rivista anarchica
anno 45 n. 400
estate 2015


ai lettori

Una collettiva storia d'Amore

Questo numero. “Un'idea esagerata di libertà”: con questo titolo le edizioni Elèuthera hanno pubblicato anni fa un bel libro del nostro collaboratore Giampietro “Nico” Berti sul pensiero anarchico. E un'esagerata rivista possiamo definire questa che abbiamo deciso di realizzare per festeggiare il nostro 400° numero. 404 pagine, un record.
Megalomania? Non crediamo. Per noi, il senso di questo numero, al di là della cifra tonda da “festeggiare” che alla fine è solo un pretesto, è innanzitutto quello di dimostrare che “un'altra rivista è possibile”, che di cose da dire ne abbiamo tante. Che l'anarchia, in altre parole, non è solo quel coacervo di A cerchiate a firma di azioni inconsulte di violenza di piazza, non è casino, distruzione, irresponsabilità, rifiuto della cultura come vorrebbero far credere all'opinione pubblica i mass-media. E lo fanno da un secolo e mezzo, da quando il movimento anarchico è nato in seno al movimento operaio e contadino, al primo movimento socialista, per affermare al loro interno l'estraneità alle istituzioni e alla partecipazione al Potere che, se ne ha marcato l'originale e coerente funzione di “bastian contrario” rispetto al riformismo (da Turati a Renzi, per capirci), al contempo ne ha reso più difficile la vita in una società sempre più istituzionalizzata.
Tante pagine, tante idee, molti modi di comunicare, un insieme di sensibilità e anche di posizioni tra di loro diverse. Non siamo il luogo di un inesistente “pensiero unico” anarchico, siamo uno spazio aperto non solo agli anarchici, ma a coloro che si muovono su di una lunghezza d'onda critica, autogestionaria, libertaria – anche se non si riconoscono nel “progetto anarchico”.
Siamo e vogliamo sempre più accentuare il nostro carattere aperto, non-dogmatico, inclusivo. Un piccolo esempio: lo spazio che dedichiamo al Controsservatorio Valsusa, una struttura che si muove con rigore etico e di documentazione contro gli aspetti “illegali” della Tav. Un'ottica diversa da quella tradizionale degli anarchici, ma ugualmente interessante. E su “A” le porte non sono solo aperte, ma proprio spalancate per loro e le altre mille esperienze concrete di impegno e di lotta, anche se senza A cerchiata, su questa rivista che dell'A cerchiata ha fatto il suo logo e la sua identità.

Gli zingari all'Expo 2015 non ci sono. Punto. E chi se ne frega di questa gente molesta, antipatica, marginalizzata, criminalizzata, sporca? Che interesse può avere che cosa mangia questa gente, che spesso va al supermercato non passando dalla porta d'entrata ma preferisce andare sul retro e svuotare i cassonetti con il cibo buttato via perché in scadenza o con confezione leggermente danneggiata? A noi interessa.
Da almeno vent'anni abbiamo assunto come uno dei nostri temi costanti l'attenzione verso questo popolo, o meglio questi popoli. Verso la loro storia (è di 9 anni fa l'uscita del nostro doppio DVD+libretto sullo sterminio nazista), ma soprattutto la battaglia ideale e concreta per la difesa dei loro diritti negati. Questa volta dedichiamo 117 pagine al magistrale lavoro di ricostruzione storica e di ricerca del solito Angelo Arlati. “Solito” perché già due anni fa (“A” 376, dicembre 2012 - gennaio 2013) ha curato un dossier sulla lingua dei rom, con una prima parte di ricostruzione storica della loro lingua alla luce delle numerose migrazioni e una seconda parte tipo manuale per apprendere a parlarla. Questa volta, dopo una ricostruzione dettagliata delle complesse relazioni tra migrazioni, cucina delle popolazioni stanziali, loro cucina, Arlati presenta decine e decine di ricette, contestualizzandole.
Ancora una volta ci ritroviamo, non a caso, in direzione ostinata e contraria. Contro l'operazione ideologica e strumentale di Expo 2015, anche – paradossalmente – colmandone un vuoto che nessuno ha notato, come quello degli zingari. Il dossier curato da Angelo Arlati può essere anche visto come il loro padiglione negato. All'Expo trovate McDonald's, su queste pagine gli zingari. A ognuno il suo.

