rivista anarchica
anno 44 n. 394
dicembre 2014 - gennaio 2015





Hannah e Mary, due amiche con riserva

1.
Nel 2012, Margareth Von Trotta ha dedicato un film alla filosofa tedesca Hannah Arendt, intitolandolo con il suo nome. Con un paio di anni di ritardo – e sottotitolato – abbiamo potuto vederlo nelle sale cinematografiche italiane. Si tratta di un film dall'impianto narrativo solido e accurato – fin nella fotografia e nelle ben ponderate ricostruzioni di interni – nel tentativo di proporsi come documentazione storica relativa ad un periodo specifico della vita di Arendt – quello che va dal 1960 al 1964, ovvero il periodo che ruota intorno alla cattura del nazista Adolf Eichmann da parte dei servizi segreti israeliani ed al successivo processo, svoltosi a Gerusalemme, cui la filosofa, accreditata come giornalista, assistette. È da quell'episodio, d'altronde, che nascerà il suo libro più noto, La banalità del male. Moralmente ineccepibile per quel che concerne la tematica di fondo – interpretato da una credibilissima Barbara Sukowa –, al film posso rimproverare poche cose, ma una di queste mi “sta qui”. E concerne la figura di Mary McCarthy, scrittrice americana, grande amica di Arendt, che, interpretata da Janet McTeer, dal film non ne esce benissimo. Anzi.

2.
Si erano conosciute nel 1944. Lo racconta Carol Brightman nel saggio introduttivo a Care amiche, titolo assegnato alla corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy scambiata tra il 1949 e il 1975, anno della morte della prima. Arendt era giunta in America nel 1940 e McCarthy era una giovane intellettuale curiosa ancora in cerca della forma più idonea per esprimersi, ma già dotata di quel “dono dell'osservazione e dell'analisi” che “le donne sviluppano praticamente in quanto specie” (e che, non di rado, aggiungerei, dalla struttura dei rapporti sociali sono spesso costrette a rintuzzare). I commenti di Arendt al processo Eichmann destarono scandalo perché non si allinearono affatto con i desiderata dello stato di Israele e perché, in particolare, misero in rilievo “il ruolo che i consigli ebraici avevano avuto nella cooperazione con l'ufficio di Eichmann”. Tale scandalo – come ben raccontato nel film di Von Trotta – finì presto per assumere i toni della minaccia e, forse, la stessa vita della scrittrice fu in pericolo.

Hannah Arendt

3.
È noto che i rapporti tra le due amiche non sempre furono perfettamente amichevoli. Si vorrebbe che questo loro dissidio fosse circoscritto ad una festa newyorkese, nel 1945, allorquando – durante una conversazione sull'atteggiamento dei francesi nei confronti degli occupanti - McCarthy disse che “provava pena per l'assurda pretesa di Hitler di volere l'amore delle sue vittime”. Arendt se ne infuriò: “Come puoi dire questo davanti a me – una vittima di Hitler, una persona che è stata in un campo di concentramento!”. A me l'argomentazione di McCarthy non parrebbe così gravida di implicazioni, ma posso anche ammettere che alla sensibilità di ciascuno non è facile mettere regole. A quanto pare, ci vollero tre anni perché le due si rappacificassero. Arendt definì giustamente “sciocchezze” l'oggetto del contendere e, confessando che in un campo di concentramento tedesco non c'era mai stata – era stata in un campo francese - ne concluse che loro due la pensavano “allo stesso modo”.
Più serio, a mio avviso, fu invece il dissidio conseguente al caso Eichmann. E ciò per due ordini di motivi. Da un lato, quando Arendt attribuisce ad Eichmann non “stupidità”, ma “inabilità a pensare”, McCarthy insorgeva, dicendo che l'espressione riduceva il comportamento di Eichmann ad una specie di “delitto minore”: affermando che non era uguale al resto dell'umanità perché “incapace di riflettere”, Arendt lo ritrasformava in quel “mostro” che tanto comodo faceva ai ben pensanti dell'epoca almeno quanto comodo farebbe ai benpensanti di oggi. Dall'altro lato, McCarthy ha lamentato più volte il silenzio con cui Arendt cercò di barricarsi dall'ondata di critiche e di insulti ricevuti. “Fingeva di non prestarvi le minima attenzione” – “ma era vero”, ovviamente – e la redarguiva, addirittura, allorché lei, reagendo, ne prendeva le difese. Più restìa alla relazione, d'altronde, Arendt si dimostra anche nella corrispondenza: spesso le sue lettere sono sbrigative, tanto da non dover essere neppure conservate, mentre quelle di McCarthy sono approfondite, sentite, animate sempre da una gran voglia di chiarezza mai disgiunta da energica passione civile.

