rivista anarchica
anno 45 n. 397
aprile 2015





La dittatura del volontariato


Samir arrivò in stazione alle 22.40 di un giorno di dicembre dell'anno 5 dE (dopo Expo). Indossava una tunica arancione e sandali di cuoio. Luci rosse lampeggianti informavano che la temperatura in città era di otto gradi. Non certo la giornata ideale per sfoggiare abiti tradizionali, ma a Samir questo importava poco. Contava di più correre verso la metropolitana per imboccare la direzione che gli aveva indicato il suo più caro cugino. Dopo tanti anni si sarebbero rivisti, e l'eccitazione dell'attesa aveva reso più distratta la scelta del corredo.
Samir aveva freddo e voglia di raggiungere la fermata della metropolitana. La stazione ferroviaria era grande, sormontata da un'enorme volta che pareva alitare un respiro metallico sugli ultimi passeggeri che si affrettavano a imboccare l'uscita. Le decorazioni natalizie che incombevano sui chioschi chiusi evocavano un senso di resa.
Era il vuoto di prospettiva a colpirlo, l'insieme di desolazione, e non ebbe più voglia di soffermarsi sui dettagli.
<Cugino, arrivo> disse, seguendo le indicazioni per il metrò.
<Fermati, amico, dove stai andando?>
Un tipo robusto sulla trentina lo prese per un braccio badando a non stringere troppo, come volesse sottolineare il lato consensuale dell'incontro. Sul suo giaccone trapuntato spiccava una piccola tessera plastificata che ricordava quelle che si portano ai congressi. Nome, cognome, associazione di appartenenza.
<Piacere, sono Dario e faccio il volontario> disse l'uomo, senza badare alle implicazioni ironiche di quell'accostamento in rima.
Samir lo fissò con un moto di stizza. Volontario? Che diritto aveva quel tipo di divertirsi alle sue spalle?
<Mi lasci andare> disse.
<Un attimo di pazienza> replicò l'altro. <Prima lascia che ti spieghi. Io lavoro in un centro di accoglienza che garantisce pasti caldi, docce, tutto quanto occorre per riprendere fiato e aspettare che la fortuna torni. Buon Natale, amico, vieni con noi>
<Ma quale amico? IO STO ANDANDO DA MIO CUGINO, le ho detto di lasciarmi andare >
<Cugino?> interruppe una terza voce che si materializzò in una presa sull'altro braccio di Samir. <Allora siamo noi a poterti aiutare. Vedi, mi chiamo Giovanni e lavoro come volontario in un'associazione per il ricongiungimento dei parenti... Garantiamo tempi certi, a differenza delle strutture burocratiche ufficiali... Ti vedo perplesso. Mai stato all'anagrafe?>
Io sono già ricongiunto, si apprestò a dire Samir, ma Dario il volontario lo bruciò sul tempo: <Vedi di andare, l'ho visto prima io> disse all'altro.
<E chi l'ha detto? Hai testimoni?>
<Levati, testicolo, o ti farai male... Non rinuncio al contributo per uno come te>
<Davvero? Allora tieni!>
Il sinistro rumore di una testata risuonò scricchiolante sotto la volta della stazione, mentre Samir fissava inebetito quella scena, pensando a uno scherzo del cugino, o una stramba forma di benvenuto. Si stavano picchiando per lui. Forse c'era del buono, ma quei due sanguinavano e lanciavano sbuffi ansimanti di lotta a una distanza pericolosa, cosicché Samir cercò di allontanarsi approfittando della ritrovata libertà di movimento.
Fu un attimo, però, perché un altro tizio che indossava una strana divisa azzurra in tinta con un basco gli bloccò il passo: <Un attimo, prego> disse cingendolo con un braccio, mentre altri tre uomini vestiti come lui stavano separando i contendenti.
<Insomma, è un sopruso!> protestò Samir. <Io non c'entro con quei due... mi hanno strattonato e poi si sono picchiati. Che cosa volete da me? Ho mio cugino che mi sta aspettando!>
L'uomo si presentò come volontario dell'ordine pubblico, in servizio presso il corpo degli Angeli ferroviari che garantiva la composizione delle liti notturne da quando i tagli avevano ridotto il locale presidio di polizia. Gli Angeli giravano volontariamente armati.
<Adesso devi venire con noi, se non ti spiace. Sei testimone dell'accaduto, e in più devi fare alcuni accertamenti sanitari obbligatori in casi del genere...>
Tutto nella testa di Samir si confondeva ormai in un mulinello di frasi insensate, e quando il volontario azzurro trasmise pochi dati a un ricetrasmettitore, lui capì di essere spacciato. Tempo un paio di minuti, e due ambulanze arrivarono dai lati opposti della stazione per prendersi carico dei feriti e dei testimoni.
<Vi dico che non c'entro> implorò Samir, recalcitrante in mezzo ai portelloni delle ambulanze che si stavano aprendo, e da cui scesero quattro infermieri, due per parte.
I primi appartenevano all'Ordine dei volontari sanitari, i secondi alla Benemerita associazione delle croci volontarie. Estrassero in simultanea le lettighe, e si guardarono subito in cagnesco.
<Guardate che siamo noi quelli titolati all'intervento> disse un infermiere della prima ambulanza.
<Sciocchezze> replicarono quelli della seconda.
<La nostra convenzione parla chiaro> disse a denti stretti il primo, sfogliando un manuale. <Pagina 7, articolo 6bis, secondo paragrafo: “...i volontari di suddetto Ordine potranno assistere cittadini stranieri senza rifugio...“>
<Ma io un rifugio ce l'ho!> intervenne Samir. <Mio cugino mi ospita per...>
<Taci tu!> disse un infermiere della seconda ambulanza, che si rivolse poi al collega concorrente. <La convenzione dice che “potete“, non che avete l'esclusiva. E se permettete questo carico di tre persone spetta a noi. È tutto il giorno che fate incetta di ricoveri, adesso ci prendiamo la nostra parte>
<E bravo stronzo... adesso ci fai i conti in tasca? Noi vantiamo la migliore qualità, per questo i bisognosi scelgono noi>
<Mani in pasta, altro che... Mafiosi!>
<Che cosa hai detto?>
Le coppie di infermieri si avvicinarono come sfidanti di un doppio incontro di boxe. Quando i primi pugni partirono, anche gli altri due volontari che erano appena stati separati ripresero a picchiarsi sotto gli occhi angelici dei vigilantes, ormai in numero insufficiente per arginare la rissa, ma riluttanti a ricorrere alle pistole.
Furono spinte, dita negli occhi, cazzotti, calci e sputi. Samir ne uscì indenne con un'accorta strategia di fuga facilitata dalla generale disattenzione. Una ritirata prima lenta, poi sempre più veloce verso le scale che scendevano sottoterra. Una discesa a precipizio nelle bocche della metropolitana.
Era stato vittima di una specie di stalking filantropico, ma i pericoli non erano finiti. Doveva essere cauto. Era solo a metà strada. Altri volontari si annidavano probabilmente nelle viscere della città, lungo il tragitto che portava a casa di suo cugino. Adesso capiva perché quello stronzo non era venuto a prenderlo in stazione.

Paolo Pasi