rivista anarchica
anno 45 n. 397
aprile 2015





Ma la tortura esiste?

Racconti di carcere e di botte

Nei mesi scorsi è entrata in vigore una legge che introduce il diritto al risarcimento per i detenuti che sono stati reclusi in carcere in violazione della Convenzione europea sui diritti umani. La normativa prevede uno sconto di pena di un giorno per ogni dieci trascorsi in condizioni di vita degradanti, che abbiano violato la dignità umana. Nel caso in cui la pena sia già stata scontata, la legge prevede un risarcimento di 8 euro per ogni giornata vissuta in condizioni disumane.
Avete letto bene: lo stato italiano concede otto euro per un giorno, o uno sconto di un giorno ogni dieci, per le torture ed i maltrattamenti che ha inflitto ai suoi prigionieri. Io sinceramente avrei preferito che qualcuno si scusasse con me e con i miei familiari. Nessuno però l'ha fatto e mi sono deciso anch'io ad inoltrare al mio giudice la richiesta di una riduzione della pena detentiva, nella durata, a un giorno per ogni dieci, di tutto il periodo (circa 5 anni) in cui sono stato sottoposto al regime del 41 bis nel carcere dell'Asinara, per un anno a Parma, uno a Novara, uno a Sulmona e cinque anni a Nuoro (per un totale di 13 anni su 23 anni di carcere fatti) da scalare dal mio fine pena 31/12/9999, perché da un po' di tempo, forse per vergogna, agli ergastolani non scrivono più “fine pena mai” in rosso come in passato, ma mettono nel certificato di detenzione questa assurda data.
Ho scavato nella mia mente per descrivere quello che i miei educatori e governanti mi hanno fatto per dimostrarmi di essere peggiori di quello che io ero una volta. Ecco alcuni stralci dell'istanza che penso d'inoltrare alla Magistratura di Sorveglianza:
[...] L'istante per meglio dimostrare il trattamento inumano e degradante che ha subito in quegli anni si permette di allegare alcuni brani del suo diario personale che scriveva in quei periodi:

Carcere dell'Asinara 1992/1997

[...] La chiamavano l'Isola del Diavolo. Era di luglio e faceva un caldo torrido. Ci raccolsero sul campo sportivo davanti alla famigerata sezione Fornelli. Alla sera i viaggi degli elicotteri finirono di scaricare carne umana. Eravamo schiacciati come sardine. E avevamo una sete tremenda. Ci diedero solo una bottiglia di acqua a testa. E ci urlarono: “Se la finite subito, peggio per voi... ve ne aspetta solo una al giorno”. [...] A un tratto le guardie si schierarono a destra e a sinistra lasciando un corridoio nel mezzo che portava dritto dentro il carcere. Avevano scudi in plexiglass e manganelli nelle mani. Quando uscimmo dal cancello fummo subito bersagliati di manganellate. Corsi piegato in due con le braccia alzate per cercare di ripararmi dai colpi di manganello. Cercavo di proteggermi la testa, ma le manganellate arrivavano proprio lì. Le celle erano già aperte. Man mano che le celle si riempivano, le guardie chiudevano il cancello e sbattevano il blindato. [...] L'aria sapeva di chiuso e di muffa. Più che in una cella mi trovavo in un pozzo nero. In una vera e propria tomba. La mia cella era nella parte meno illuminata della prigione. Mancava l'aria e la luce. Dalla finestra della cella si poteva vedere solo una fetta di cielo. La parte più alta. Nella finestra c'erano doppie file di sbarre e poi per completare l'opera c'era una rete metallica fitta. Il lavandino era vicino al gabinetto. L'acqua veniva giù marrone. Mi avevano detto che non era potabile ma non mi avevano detto che era così sporca. Pensai che forse avevo bisogno di qualche punto in testa, ma decisi che non era il caso di chiamare nessuno. Sentivo ancora le urla di dolore degli altri detenuti. [...] Mi svegliai di soprassalto. Mi sentivo osservato. Chiusi e aprii ripetutamente gli occhi. Avvertivo un senso di compagnia indesiderata. Guardai da tutte le parti. Mi sentivo minacciato. Vidi che il blindato e lo spioncino erano chiusi. Guardai la finestra ma non c'era nessuno. Eppure qualcuno mi stava osservando. Poi diedi retta al mio istinto e guardai alla mia destra, vicino al bagno. Lo vidi. Trattenni il fiato. Il mio cuore fece un ruzzolone dallo spavento. Quelle bestiacce mi facevano schifo. Era il più grosso topo che avessi mai visto. Era enorme come un coniglio. In seguito scoprii che di topi all'isola dell'Asinara ce ne erano dappertutto. S'infilavano nelle tubature dei gabinetti ed entravano nelle celle. Per cinque anni vissi con loro e quando mi applicarono l'isolamento totale di un anno e sei mesi divenni amico di uno di loro. Ne avevo addomesticato uno e l'avevo chiamato Tom. Era diventato così grosso che era lui che dava la caccia ai gatti dell'isola.
[...] Dopo un paio di minuti mi aprirono lo spioncino e si affacciò una guardia con la barba che puzzava di selvatico. “Latte e caffè”. Gli passai lesto un bicchiere di plastica. Me lo riempirono fino a metà. Poi mi passarono una pagnotta e mi sbatterono lo spioncino in faccia. Divorai mezza pagnotta, l'altra parte la conservai per la sera, e bevvi con avidità il caffè latte. Alle otto in punto una guardia passò per prendere i nomi di chi voleva andare al passeggio. Dopo una mezzoretta sentii i primi blindati aprirsi. Mi piazzai davanti al cancello aspettando il mio turno. Quando mi aprirono il blindato vidi davanti a me quattro guardie con il manganello in mano. A un tratto una guardia mi urlò: “Mafioso di merda... girati e mettiti con le mani appoggiate al muro.” Avevo voglia di rispondergli, ma sarebbe stato un suicidio. Ubbidii, ma con gli occhi diedi del figlio di puttana a tutte e quattro. Una volta perquisito mi avviai in fondo al corridoio. C'era una porta stretta, la varcai e mi trovai all'aperto. L'aria era calda già a quell'ora del mattino. Dopo pochi passi mi fecero entrare in un cortile. Era una vera e propria gabbia di cemento armato, coperta da una rete metallica a maglie strette. [...] In seguito ci torturarono, ci annientarono e ci umiliarono. La doccia era una volta a settimana. Ogni detenuto aveva tre minuti per insaponarsi e sciacquarsi. A volte i tre minuti diventavano due. Una volta i tre minuti diventarono un minuto. Ero ancora tutto insaponato, non mi diedero il tempo di sciacquarmi che mi batterono le chiavi al cancello per provocarmi. Era il segnale di uscire dalla doccia. Io non uscii. Mi chiusero l'acqua. E mi mandarono a prendere. Mi ritrovai a terra bersagliato da una pioggia di manganellate.

Carcere di Parma 1998/1999

Direzione dittatoriale. Accadeva di tutto, piccole e grandi violenze. E guardie che brutalizzavano in nome del popolo italiano. L'alimentazione era scarsa e cattiva.
Diario:
Mi presero di peso. E mi trascinarono nelle celle di punizione. Mi scaraventarono nella cella liscia. Volarono pugni, calci e ingiurie. Mi ordinarono di denudarmi. E mi perquisirono. Le guardie iniziarono a insultarmi “Figlio di puttana”, “Prendi questo e quest'altro”. Poi si stancarono. E se ne andarono. Mi sdraiai per terra, nella cella liscia non c'era neppure la branda. Mi coprì con una vecchia coperta buttata in un angolo, l'unica cosa che c'era in quella stanza.

Carcere di Novara 1999/2000

Soprusi e violenze, perquisizioni ad oltranza. Spogliati dalle nostre piccole cose. Derisi. Pacchi e vestiari mandati indietro, se no persi, oppure saccheggiati, in balia d'aguzzini con licenza di fare come gli parevava, se gli pareva, quando gli pareva.
Diario:
Le pareti erano grigie. Erano fradice di muffa, dolore e umidità. Puzzavano di ferro, cemento armato, sudore e sangue. Il soffitto era giallo. Il colore della nicotina. Le sbarre della finestra erano le più grosse che avessi mai visto. C'era una branda fissata nel pavimento, un tavolino e uno stipetto al muro.