4.
Arendt passa alla storia come grande filosofa ma non McCarthy. Eppure, “la chiarezza di esposizione non era il forte di Arendt”, dice Brightman, mentre alcuni saggi di McCarthy – e ciò che può esser ricavato in quanto sapere dai suoi romanzi (penso, soprattutto, a Cannibali e missionari per il significato politico dell'arte e dell'esperienza estetica) - sono straordinari per lucidità e coraggio nell'opporsi alle convenzioni della buona società (penso a Vivere con le cose belle). Fra gli scheletri del suo armadio, McCarthy avrà avuto anche tanti e tumultuosi amori, ma nessuno di questi può esser paragonato al grande amore di Arendt che, in gioventù, da allieva, si innamorò del “Maestro” Martin Heidegger, avviato inesorabilmente ad una totale adesione al nazismo – un rapporto che neppure Von Trotta ha potuto ignorare del tutto risolvendolo nei chiaroscuri e nelle ambiguità del ricordo. Fra le argomentazioni della McCarthy non si ritroveranno mai fumosi e misticheggianti elogi dell'ineffabile e neppure quella paccottiglia stantìa di autocelebrazione che parla del filosofo che condurrebbe una “vita solitaria”, perché la filosofia stessa – come la masturbazione ? - sarebbe “qualcosa di solitario” (si veda La vita della mente, opera fortunatamente incompiuta di Arendt, curata da McCarthy nella sua veste di esecutrice testamentaria). Confrontandone il pensiero, dunque, si può anche comprendere come il loro editore americano, William Javanovich, abbia potuto ritenere “incredibile” il fatto che “queste due donne abbiano continuato il loro rapporto”.

Mary McCarthy

5.
La McCarthy, insomma, vale di più di quanto non si possa evincere dal film di Von Trotta ed è quantomeno ingeneroso considerarla una “irrefrenabile grafomane” come, pur tra tanto rispetto, fa Brightman.

6.
Pochi anni fa – racconta Brightman -, un passeggero salì sul treno Francoforte-Amburgo e venne accolto da un annuncio: “Vi diamo il benvenuto sull'Espresso Intercity Hannah Arendt – chiunque fosse – e vi auguriamo buon viaggio”. Più tardi la stessa voce apportò una correzione al tiro precedente: “Hannah Arendt era una Dichterin” (Dichterin vale per scrittore o poeta) e “incidentalmente ho saputo che era anche una Philosophin”. Nota la Brightman che “negli Stati Uniti, non diamo nomi di poeti o filosofi ai treni, ma gli scienziati della NASA che stanno rilevando la mappa di Venere intitolano i crateri del pianeta a donne celebri: Pearl Buck, Margaret Mead, Claire Booth Luce, Lillian Hellman, Gertrud Stein e Mary Stuart regina di Scozia”, ma sia alla Arendt che alla McCarthy, “è stato risparmiato questo onore”. Per il momento, dunque, le due condividono questo destino. Condivideranno per sempre, invece, un altro aspetto della loro vita. Come Arendt, nata nel 1906 e morta nel 1975, si innamorò di Martin Heidegger, nato nel 1889 e morto nel 1976, McCarthy, nata nel 1912 e morta nel 1989, si innamorò – e sposò – il critico Edmund Wilson (ne fa un ritratto terrificante in Vita stregata), nato nel 1895 e morto nel 1972: diciassette anni di differenza per ambedue le coppie, allora – e nessuna delle due destinata a durare.

Felice Accame

Nota
Tra amiche è pubblicato da Sellerio, Palermo 2008. La banalità del male, pubblicato per la prima volta nel 1963, di ristampa in ristampa prosegue il suo successo. I libri di Mary McCarthy – compreso Il gruppo che la rese famosa nei primi anni Sessanta del secolo scorso e che le attirò non poche critiche – sono reperibili solo spulciando fra le bancarelle.