rivista anarchica
anno 45 n. 404
febbraio 2016


Rudolf Rocker/3

Davanti alle macerie della guerra

di David Bernardini


Con questo terzo articolo si conclude la serie di scritti che ha analizzato alcune delle posizioni di Rudolf Rocker che costituirono occasione di acceso dibattito all'interno del movimento anarchico internazionale.
In questo testo, al centro la rinascita del movimento anarchico in Germania dopo la seconda guerra mondiale.


Nulla è più pericoloso che la fede in una razza, in una nazione, in una classe sociale, in un partito.
Simone Weil

L'accusa collettiva nei confronti del popolo tedesco riguarda infatti l'obbedienza in absurdum, l'obbedienza anche in quei casi in cui la disobbedienza sarebbe l'unica cosa umanamente legittima.
Ma in fin dei conti non è questa stessa obbedienza l'aspetto che caratterizza il rapporto dell'individui con l'autorità in tutti gli stati del mondo?
Stig Dagerman

Nel 1946 il quotidiano svedese “Expressen” commissionò a Stig Dagerman una serie di reportage sulla condizione della Germania dopo il crollo del regime nazista e la fine della seconda guerra mondiale. Questi articoli vennero successivamente raccolti e pubblicati in un libro tradotto in italiano con il titolo “Autunno tedesco” (Dagerman, 2007). Dagerman era uno scrittore, anarchico sin dalla gioventù e legato a quella parte della Germania che si era opposta a Hitler, dato che la sua compagna era Annemarie Götze, un'esule anarchica tedesca. Durante la sua permanenza in Germania (dal 15 ottobre al 10 novembre 1946), Dagerman si concentrò sulle drammatiche condizioni materiali in cui versava la popolazione tedesca, intendendo ciò come il primo passo per comprendere quello che si agitava all'interno di quest'ultima. In “Autunno tedesco” si trovano anche alcune righe dedicate ai “sinceri antifascisti” tedeschi, definiti come i “più delusi, più disorientati e più sconfitti (...) le rovine più belle della Germania, ma per il momento altrettanto inabitabili” (Dagerman, 2007, pp. 28-29).

