rivista anarchica
anno 45 n. 400
estate 2015


potere

Il futuro è già qui

di Andrea Papi


Le politiche economico-finanziarie odierne stanno guidando la popolazione mondiale verso derive distopiche.
Tecnologie e metodi sofisticati vengono proposti per aumentare l'automazione in tutti gli ambiti della vita umana, incrementando il controllo e limitando l'autonomia.
Per assoggettarci e costringerci ad agire seguendo percorsi obbligati.


Siamo completamente immersi in una trasformazione allo stesso tempo antropologica, tecnologica, culturale ed esistenziale. Ma facciamo fatica a renderci conto della sua reale entità. Oppressi quotidianamente dai problemi che ci costringono a subire siamo portati a supporre che siano gli unici veri, non i più impellenti per noi. Di conseguenza indirizziamo i nostri sforzi per esserne travolti il meno possibile. Eppure per una comprensione dei veri profondi problemi che spietatamente ci attanagliano e un avvio di soluzione, dovremmo uscire dall'apatia intellettuale e dal nichilismo della coscienza che ci avvolgono, per immergerci nell'avventura di comprendere come si muove il contesto che c'imprigiona e quale orizzonte si dispiega al nostro sguardo.
Il presente è già futuro – Il futuro non è più quello di una volta – Il presente è già passato, non sono più slogan solo ad effetto. Esprimono una realtà viva che ci sentiamo addosso, che già viviamo emotivamente, ma di cui abbiamo una percezione confusa, facilmente molto imprecisa. Che ne siamo consapevoli o no ci troviamo tutti all'interno di una mutazione epocale, la quale progressivamente, con sempre maggiore velocità, sta cambiando qualità delle relazioni, modi di essere, collocazioni sociali, proiezioni immaginative, orizzonti prospettici. Siamo già nel futuro senza esserci fino in fondo.
Stanno uscendo saggi, studi, articoli che da diversi punti di vista affrontano le mutazioni che si stanno verificando e gli impatti, né indolori né irrilevanti, che hanno cominciato a generare. Mi soffermerò brevemente su alcune tematiche particolarmente significative.
Visetti su “La Repubblica” dell'8 maggio riporta che la Cina ha ufficialmente annunciato che sta ultimando la prima fabbrica al mondo «operaio zero». Il 90% della massa lavorativa umana sarà sostituita da un esercito di robot, 1600 su 1800, mentre per ora si salveranno circa 300 tra programmatori, addetti ai software e manager. Il governo regionale del Dongguan ha dichiarato che nei prossimi tre anni è deciso a spendere 150 miliardi di euro per sostituire gli operai con i robot. Sono convinti che l'esempio sarà seguito dai più importanti distretti industriali cinesi. Pure il destino di manager e impiegati è in fase terminale, dal momento che hanno l'intenzione di affidare ai computer anche decisioni strategiche e gestioni. Il “potere all'informatica” dunque! Siamo al di là del futuro, siamo già in pieno nella fantascienza.
«Il potere si concentra nelle mani di chi controlla la programmazione e noi rischiamo di diventarne sudditi inconsapevoli», afferma in modo esplicito Nicholas Carr in La gabbia di vetro (Raffaello Cortina Editore). Il problema che sottolinea è che sempre più gli algoritmi guidano le operazioni fondamentali, dal pilotaggio aereo alle transazioni finanziarie, sostituiscono mansioni intellettuali ed anche manuali, fino a decidere quali contenuti possano essere esposti in rete. Ma più che renderci stupidi, l'automazione ci sta rendendo meno capaci di agire in autonomia, «...è che la stiamo progettando in modo stupido. Così, invece di darci la possibilità di espandere le nostre prospettive e conoscenze le sta rimpiazzando, rendendo le nostre vite più semplici, ma meno soddisfacenti e interessanti... non esistono algoritmi neutrali: sono persone a programmarli, coi loro interessi e i loro difetti». (intervista di Fabio Chiusi, “Repubblica” 15 maggio)
Sempre su “Repubblica” (16 maggio 2015) Federico Fubini ci avverte che il governo danese «...ha proposto una misura che forse in futuro verrà ricordata come il punto di non ritorno; nel 2016 commercianti e imprese avranno diritto per legge di rifiutare pagamenti in monete o banconote di carta o in metallo... sarà obbligatorio saldare con un mezzo elettronico se richiesto da chi incassa.» È “l'inizio della fine” dell'uso del denaro concreto, quello palpabile che fruscia fra le dita. È l'inizio del dilagare del denaro virtuale, che non percepiremo più attraverso i sensi, come ogni altra cosa, ma che verrà accuratamente registrato in server appositi e potrà apparire solo sottoforma di cifre sugli schermi dei computer e dei cellulari.
Sempre in questa rivista avevo accennato a una tale prospettiva para/finanziaria in “Euro e antieuro” (“A” 390, giugno 2014) scrivendo: «Nel 2040, o giù di lì, saremo pienamente entrati nell'era post-monetaria. Il denaro non si userà più perché ogni acquisto ci verrà addebitato, senza neanche accorgercene, direttamente sul conto personale aperto sullo smartphone, oppure identificandoci pupille, impronte digitali e impronte facciali con tecniche biometriche. Pagheremo tutto non con monete tradizionali, come euro o dollari, ma con monete virtuali emesse da Google o Facebook, oppure con crediti accumulati attraverso le spese su Amazon o i Tunes.» Era lo scenario prospettato dall'esperto di finanza Sorkin sul “New York Times” del 3 aprile, di cui riferiva Rampini. Il denaro come lo conosciamo è destinato a scomparire. Ora non è più solo uno scenario prospettato, ma ormai una realtà vera e programmata.
Due gigantesche tendenze dunque hanno già cominciato a prendere corpo: scomparsa dell'operaio umano sostituito da robot e informatica, scomparsa del denaro come mezzo di scambio sostituito dall'uso massificato di strumenti informatici. Non potremo più spendere neanche un centesimo senza essere controllati e registrati, se non addirittura indotti. Probabilmente se spenderemo in modo non gradito ai “domini della rete” verremo redarguiti e sgridati a dovere, non escludendo sanzioni e induzioni per “riportarci sulla retta via”. Il tutto ingabbiato dentro una programmazione gestita da computer e algoritmi che, come afferma giustamente Nicholas Carr, ci farà diventare molto più “sudditi inconsapevoli” di quello che già siamo.