Carcere di Sulmona 2001/2002

Avevamo due ore di aria il mattino, due il pomeriggio e poi stavamo tutto il giorno chiusi in cella. La televisione la comandava la Direzione del carcere. E a mezzanotte la spegnevano. La Direttrice non voleva che di notte vedessimo gli spogliarelli nelle televisioni private. Non ci faceva comprare neppure i pornografici alla spesa. Alcuni detenuti avevano reclamato e si erano rivolti al magistrato di sorveglianza, che aveva accolto il nostro reclamo. Una volta la direttrice ci aveva gridato in sezione: “Fin quando ci sarò io... nel mio carcere quei giornalacci non entreranno... non sono letture educative... dovete passare sul mio cadavere”. Durante la conta di mezzanotte e delle quattro del mattino le guardie ci aprivano i blindati, il cancello e ci entravano in cella per controllarci. E in questo modo ci svegliavano ogni notte, con una vera e propria tortura del sonno.
Diario:
Mi presero di peso. Mi trascinarono per il corridoio. Feci tutte le scale, che conducevano nelle celle di punizione, a ruzzoloni. Mi misi all'angolo del muro. Le guardie si disposero a semicerchio. Ero abituato a prendere le botte. Sapevo per esperienza che fanno male solo i primi colpi. Poi non si sente quasi più nulla. Mi saltarono subito addosso. Mi presero a calci nello stomaco. Provai a dare un morso in una gamba alla guardia più vicina, ma s'incazzarono ancora di più. Non mi rimaneva altro che prenderle e dire parolacce. Non potevo fare altro. Le scarpate nei fianchi m'impedivano di respirare. Presto rimasi a corto di aria nei polmoni. Poi non sentii più nulla.