Gli anarchici tra le macerie

Alla fine della seconda guerra mondiale, la Germania era ridotta in macerie, sia in senso letterario sia in quello figurato (Stowasser, 2007, p. 429). Alcuni storici hanno definito i gruppi della sinistra indipendente sorti dopo il crollo del Terzo Reich al di fuori dei due principali partiti, quello socialdemocratico e quello comunista, come una “sinistra apolide”, destinata ad essere polverizzata nell'ambito della Guerra fredda. Gli anarchici tedeschi si trovavano nella stessa situazione, essendo al tempo stesso “estranei” e “vittime” del confronto tra i due blocchi (Degen, 2002, p. 31). D'altronde, gli spazi d'azione politica si erano ristretti drasticamente all'interno di tutto il panorama europeo segnato dall'aprirsi della Guerra Fredda, tanto da far apparire l'elaborazione di una posizione autonoma una faccenda decisamente problematica.
In Germania le poche centinaia di attiviste e attivisti libertari sopravvissuti si ritrovarono in una situazione drammatica, privi di mezzi di sostentamento in città ridotte in macerie e in un paese occupato dagli eserciti vincitori. Il regime nazista e il conflitto mondiale erano riusciti a spezzare qualsiasi continuità organizzativa e politica (Degen, 2002, p. 34), i contatti tra militanti di località diverse si erano interrotti da anni e i principali esponenti del movimento ai tempi della repubblica di Weimar (1919-1933) erano morti o in esilio (Bartsch, 1972, p. 96).
Nell'ultimo volume delle sue memorie pubblicate nel 1952, Rudolf Rocker ricordava che negli anni del secondo dopoguerra una delle sue funzioni più utili nei confronti dei compagni rimasti in Germania consisteva, paradossalmente dato che abitava negli Stati Uniti, nel mettere in contatto i sopravvissuti tra loro. Le condizioni dei trasporti e delle vie di comunicazione erano infatti tali che, ancora alcuni anni dopo la fine del conflitto, attivisti che abitavano a poche decine di chilometri di distanza non sapevano nulla gli uni degli altri (Rocker, di prossima pubblicazione, p. 558).
Il futuro appariva dunque quanto mai incerto. Nella sua corrispondenza privata, un anarchico berlinese, un certo Wartenberg, esprimeva tutta la sua amarezza, notando che: “mai ci siamo trovati così senza speranza di fronte all'aspirazione di andare avanti come nel momento in cui si trovarono due grandi visioni del mondo in lotta per la conquista del futuro”. Non c'era nessun nuovo inizio, insomma, e la Germania del secondo dopoguerra non era nient'altro che uno spettacolo deprimente, concludeva cupo l'anarcosindacalista Fritz Linow (Degen, 2002, pp. 33-34).
La rassegnazione, l'assenza di ricambio generazionale e la conseguente tendenza all'invecchiamento, il riemergere di vecchie polemiche che avevano già frantumato il movimento negli anni Venti erano tutti fattori negativi che rendevano ancora più difficile la riorganizzazione del movimento libertario in Germania. Per di più alcuni militanti, pur di tornare in attività, avevano scelto di aderire al partito socialista e a quello comunista. Altri, prostrati dalla prigionia, decidevano di rinunciare definitivamente all'attività politica, mentre le amministrazioni delle potenze occupanti sfavorivano la rinascita di gruppi politici indipendenti (Degen, 2002, p. 35).
Alle difficoltà materiali si univa un generale disorientamento, tanto più che agli anarcosindacalisti sopravvissuti non sembrava possibile far rivivere quella Freie Arbeiter Union Deutschlands (FAUD) [Libera Unione dei lavoratori tedeschi] di cui avevano fatto parte ai tempi della repubblica di Weimar. Alcuni studiosi hanno sostenuto a questo proposito che nel secondo dopoguerra agli anarcosindacalisti restavano ben poche alternative: o rimanere fermi sulle loro posizioni e condannarsi così alla marginalizzazione, oppure rivedere radicalmente i loro principi, adeguandosi ai tempi, oppure dissolversi (Wayne Thorpe-Marcel van der Linden, 1999).
Nonostante le difficoltà, iniziarono lentamente i primi tentativi di riorganizzazione soprattutto nella parte occidentale della Germania, poiché nella zona di occupazione sovietica divenne ben presto impossibile condurre qualsiasi autonoma attività politica pubblica. Alla fine del maggio 1947 poté così nascere a Francoforte la “Föderation freiheitlicher Sozialisten” (FFS) [Federazione dei socialisti libertari], la quale si presentava come la prosecuzione della FAUD, pur riuscendo a raggruppare solamente una piccola parte dei suoi vecchi attivisti. Nel 1948 la FFS poteva infatti contare solamente circa quattrocento militanti (Degen, 2002, p. 86).

Dresda (Germania), 1945 - La città dopo i bombardamenti.
Nel 1933 Hitler aveva dichiarato: “Datemi quattro anni
e non riconoscerete più la Germania”
La proposta di Rocker

