indimenticabile la sua interpretazione di Sto Perigiali –, la serata conclusiva della 38esima edizione del Premio Tenco ha visto la partecipazione anche di due esponenti delle resistenze italiane. Raffinatissima la proposta della Scraps Orchestra, gruppo mantovano guidato da Stefano Boccafoglia che era già stata al Tenco nel 2000. Formatasi all'inizio degli anni Novanta e con all'attivo dischi qualitativamente altissimi (”Organi in movimento”, “Il Diavolo di Mezzogiorno”, “Nero di Seppia”) la Scraps Orchestra ha lavorato in svariate occasioni sul passato italiano (dal delitto Matteotti – nella canzone On Matteotti, Socialista (Il Falco Alla Colomba) – alla guerra partigiana – con l'album “Resistenze”, uscito sotto il nome di JasBand – fino alla strage di Piazza Fontana e alla vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) e ha collaborato con progetti di resistenza nel territorio, come la costruzione e la gestione di una CasAlloggio per persone disabili senza famiglia o che attraversano situazioni di grave emergenza insieme alla “Coop. C.H.V.” di Suzzara. Sul palco del Teatro del Casinò di Sanremo hanno proposto tre loro brani – Quindicidiciotto, La staffetta e Ricette scadute – intervallati da accenni di Bella Ciao e di Fischia il vento, interpretati in una chiave ben distinta alla vulgata dei Modena City Ramblers, e una canzone inedita, preparata appositamente per il Premio Tenco: La verità, nient'altro che quella. Un testo di grande profondità e finezza che racconta, come recita il sottotitolo della canzone, La strana vita del compagno Nicola Bombacci. Bombacci fu segretario del PSI durante il biennio rosso e fondatore del Partito Comunista nel gennaio del 1921, ma dopo una singolare traiettoria e l'approdo al fascismo, venne fucilato dai partigiani sulle rive del lago di Como nell'aprile del 1945, prima di essere esposto alla pompa di benzina di Piazzale Loreto, a fianco dei cadaveri di Mussolini e della Petacci. Una vita e una storia scomoda, difficile da comprendere, di un politico che non fu mai un opportunista e, suo malgrado, è stato un fabbricatore di resistenze.

La Scraps Orchestra

L'altra resistenza italiana è stata quella di David Riondino, artista poliedrico e instancabile. Come cantautore ha inciso una decina di album, ha lavorato nel cinema sia nelle vesti di attore (in dodici film di registi come i fratelli Taviani, Marco Tullio Giordana, Gabriele Salvatores) che in quelle di regista (Cuba libre – Velocipedi ai tropici e Shakespeare in Havana) e di sceneggiatore (Troppo sole diretto da Giuseppe Bertolucci). In teatro ha recitato in una dozzina di lavori condividendo la scena, tra gli altri, con Paolo Rossi, Sabina Guzzanti (sua compagna di vita per diversi anni) e Dario Vergassola. È conduttore e autore radiofonico (Vasco de Gama con Dario Vergassola e, soprattutto, Il dottor Djembè, con Stefano Bollani) e protagonista televisivo (da Banane e Zanzibar RaiOt). Brillante autore di improvvisazioni poetiche, soprattutto in ottava rima, è stato la firma di punta di storiche riviste satiriche come Tango e Cuore e ha pubblicato sette libri. Diversi disegnatori famosi, come Milo Manara, Sergio Staino e Roberto Perini hanno illustrato sue canzoni e il suo mondo musicale. Nel 1994 ha vinto la targa Tenco per la migliore canzone con il brano La ballata del sì e del no.

David Riondino

Riondino ha fatto ridere, molto, ma soprattutto riflettere, con un brano come Riformate il diritto di famiglia, una ballata ispirata al Decameron di Boccaccio (Madonna Filippa), una poesia recitata dedicata all'attuale premier (L'acrostico Renzi) e due straordinari canti degli Alpini rimaneggiati in chiave satirica. Riondino ha riportato tutti all'attualità, a quel “resistere”, che al giorno d'oggi, in un mondo in cui siamo di nuovo in guerra, dovrebbe declinarsi anche e soprattutto come “esistere”, “nel senso più profondo, inevitabile, pieno”.
Enric Hernàez. Sullo sfondo
un'immagine di Joe Hill

