rivista anarchica
anno 44 n. 394
dicembre 2014 - gennaio 2015


dibattito anarchismo oggi

Anarchismo in divenire

di Andrea Papi


Smettiamola di rappresentarci come fossimo in guerra permanente contro immagini/fantoccio, che ormai servono solo come spauracchio del potere per tenerci impegnati in “faccende” destinate all'annichilimento. Per un nuovo anarchismo costruttivo e sperimentale. Il dibattito è aperto.


Per moltissimi il mondo attuale è poco attraente e per tantissimi altri sta diventando addirittura invivibile. Una condizione diffusa che di per sé dovrebbe essere sufficiente a spingere masse umane insoddisfatte verso un'alternativa di liberazione sociale. Il palese fallimento storico del bolscevismo inoltre avrebbe in teoria dovuto favorire adesioni ai movimenti anarchici, che dovrebbero pullulare di adepti e simpatizzanti irresistibilmente attratti. Invece assistiamo a un impoverimento della presenza militante, mentre si registrano adesioni, in alcuni casi consistenti, verso comportamenti, pratiche ed esperienze riconducibili al senso e alla qualità delle proposte anarchiche (decisioni collettive attraverso forme di democrazia diretta, rifiuti di gerarchie, tensioni egualitarie, cooperazioni e solidarietà mutualistiche condivise, ecc.) spesso senza riconoscersi e definirsi tali e ben lungi dall'essere militanza in senso classico.
In altre parole l'anarchismo sta cambiando forma e modo d'essere fuori dai canali collegati all'esperienza “ufficialmente” codificata. Per questo suppongo che sia in atto un rinnovamento spontaneo, fatto di spinte libertarie schiette e genuine, che il vecchio anarchismo non è in grado di assorbire o integrare (o perché non vuole, o perché non lo capisce o perché non ne è capace, a parte qualche raro sporadico caso). Non è lontano dalla realtà asserire che in questa fase sta prendendo piede e si sta manifestando autonomamente un “anarchismo dal sapore nuovo”, tale proprio perché fin dal suo sorgere è scollegato da quello esistente storicamente riconosciuto.
Nulla di male in sé. Per certi aspetti anzi può essere visto come un bene. Il “cosiddetto vecchio”, soprattutto per la gravosità intrinseca della sua poderosa storia, da decenni appare facilmente sclerotico e non infrequentemente immobile, mentre, data la sua natura peculiare di “movimento”, dovrebbe essere perennemente in “moto”, genuinamente capace di rinnovarsi senza rimanere ancorato pesantemente a schemi divenuti vecchi e obsoleti. Se però il “nuovo” (aggiungo io), con tutta la sua molteplicità di manifestazioni, prima o poi non si collegherà al “vecchio” innovandolo culturalmente ed esperienzialmente, molto difficilmente riuscirà a conservare quell'integrità libertaria che ne distingue il sorgere, per essere (ahimé!) assorbito da logiche e visioni che lo ricondurranno al malefico “grembo autoritario”, sempre in agguato.
Sapersi rinnovare vuol dire prima di tutto acquisire la capacità di aggiornare la lettura della realtà, per coglierne i movimenti, le mutazioni e gli spostamenti. Poi si dovrebbero ipotizzare, per sperimentarli, mezzi e metodi adeguati a contrastare in modo efficace e intelligente il contesto dispotico che esercita il dominio, per tentare di superarlo o eliminarlo, in definitiva per arrivare a farne a meno, allo scopo di vivere relazioni sociali che ne siano prive attraverso tensioni anarchiche liberanti e libertarie. A me sembra chiaro che un simile percorso, che non può che definirsi facendosi, di necessità dovrebbe riuscire a spurgarsi da schematismi e ideologismi di sorta che ne appesantiscono il cammino, di fatto sabotandolo e impedendolo.
Non si dovrebbero aver più remore ad abbandonare i vecchi schemi che definiscono il percorso rivoluzionario, proponenti una narrazione del conflitto sociale che, più o meno consapevolmente, si presenta come fosse assoluta, quasi a sottintendere che non ne può esistere altra (logica dogmatica dell'“unica via possibile”). È in questo versante con tali propensioni che l'adesione alla “lotta di emancipazione” può scadere in atteggiamenti fideisti e religiosi.