Rudolf Rocker aveva partecipato per via epistolare dagli Stati Uniti al percorso costitutivo della FFS. Inoltre, su invito di diversi esponenti del movimento tra cui Helmut Rüdiger, Rocker aveva scritto una brochure di 36 pagine dal titolo “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” [Considerazioni sulla condizione della Germania], nella quale sintetizzò le sue riflessioni riguardanti i compiti dell'anarchismo tedesco nel secondo dopoguerra. Finito di scrivere nel gennaio 1947, l'opuscolo venne pubblicato grazie all'impegno dell'anarcosindacalista Sveriges Arbetares Centralorganisation (SAC) [Organizzazione centrale dei lavoratori svedesi] e dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT), venendo diffuso in Germania a partire dal giugno 1947. Il ruolo di questa brochure non deve essere esagerato, poiché non sembra costituire né una sorta di documento fondativo della FFS, come è stato affermato (Graur, 1988, p. 310), né uno spartiacque che divise anarcosindacalisti disponibili ad una revisione ideologica da anarchici fedeli alla tradizione (Bartsch, 1972, pp. 108-117). Più semplicemente, le riflessioni di Rocker si inserivano nel percorso inaugurato dalla fondazione della FFS, approfondendo differenze già delineatesi in precedenza.
All'interno di “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland”, Rocker tracciava una visione molto ampia e ambiziosa, che sembrava porsi la prospettiva di ridisegnare la fisionomia futura dell'anarchismo, tedesco in primo luogo ed europeo più in generale, per renderlo capace di agire sul presente. Il suo ragionamento prendeva le mosse dalla constatazione che tra gli anni Trenta e Quaranta si era verificata la più grande rottura di tutti i tempi e perciò non si poteva pensare di “rincominciare esattamente là dove noi abbiamo smesso 13 anni prima”, poiché “sotto montagne di cadaveri e campi di macerie (…) un vecchio mondo è stato seppellito” (Rocker, 1978, p. 5). La fine del “vecchio mondo” poneva dunque agli anarchici compiti immani, sosteneva Rocker, in primo luogo la ricostruzione e il miglioramento delle drammatiche condizioni materiali della popolazione tedesca poiché, citando Heine, “nelle masse affamate entra solo la logica della zuppa con le ragioni dello gnocco” (Rocker, 1978, p. 30). In altre parole, come annotava negli stessi mesi anche Dagerman, non si poteva pretendere nessuno sforzo etico e politico da chi pativa quotidianamente la fame.
Gli anarchici dovevano quindi farsi elementi attivi all'interno della società tedesca, mettendo alla prova i loro progetti, dato che “con i soli discorsi non si va avanti” (Rocker, 1978, p. 20). Rocker sottolineava a questo proposito di essere “della convinzione che noi abbiamo bisogno di un nostro movimento, per poter rappresentare i nostri modi di vedere” (Rocker, 1978, p. 13). Ciò non implicava assolutamente la ricostituzione della FAUD, poiché, in una Germania ridotta ad un ammasso di rovine, una pura politica sindacale non avrebbe avuto nessuna possibilità di successo (Rocker, 1978, p. 10). Al contrario, secondo Rocker era necessario, dinanzi a nuovi compiti, darsi una nuova forma organizzativa e una nuova prospettiva politica: “cosa io ho in mente è una lega di federalisti libertari”, in grado di attirare nuovi aderenti nelle proprie fila e di collaborare, senza tradire i propri ideali, con altre forze, portando “i suoi modi di vedere in nuovi ambienti, dove possano avere feconde ripercussioni”. Il modello di Rocker era quella “Lega dei Federalisti” fondata da Kropotkin a Mosca dopo il suo ritorno in Russia (Rocker, 1978, p. 13).