Carcere di Nuoro 2002/2007

La Direzione del carcere, a causa di un calendario satirico contro Berlusconi del vignettista Vauro Senesi, mi aveva ritirato computer, scanner e stampante. Le condizioni igieniche erano terribili, basti pensare che bisognava andare in bagno davanti ai propri compagni. I cortili dei passeggi sembravano delle voliere. Vivevamo in condizioni illegali di sovraffollamento, ozio forzato, mancanza di igiene e cure.
Diario 3/06/04
Abbiamo diffuso questo tipo di documentazione all'attenzione della società esterna:
i detenuti della prima sezione del carcere di Nuoro segnalano che la struttura di questo istituto è vecchia e decadente (a dir poco obsoleta), all'interno dell'Istituto il detenuto è abbandonato a se stesso. La cosa più angosciosa è che il gabinetto è scoperto e si è costretti ad espletare i bisogni corporali sotto la vista dei compagni che occupano la stessa cella, ciò ci toglie quel briciolo di dignità che ci è rimasta... non siamo animali. La nostra sezione ha tre piani e per distribuire il vitto c'è un solo carrello e questo viene trasportato a mano attraverso le rampe delle scale. È facile immaginare i disagi che ne derivano.
Nutrirsi con un minimo di decenza è quindi affidato alla sorte, perché è fortunato il piano da cui si comincia la distribuzione del vitto. Per i detenuti che arrivano dal continente e che per ovvie ragioni difficilmente possono usufruire di colloqui, ricevere un pacco postale dai propri cari diventa come una lotteria, perché ci viene consegnato a distanza di settimane. E se c'è qualcosa di commestibile si deteriora e va buttata.
24/07/04
Oggi è arrivata la risposta di un reclamo che avevo fatto ad un compagno: “... rilevato che il regolamento esecutivo dell'ordinamento penitenziario all'art. 7 dispone che i servizi igienici siano allocati in un vano annesso alla camera di detenzione e, quindi, non all'interno della stessa; ritenuto che le ragioni di riservatezza e di igiene che hanno portato il detenuto a presentare il reclamo siano fondate, invita la Direzione della C.C. di Nuoro... a provvedere agli interventi necessari per adeguare la struttura delle celle della prima sezione dell'istituto di Nuoro alla normativa vigente”. È un'ammissione strutturale.
7/08/04
L'altra notte ho sentito un casino: il compagno Salvatore, che è in cella quasi di fronte a me, urlava dallo spavento perché lo aveva assalito un topo mentre dormiva. Le guardie, invece di aiutarlo, ridevano e gli hanno detto: “Fuori ha ucciso due carabinieri e qui non ha il coraggio di uccidere un topo”. Io, dopo la stessa esperienza avuta all'Asinara, metto sempre la bottiglia nel buco del gabinetto e chiudo la finestra. Preferisco soffrire il caldo che prendermi uno spavento del genere.
9/08/04
Continuano ad arrivare detenuti dagli altri carceri ed ormai la sezione sta scoppiando, da 40 detenuti che eravamo siamo 75... alcuni detenuti si sono rifiutati di fare entrare i nuovi giunti, motivando il fatto che ci sono i bagni scoperti... Le guardie li hanno messi di forza e stava scoppiando un casino.
13/08/04
Nonostante il provvedimento n.36/04 del 20/07/04 dell'Ufficio di Sorveglianza di Nuoro ci costringono ad espletare i bisogni corporali sotto la vista e l'udito dei compagni che occupano la stessa cella.
16/09/04
Questa è stata la prima notte che ho passato nella sezione d'isolamento, cosiddetta, nel gergo carcerario, “Porcilaia”, nome molto appropriato. È una sezione composta da dieci celle, le prime celle sono così piccole, 4 passi per due, dove il prigioniero, fra il gabinetto alla turca ed il letto, non può passeggiare, quindi deve stare tutto il giorno o fermo in piedi, o seduto o sdraiato. I passeggi della “Porcilaia” sono i più piccoli che io abbia mai visto nella mia lunga esperienza carceraria, appena 2 passi di larghezza per 11 passi di lunghezza, quindi praticamente non è possibile fare nessuna attività ginnica. Ma la cosa più disumana e animalesca è che il gabinetto non ha nessun riparo, neppure un muretto o una tenda, e dista un passo dalla porta, quest'ultima è priva di spioncino, quindi chi passa nel corridoio può vedere il detenuto mentre fa i suoi bisogni.
24/01/05
Sfogo la mia rabbia con questa “Lettera aperta dal carcere di Nuoro”: da circa due mesi non possiamo mettere piede nel campo sportivo, passiamo l'ora d'aria in una voliera. Per evitare eventuali fughe cerebrali da 6 mesi non possiamo leggere i libri della biblioteca, perché in attesa di quella nuova la vecchia è stata chiusa, mancanza di riscaldamento sufficiente nelle stanze, umidità, cattiva manutenzione, dagli infissi delle finestre entra l'acqua, tre sole docce funzionanti per circa 80 detenuti, con due ore per piano con orari inadeguati, a piano terra due compagni si sono ammalati di polmonite, a due compagni sono stati ritirati stampante e scanner perché uno di questi ha scritto una lettera aperta pubblica al sindaco di Nuoro. Spesso i detenuti rifiutano sistematicamente il cibo ordinario perché c'è un solo carrello che deve fare tre piani (portato a mano da un piano all'altro) e man mano che arriva nelle ultime celle il cibo diventa immangiabile, una specie di pastone per galline, i porta vitto non sono forniti di guanti, berretti, grembiuli e degli appositi carrelli termici.
Lamentiamo la mancanza di spazi comuni dove svolgere qualsiasi attività, passiamo circa 20 ore al giorno su 24 in cella.
Il sottoscritto fa presente che le sue affermazioni si possono riscontrare dalla propria cartella personale, dai vari reclami inoltrati negli Uffici di Sorveglianza dei carceri citati e dai numerosi esposti pubblici e giurisdizionali.
Grazie dell'attenzione.

Carmelo Musumeci