E dall'Italia l'ultimo volo del Tenco 2014 è stato verso gli Stati Uniti con due storie e due protagonisti di epoche diverse e lontane. Un set ha ricordato Joe Hill, immigrato svedese diventato uno dei simboli del sindacalismo americano di inizio dello scorso secolo dell'Industrial Workers of the World (IWW). Hill fu anche uno dei primi scrittori di canzoni di rivendicazione e la voce più originale del canzoniere wobbly, arrivando ad essere considerato il padre della folk music di protesta che avrà, negli Stati Uniti, in Woody Guthrie, nel recentemente scomparso Pete Seeger e in Bob Dylan i suoi indimenticati continuatori e massimi esponenti. In Italia, però, le canzoni di Joe Hill non sono conosciute quanto dovrebbero e nemmeno la sua drammatica vicenda: Hill venne fucilato nella prigione di Sugar House, nello stato dello Utah, il 19 novembre del 1915, per un crimine che molto probabilmente non ha mai commesso.
A Sanremo lo hanno ricordato Dente e Brunori SAS, che hanno cantato, nella traduzione italiana di Sergio Secondiano Sacchi, Vai, vai, vai e Il predicatore e lo schiavo, mentre il cantautore catalano Enric Hernáez – simbolo di un'altra resistenza: quella dell'idioma e della cultura catalana – ha musicato e interpretato nella lingua di Ausiàs March El testament de Joe Hill, che non è né una poesía né una canzone, ma il testamento del sindacalista svedese-americano. Non delle parole al vento, come quelle che lo stesso Hill disse poco prima di cadere sotto il piombo del plotone di esecuzione: “Non piangetemi, organizzatevi!”
John Trudell e la sua band

La chiusura di quest'edizione della rassegna è toccata a un simbolo vivente della resistenza che si fa poesia e canzone: John Trudell, quinto e ultimo premio Tenco 2014. Agitatore politico, dal 1969 al 1971 Trudell è stato il portavoce dei nativi americani durante l'occupazione dell'ex carcere di Alcatraz e nel 1973 diventa il segretario dell'American Indian Movement, carico che abbandona il 12 febbraio del 1979, quando un incendio doloso uccide i suoi tre figli, la moglie in attesa del quarto figlio e la suocera. John Trudell è uscito dal profondo dolore che lo ha colpito grazie alla musica e all'incontro con Jackson Browne. Inizia a scrivere e nel 1983 esce il suo album d'esordio, Tribal Voice. Da allora Trudell non ha smesso di scrivere e di esibirsi, portando in tutto il mondo la storia di un popolo che ha vissuto il maggior genocidio dell'epoca moderna. A Sanremo, accompagnato da tre musicisti, Trudell ha cantato cinque pezzi del suo vasto repertorio: See The Woman, It is What It Is, From The Heart, Reason To This e This Day Do We. Come sottolineano ne Il Cantautore Massimo Pirrotta e Davide Sapienza, il poeta-cantore della cultura degli indiani d'America è “dotato della completezza e del legame con la poesia, della spoken-word, dell'agire armonioso abbinato al “fare” rock” e “le sue parole risuonano di quella semplice verità, ormai complicata da vivere oggi, per una società scissa dal vero potere della vita: l'appartenenza alla Madre Terra”.
Il Premio Tenco è ritornato a lasciare un segno. Un'edizione impeccabile. Una tre giorni intensissima e qualitativamente di alto livello. Aspettiamo ora la prossima. Come si diceva un tempo, “Arrivederci ad ottobre 2015”.