La rivoluzione dei potenti

Al di là delle nostre volontà, in moltissimi casi delle nostre consapevolezze, siamo pienamente nel tritacarne di una rivoluzione in piena regola. Non è quella dei nostri sogni e delle nostre aspirazioni utopiche però. Al contrario una vera e propria rivoluzione del potere, che sta affinando il suo dominio per assoggettarci definitivamente, approntando tecnologie e metodi sofisticati in grado di annichilire ogni velleità ribellistica, ogni aspirazione emancipatrice. Ci avvolge e c'impasta, tentando di renderci intimi complici del nostro servaggio, creando condizioni oggettive e imprescindibili capaci di costringerci ad agire in percorsi obbligati e obbliganti. È infatti sempre più inesistente ogni possibilità di muoversi diversamente.
Dovrebbe essere chiaro che non abbiamo più a che fare con un nuovo re o una nuova borghesia, con le loro sedi e i loro palazzi, né con strutture e classi egemoni dipendenti da bisogni di profitto o di comando, tutti identificabili e colpibili.
Non più sistemi organici, strutture, apparati, mostri individuabili chiaramente dall'altra parte della barricata, che si potevano combattere e contrastare in modo diretto attraverso cuore, forza e intelligenza. Il nuovo Leviatano è una rete avvolgente, sia seduttiva sia obbligante, che ci sovrasta e c'induce, che agisce in modo concreto attraverso sistemi virtuali e “liquidi”, per dirla alla Bauman. Puoi solo esserne incluso senza poterlo abbattere, conquistare o gestire, tanto meno avversare lottando secondo gli schemi, ormai classici stereotipati e obsoleti, della lotta di classe e della rivoluzione.
Personalmente mi sembra d'identificare un'unica grande possibilità per sperare di non essere sopraffati da questo mostro soffocante e avvincente. È quella di sottrarsi alle sue spire, creando spazi e luoghi dove approntare e sperimentare modalità di relazione inclusive non soggette alle spirali finanziarie, dove ciò che conta e dà senso sono la condivisione, la solidarietà, la reciprocità, la mutualità, accompagnate da un rifiuto condiviso dell'appropriazione egoistica, del cinismo sociale e dei muri identitari che tendono ad escludere e sottomettere invece di accogliere e facilitare l'aiutarsi l'un l'altro.
In fondo i sistemi di dominio imperanti sono sempre di più immensi “non luoghi”, che si realizzano attraverso scialbe massificazioni schiacciate da leaderismi medio-informatici e dipendenze totali da sistemi informatizzati anonimi. Noi dobbiamo ricreare luoghi veri che non siano dipendenti da protesi virtuali i cui effetti fondamentali sono sudditanza involontaria e completa mancanza di autonomia.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it