Nuove idee per un nuovo mondo

Rocker sosteneva che il movimento libertario così organizzato doveva promuovere un nuovo inizio per la Germania e per l'Europa, se non per il mondo intero, avendo come fine “una riorganizzazione della loro vita sociale su basi completamente diverse” (Rocker, 1978, p. 19). “Una Germania federata”, osservava Rocker speranzoso, “è la prima pietra per una federazione dei popoli europei e quindi per una federazione mondiale” (Rocker, 1978, p. 35). La prospettiva era quindi la costruzione di un nuovo mondo fondato sui principi di un socialismo libertario e federalista, “unico mezzo per impedire l'accumulo di potere nelle mani di una piccola minoranza e per togliere il terreno a ogni politica di potenza verso l'interno e l'esterno” (Rocker, 1978, p. 19). Rocker individuava il terreno prediletto per l'azione dei libertari nei municipi, i quali costituivano “le cellule da cui può scaturire una vera riorganizzazione delle condizioni sociali” e da cui poteva iniziare la ricostruzione su basi differenti (Rocker, 1978, p. 21). Era un errore tuttavia ritenere che i municipi stessero lì, ad aspettare gli anarchici, pronti per essere utilizzati in base ai propri scopi di libertà e uguaglianza sociale. Al contrario, Rocker invitava quest'ultimi a lavorare al loro interno per aprire nell'azione quotidiana nuove prospettive (Rocker, 1978, p. 24). Ciò doveva essere compiuto anche nei sindacati che si andavano ricreando, nelle cooperative e nei consigli dei lavoratori (Rocker, 1978, pp. 28-29) .
Rocker conosceva la situazione tedesca non per esperienza diretta, ma filtrata dalle lettere che riceveva. Si era così fatto l'idea che una Germania distrutta fosse inadatta per la ricreazione dei vecchi sistemi politici autoritari (Rocker, 1978, p. 24), tanto da ritenere che il paese fosse diventato una sorta di spazio vuoto, in cui i municipi potevano muoversi piuttosto liberamente e divenire il motore della ricostruzione, dato che “l'intera amministrazione sociale del paese sta oggi quasi soltanto nelle mani dei municipi” (Rocker, 1978, p. 19). Alcuni membri della FFS, come Gustav Leinau e Willi Jelinek che pure avevano apprezzato la brochure di Rocker, evidenziarono l'inconsistenza di tale prospettiva, poiché la centralizzazione politica in Germania nel 1947 era già in una fase avanzata ed era impossibile condurre un'iniziativa autonoma nei municipi ponendosi al di fuori dei partiti (Degen, 2002, pp. 103-104; Bartsch, 1972, p. 116).
“Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” andava tuttavia al di là del caso particolare tedesco, proponendo una riflessione che si inseriva nel solco inaugurato precedentemente da Rocker e che aveva trovato espressione anche in “Nazionalismo e cultura” (Rocker, 1977). Infatti quest'ultimo individuava nelle pagine della brochure un problema fondamentale in quel modo di pensare, dominante anche all'interno del movimento socialista, tendente ad identificare una causa e quindi a ricercare una soluzione. Si trattava secondo Rocker di una logica astratta e autoritaria, che portava alla centralizzazione politica e alla logica della delega nei confronti di una sola persona o di una piccola minoranza.