Libera e Libero. Libera Martignago e Libero Bortolotti sono morti recentemente. Lei, la madre, vedova di Attilio Bortolotti, a 100 anni. Lui, il loro figlio, sopra i settanta. Lei in una casa di riposo nei pressi di Toronto (Canada). Lui si è lasciato abbracciare dall'oceano, davanti alle isole Barbados dove aveva trascorso i suoi ultimi anni. Per ricordarli abbiamo scelto di parlare non direttamente di loro ma del loro (rispettivamente) compagno e padre: Attilio Bortolotti. Operaio attrezzista emigrato giovane dal natio Friuli in Nord America (prima a Detroit, Michigan, Usa, poi a Toronto, Ontario, Canada), è stato una della più belle figure che abbiamo conosciuto nei primi decenni di questa nostra avventura editoriale. Una curiosità: a 60 anni, licenziatosi dal lavoro, ebbe la ventura di fondare una piccola azienda di successo, che gli permise di contribuire generosamente a tante iniziative anarchiche (prevalentemente editoriali e di solidarietà) in tutto il mondo, al primo posto la nostra rivista. Il suo sostegno finanziario (e non solo) ci è stato di immenso aiuto e, dopo la sua morte, è stato in parte continuato da Libero, che pur senza essere (a differenza del padre) un militante ne ha sempre condiviso le idee e le fraterne amicizie ideali. Quindi è stato anche lui un amico e un sostenitore, un grande sostenitore. E nel ricordarli il pensiero corre a Libera, nata in Nord America da un anarchico trevigiano, donna di grande concretezza e solidarietà, libera di nome e di fatto, “femminista” senza etichette né fronzoli ideologici. Continuiamo anche grazie a loro, anche per loro.
E il loro ricordo si unisce e si confonde con le centinaia, le migliaia di compagne e compagni, di donne e uomini che in questo (ormai) quasi mezzo secolo ci hanno sostenuto in mille modi, sono stati parte integrante della nostra comunità, del nostro progetto umano prima ancora che editoriale.
Ci riferiamo non tanto ai nostri collaboratori, quelli che hanno scritto, disegnato, ecc., anche perché queste oltre tremila persone sono ricordate tutte, una per una, nell'elenco che trovate qui. Ci riferiamo a chi, senza partecipare alla vita “editoriale” di “A”, ci ha sostenuto finanziariamente (basta scorrere la rubrica “I nostri fondi neri”). È un mondo fatto di gente bella, generosa e idealista, spesso (diventati) amici personali nostri, un piccolo spaccato variopinto di umanità che ci ha regalato soldi, incoraggiamenti, anche critiche e proposte, ecc. Il tutto si è poi tradotto, concretamente, in un contributo alla nostra determinazione a darci dentro, a continuare, a non mollare.
A tutti costoro va la nostra gratitudine. Davvero.

Judith ed Emma. Dal Nord America, e precisamente da New York, ci è giunta la notizia della morte di una personalità unica nella storia dell'anarchismo internazionale, Judith Malina. Per oltre settant'anni tutta dentro al Living Theatre, prima con il suo compagno Julian Beck poi senza, sempre comunque con quella banda di artisti, anarchici, sognatori, nomadi che è stata quell'esperienza comunitaria prima ancora che teatrale – davvero in giro per decenni nei vari continenti, sulle strade della libertà, dell'anarchia, della nonviolenza, della liberazione sessuale.
Anche Judith e Julian sono passati dalla nostra redazione, nelle nostre case, sulle pagine di “A”. Con Julian e Judith, tante pagine di storia, di comune militanza, di teatro di strada. Un altro pezzetto di nostra storia che se ne va. Tra le 400 copertine, una è dedicata alla loro presenza in Italia intorno alla metà degli anni '70.
Un'altra donna, militante anarchica, anche lei proveniente da una famiglia ebraica dell'Europa Orientale, di cui (ri)parliamo su questo numero di “A” è Emma Goldman, di cui più volte abbiamo riferito su “A” (proprio un anno fa, nel numero estivo, un bel dossier a più voci). Questa volta il nostro interesse si incentra sulla questione “sessuale”, sulle relazioni e la cultura di genere: Emma (morta nel 1940) è stata una donna assolutamente “all'avanguardia”, precedendo di vari decenni la sensibilità che poi ha fatto e fa parte del femminismo. E non a caso il femminismo d'oltreoceano l'ha riscoperta e ne ha fatto quasi una propria icona. Sono pagine in gran parte storiche, quelle che presentiamo. Ma di un'attualità sorprendente.

La copertina è stata concepita e realizzata da Cristina, new big entry tra i nostri collaboratori. Quando ci ha proposto di riprodurre tutte le 400 copertine nello spazio della copertina e del retro, abbiamo pensato che fosse simpaticamente matta. Invece... Dalla nostra collaborazione nasce, coordinato con la copertina, un poster 50 x 70 che contiene ancora una volta tutte le 400 prime copertine di “A”. Un poster che già nasce cult. Lo presenteremo sul prossimo numero di “A”, con tutte le informazioni per acquistarlo.
Cristina ha poi realizzato anche la comunicazione relativa alla festA400 di Massenzatico (27-28 giugno). E se il buon giorno si vede dal mattino, ci darà una bella mano in altri progetti. Intanto ci piace ringraziarla da queste colonne. Si chiama Cristina Francese. Quindi merci.
Della festa riferiremo sul prossimo numero, il 401, che uscirà a fine settembre con data “ottobre 2015”.
La vita continua, questa rivista anche. Possiamo vederla come una storia di comunicazione libertaria, di opposizione al potere, di collegamento tra esperienze di segno libertario, come uno strumento di lotta contro l'ingiustizia e i diritti negati. A nostro avviso, “A” è, ha cercato e cerca di essere anche questo. E altro ancora. Ma, a mio avviso, può essere vista anche come una collettiva, grande storia d'amore.
Buona estate.

Paolo Finzi