Steven Forti

Il Tenco di giorno

di Roberto Molteni

Il Tenco non si svolge solo di notte. Le iniziative che il Club Tenco organizza durante l'anno sono quasi sempre accompagnate da incontri e appuntamenti “collaterali” che riservano sempre grandi sorprese e protagonisti di assoluto rilievo. Anche la tre giorni sanremasca di quest'anno ha visto un programma intenso di attività che a partire dalla tarda mattinata sono continuate fino a tutto il pomeriggio. Song drink e incontri con gli artisti, presentazioni di film, libri e progetti legati alla canzone d'autore, incontri con intellettuali e operatori culturali. Tutto, rigorosamente, legato a doppio filo al tema della Rassegna di quest'anno: le Resistenze.
Di film se ne sono visti tre: Pussy Riot. A Punk Prayer di Mike Lerner presentato da Giandomenico Curi, Indebito di Vinicio Capossela e Andrea Segre e Musica contro le mafie. L'alternativa di Claudio Martello. Un documentario, sotto l'egida di Libera, che racconta un progetto quanto mai necessario e che fa della musica un veicolo di riscatto di un territorio martoriato da un problema, purtroppo, ancora irrisolto.
Le grandi tematiche affrontate nelle serate della Rassegna sono state al centro degli incontri pomeridiani, curati e presentati da Enrico de Angelis, Sergio Secondiano Sacchi e Antonio Silva. Oltre che dal film di Capossela e Segre, la Grecia è stata al centro di un dettagliato intervento di Franco Fabbri, storico leader degli Stormy Six, dedicato alla canzone del paese ellenico. Maria Gloria Rosselli, curatrice della sezione di Antropologia e Etnologia del Museo di Storia Naturale di Firenze, ha parlato delle culture dei nativi americani, mentre Esther Béjarano, accompagnata dalla sua biografa e traduttrice italiana Antonella Romeo, ha raccontato una storia lunga novant'anni, tra Auschwitz e il nuovo millennio, sempre insieme alla sua fisarmonica e con uno spirito di resistenza che ben pochi possiedono. Gianni Minà, premio Tenco all'Operatore Culturale 2014, ha emozionato con i ricordi di oltre quarant'anni di impegno politico, sociale e culturale e con l'America Latina delle sofferenze e delle speranze sempre in primo piano.
Due sono stati i libri presentati in quest'edizione: Lavorare con lentezza. Enzo del Re, il corpofonista di Timisoara Pinto, dedicato al compianto cantastorie pugliese che era stato ospite durante la Rassegna del 2010 e El peso de la nación. Nicola Bombacci, Paul Marion y Óscar Pérez Solís en la Europa de entreguerras di Steven Forti, che racconta la vita di tre dirigenti politici comunisti che negli anni compresi tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono passati al fascimo in Italia, Francia e Spagna. Tra questi, Nicola Bombacci a cui la Scraps Orchestra ha dedicato una canzone presentata nella serata conclusiva della rassegna.
Non poteva mancare poi uno spazio dedicato a progetti di vera e propria “resistenza”. L'imprescindibile esperienza di riscoperta della cultura popolare italiana de I Dischi del Sole e del Nuovo Canzoniere Italiano, attivi ormai da cinquant'anni, è stata raccontata da uno dei suoi protagonisti, Cesare Bermani, mentre Giuseppe Gennari ha parlato del Festival Léo Ferré, arrivato in questo 2014 alla sua diciannovesima edizione. Si è presentata anche una realtà importante come quella del Premio Bianca D'Aponte, dedicato alla cantautrice aversana scomparsa nel 2003 a soli 23 anni, arrivato alla sua decima edizione. Un progetto che, grazie alla collaborazione con l'associazione Cose di Amilcare, dal 2015 avrà un respiro internazionale con un concerto annunciato per il prossimo 8 marzo a Barcellona in cui cantautrici di oltre dieci paesi diversi canteranno nella loro lingua le canzoni di Bianca D'Aponte.
In questa 38esima edizione della Rassegna della Canzone d'Autore - Premio Tenco, c'è stata una novità: gli incontri pomeridiani sono continuati nella piazzetta dei Dolori della “Pigna”, il quartiere tutto vicoletti e scalinate della città vecchia di Sanremo. Tre recital dove una voce narrante ha accompagnato il viaggio proposto da un cantautore tra poesie, musiche e storie di resistenza. Il sardo Carlo Doneddu e lo storico Steven Forti hanno riportato il pubblico al dramma e alle sofferenze della Grande Guerra, di cui proprio quest'anno si ricorda il centenario, recuperando Un anno sull'altipiano di Emilio Lussu – a cui proprio Doneddu nel 2006, con i Figli di Iubal, aveva dedicato un disco – e mostrando come nelle trincee del Carso, del monte Baldo e dell'altipiano di Asiago nascano, non solo il fascismo, ma anche alcune resistenze che ritorneranno nella storia italiana. Nella seconda serata è stato Olden, accompagnato da Sergio Secondiano Sacchi, a riproporre in italiano “la poesia spagnola che si è fatta canzone” di quattro poeti che hanno sofferto la morte o l'esilio a causa della barbarie franchista: Federico García Lorca, Antonio Machado, Miguel Hernández e Rafael Alberti. Il terzo e ultimo incontro di questa trilogia intitolata “Le rose di Amilcare”, piccolo omaggio ad Amilcare Rambaldi, storico fondatore del Club Tenco e della Rassegna della Canzone d'Autore, ha visto il cantautore catalano Enric Hernáez, accompagnato ancora dalla voce di Steven Forti, cantare i poeti della sua terra in una lingua che è stato, ed è ancora, un simbolo di resistenza. Da Joan Vergés, Josep Palau i Fabre e Àngel Guimerà a Joan Brossa e David Castillo fino a Joan Salvat Papasseit, in cui Hernáez ha duettato con l'algherese Claudia Crabuzza.

Roberto Molteni