Questo meccanismo di ragionamento così assolutizzante e totalizzante era ciò che aveva portato l'Europa alla rovina, poiché “nulla è più pericoloso che la credenza in una verità assoluta” (Rocker, 1978, p. 6). Non era mai possibile, continuava Rocker, uniformare la realtà ad un unico principio astratto: “la reazione inizia lì dove si tenta di riportare la vita ad una norma precisa”. Astrattezza, logica totalizzante, credenza assoluta in un'unica idea, queste erano le cause, secondo Rocker, per cui “i rivoluzionari di ieri così frequentemente diventano i reazionari di oggi” (Rocker, 1978, pp. 6-7).
Questa riflessione costituiva in un certo senso la base sulla quale poggiava la proposta federalista di Rocker, tesa, mi sembra, in primo luogo a garantire la pluralità e la multiformità di progetti, di soluzioni e di idee, combattendo così quell'ossessione pericolosa e liberticida per l'unità a tutti i costi: il socialismo “non assumerà ovunque le stesse forme”, ma solo quelle più funzionali alle diverse situazioni (Rocker, 1978, p. 24). Gli anarchici tedeschi dovevano in altre parole farla finita con tutto ciò che era stata la Germania in precedenza, non solo dal punto di vista politico, con quella tradizione militarista e autoritaria sviluppatasi ininterrottamente da Bismarck a Hitler, ma anche dal punto di vista culturale e filosofico più generale. “Noi dobbiamo imboccare una nuova via”, concludeva Rocker, “noi dobbiamo liberarci delle scorie del nostro passato”, poiché “l'ora di tutti è anche la nostra ora” (Rocker, 1978, pp. 35-36). Il movimento libertario doveva quindi avere la forza di porre le basi per un nuovo inizio anche, e forse soprattutto, tra le macerie del regime nazista. Nell'immediato, l'opuscolo consigliava agli anarchici rimasti in Germania di rinunciare a qualsiasi rapporto con i partiti e di dotarsi di un giornale e di una casa editrice, cosa che si realizzò negli anni successivi, con la fondazione del mensile Freie Gesellschaft (successore di Die Internationale) e della casa editrice Verlag Die Freie Gesellschaft.
Il movimento anarchico si divise sui contenuti della brochure. Se esponenti come Rüdiger, autore tra l'altro di un'entusiasta prefazione allo scritto (Rocker, 1978, pp. 3-4), sostennero le tesi di Rocker, le quali vennero apprezzate e discusse anche nell'ambito della FFS, altri mossero dure critiche. Gli attacchi più aspri giunsero dall'Internationalist Bakunin-Group [Gruppo internazionale Bakunin], che riuniva i vecchi collaboratori della rivista War Commentary, di cui aveva fatto parte anche quel Vernon Richards che aveva polemizzato con Rocker per la sua posizione di fronte alla seconda guerra mondiale (Cheptou, 2008). Nell'agosto 1947, John Olday scrisse sul giornale Freedom un duro articolo all'interno del quale Rocker veniva tacciato di riformismo, accusato di voler porre gli anarchici al servizio del governo militare e accostato a Churchill nel suo sostegno all'idea di un'Europa federata (Bartsch, 1972, p. 113). Da parte sua, l'anarcosindacalista Augustin Souchy mosse nella sua corrispondenza privata una critica indiretta alla brochure di Rocker, osservando di avere nei mesi precedenti rinunciato a scrivere qualcosa sulla Germania “poiché mi dissi che noi fuori, all'estero, non siamo capaci di giudicare correttamente la situazione” (Degen, 2002, p. 104).