Pensare e agire “in grande”

Tutto è veramente cambiato e continua a cambiare e l'anarchismo, se è autentico, non può essere inteso come fisso o bloccato. Come tutto ciò che è vivo e in movimento non può essere guardato come se fosse immobile: proprio come un corpo che cresce ha subito e continua a subire costanti cambiamenti di sviluppo. Rispetto ai primi momenti in cui fu concepito e pensato, nei limiti del possibile attuato, è anche profondamente cambiato il contesto planetario circostante, come pure sono cambiati gli stimoli, il tipo di sguardi e l'immaginario, tutto ciò insomma che definisce una visione del mondo. Come tutte le visioni del mondo, si può trasformare e dilatare rimanendo intatto nella sua sostanza. Avendo ben presente questa dinamica non ritengo affatto che si debba intenderlo come un'ideologia, anche se qualcuno ogni tanto ci prova, forse nell'illusione di fissarne un'assolutezza che di fatto non gli appartiene.
La vecchia narrazione su cui ci siamo formati ci parla, per esempio, di rivoluzione insurrezionale, per prendere il potere e imporre la dittatura del proletariato, come sosteneva il marxismo/leninismo, o per abbattere lo stato, come han sempre sostenuto gli anarchici. Per entrambi si dovrebbero conquistare i “Palazzi del Potere”, nell'un caso per impossessarsene e farli propri, nell'altro per distruggerli ed eliminare ogni forma di autoritarismo politico. Oggi non c'è più nessun “Palazzo” da conquistare, mentre, per le condizioni in cui ci costringono a vivere, siamo perennemente immersi in una dimensione di scontro, che può anche sforare in logiche di guerra, senza più nemici né luoghi chiaramente identificabili da contrastare. Forse ogni tanto si riuscirà pure a vincere qualche scaramuccia con le forze di polizia, ma siccome il dominio vero non è più nelle cose di un tempo e ha generato altre forme di potere altamente sofisticate, non avremmo comunque risolto nulla.
La vecchia narrazione ci raccontava che tutto ruota attorno alla lotta inconciliabile tra borghesia e proletariato, a uno scontro permanente tra padroni e sfruttati intrinseco nella struttura su cui si fonderebbe la società capitalista, vista addirittura quasi come l'ultima forma strutturale della storia. Una visione rigida, che non riesce a contemplare le dinamiche dell'attuale liquidità sociale (per dirla alla Bauman), né la complessità delle reti globali nelle quali si sta avviluppando il mondo nel suo insieme. Le nuove servitù e i novelli schiavi sono masse umane imbrigliate che rappresentano una realtà molto più intricata e articolata della vecchia working class di marxiana memoria, mentre la rete globale della speculazione, che alimenta e favorisce un'oligarchia finanziaria capace di assoggettare alla propria avidità l'economia produttiva, è qualcosa di veramente molto più composito e frastagliato della vecchia borghesia capitalista d'antan. Il mondo si sta avviluppando in qualcosa di molto più ingarbugliato e multiforme del lineare conflitto dialettico ipotizzato a suo tempo.
Non abbiamo più di fronte semplicemente generali, re, capi di governo, padroni e tutte quelle figure che hanno sempre impersonato il potere come comando e volontà d'imposizione. Non fraintendetemi, tutti questi figuri sono ancora sparsi ovunque, ma non rappresentano più l'apice della concentrazione del potere da cui dipendono le sorti del mondo. Il dispotismo, base fondante della qualità delle relazioni, continua ad amplificarsi, ma subisce mutazioni che ne cambiano la qualità delle forme e i metodi d'imposizione. È in atto un prepotente significativo passaggio dal “comando” alla “costrizione oggettiva”, quale fondamento della capacità di dominare.
Per tutto ciò non possiamo più continuare a profonderci in un'estenuante guerra di opposizione, che si vorrebbe rivoluzionaria, nell'illusione perpetuata di abbattere caduche strutture di poteri sempre meno potenti, in alcuni casi in estinzione. Dovremmo invece cominciare a pensare e agire “in grande” (intendendo grande in termini cosmici), intraprendendo e inaugurando seriamente una stagione dedita soprattutto a costruire e sperimentare, in tutte le forme creative possibili, il nuovo e diverso che pensiamo realizzi la liberazione e la libertà agognate, smettendo di rappresentarci soprattutto come fossimo in guerra permanente contro immagini/fantoccio, che ormai servono solo come spauracchio del potere per tenerci impegnati in “faccende” destinate all'annichilimento.

Andrea Papi