La famiglia Götze. Foto tratta da Dieter Nelles, Ulrich Linse,
Harald Piotrowski, Carlos García, Deutsche AntifaschistInnen
in Barcelona (1933-1939). Die Gruppe “Deutsche
Anarchosyndikalisten” (DAS)
, Graswurzelrevolution,
Freiburg, 2013
Alcune osservazioni sparse

La discussione su “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” si esaurì nel giro di qualche tempo, mentre le attività della FFS andarono faticosamente avanti fino alla fine degli anni Cinquanta, soffrendo soprattutto l'assenza di una partecipazione giovanile. All'inizio di quel decennio, Rocker scrisse al riguardo che “i vecchi compagni dovranno contare sulle proprie forze e portare avanti, da soli, la difficile lotta finché nel movimento non ritorni il fermento di una nuova gioventù, (...) questo tempo verrà, perché lo spirito della libertà, l'amore umano e la collaborazione solidale sono sempre risultati più forti dell'alito viziato della reazione e di tutte le prigioni della tirannia” (Rocker, 1952, p. 570). La profezia di Rocker in un certo senso si avverò diversi anni dopo, alla fine degli anni Sessanta, ma questa è un'altra storia.
Con questo pezzo si conclude la serie di tre articoli dedicati a Rudolf Rocker. Tentando di esplicitare il loro senso generale, posso dire che le intenzioni iniziali consistevano nella volontà di parlare di questa figura, poco nota in Italia ma di grande importanza e interesse per la storia dell'anarchismo internazionale, nei suoi aspetti meno rassicuranti e più controversi. Se la storia serve a qualcosa, trovo che questo non sia né la celebrazione né la semplice messa in mostra della propria erudizione in una sorta di onanismo intellettuale autoreferenziale, come purtroppo spesso accade in alcuni studi, completamente chiusi nella loro gabbia di costrizione accademica, ermetici ed estranei nei confronti del mondo circostante. Bisogna ricostruire e aiutare a capire figure, fatti, idee, processi, ma trovo necessario cogliere anche tematiche significative per il presente e magari stimolare ulteriori domande e riflessioni. In questo senso Rocker ha costituito l'occasione per affrontare un tema decisamente più ampio, quello cioè delle scelte degli anarchici di fronte all'eccezionale, a ciò che non è previsto e spesso non preparato, che scombussola e sembra mettere in dubbio idee e prassi consolidate. Perciò ho scelto di prendere in esame i casi della rivoluzione russa e delle sue conseguenze, della seconda guerra mondiale e della ricostruzione della Germania dopo il 1945. Da questa prospettiva, Rocker è stato un ottimo punto di osservazione poiché mi sembra che abbia sempre cercato di spingere la sua riflessione un po' più in là, oltre il consolidato, alla ricerca di soluzioni in grado di rendere l'azione degli anarchici efficace nel presente e suscitando allo stesso tempo vivaci discussioni. Questo aspetto della figura di Rocker venne messo in luce anche da Ugo Fedeli nei suoi articoli su “Volontà”, pubblicati negli anni Cinquanta (Fedeli, 1953-1954).
Ciò che più mi ha incuriosito è insomma quello che si potrebbe definire lo “sguardo” di Rocker: attento, problematico e problematizzante al tempo stesso, mosso dal continuo tentativo di aggiornarsi, di “stare sul pezzo” si potrebbe dire (male), non senza prendere posizioni discutibili e sonori abbagli. D'altronde, per trasformare l'esistente non esistono mappe certe, ma solo tentativi di tracciare una rotta contro e fuori questo presente di dominio.

David Bernardini

Le due puntate precedenti sono apparse in “A” 401, ottobre 2015 (”Aderire o sabotare?”) e in “A” 402, novembre 2015 (“Il rifiuto del totalitarismo”)


Bibliografia
Rudolf Rocker, gli anarchici tedeschi e il Reich

Günther Bartsch, Anarchismus in Deutschland. 1945-1965, vol. I, Fackelträger, Hannover, 1972.
Gaël Cheptou, La liberté par en bas. De l'anarcho-syndicalisme au pragmatisme libertaire, “À contretemps”, (2007), n. 27.
Stig Dagerman, Autunno tedesco, Lindau, Torino, 2007.
Hans Jürgen Degen, Anarchismus in Deutschland 1945-1960. Die Föderation Freiheitlicher Sozialisten, Klemm & Oelschläger, Ulm, 2002.
Ugo Fedeli, Rudolf Rocker. La sua opera e il suo pensiero, “Volontà”, (1953-1954), nn. 6-7, n.8, n. 11, n. 12, n. 1, n. 2, n. 3.
Mina Graur, An “Anarchist Rabbi”. The Life and Teachings of Rudolf Rocker, Tesi di dottorato, Houston, 1988.
Rudolf Rocker, I pionieri della libertà, edizioni Antistato, Milano, 1982.
Rudolf Rocker, Nazionalismo e cultura, edizioni Anarchismo, Catania, 1977.
Rudolf Rocker, Die Möglichkeit einer anarchistischen und syndikalistischen Bewegung... Eine Einschätzung der Lage in Deutschland, Verlag Freie Gesellschaft, Frankfurt, 1978.
Rudolf Rocker, Evoluzione e involuzione (1918-1951), Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli, Milano, di prossima pubblicazione.
Horst Stowasser, Anarchie! Idee – Geschichte – Perspektive, Nautilus, Hamburg 2007.
Wayne Thorpe-Marcel van der Linden, Aufstieg und Niedergang des revolutionären Syndikalismus, “Zeitschrift für Sozialgeschichte des 20. und 21. Jahrhunderts”, (1999), n. 3, pp. 9-38, disponibile presso il sito: http://www.wildcat-www.de/material/1999_syn.htm.