Dal Cile alla Val Bormida/ Io, esule
L'11 settembre del 1973 per il popolo cileno è stata la pagina più nera di un processo rivoluzionario stroncato nel sangue mettendo fine alle aspettative di giustizia e libertà dei lavoratori, delle donne, degli studenti, dei contadini, dei minatori. Tutto un popolo intero è stato mandato giù negli abissi dai militari con a capo il genocida Pinochet che ha guidato per ordine e per conto dei gringos del nord.
Io ho partecipato a quel processo politico in prima persona e mi sono trovato due volte in un campo di concentramento dove ho visto morire centinaia di persone assassinate dai militari. Non c'era distinzione, i nostri compagni e le nostre compagne sono stati trucidati a migliaia. La resistenza del popolo cileno è stata eroica ma non sufficiente a fermare la carneficina; d'altra parte, all'epoca il mondo era diviso in due blocchi e noi ci trovavamo in quello gestito dagli americani. La Russia e i paesi dell'Est non ci hanno aiutato per niente, tantomeno i comunisti; hanno lasciato che ci massacrassero e poi in maniera molto cinica hanno lanciato una campagna internazionale a sostegno della resistenza del popolo cileno.
Io in quel periodo ho perso un fratello, mitragliato alla fermata di un autobus insieme ad altre persone. Dopo un periodo di resistenza e clandestinità sono riuscito a uscire dal Cile perchè per me non c'era più possibilità di continuare la resistenza. Ho lasciato la mia terra pensando che prima o poi sarei riuscito a rientrare, ma questo non mi è stato possibile. Sono venuto in Italia come profugo politico, ma una volta che mi sono trovato qui ho capito che anche questa mia idea di ritornare nella mia terra non era possibile. È stato allora che ho deciso, a metà degli anni Settanta, di integrarmi totalmente alle lotte degli italiani.
Per quaratun anni ho lottato in questo paese a fianco dei lavoratori, delle donne, dei centri sociali e sopratutto ho partecipato molto attivamente alle lotte ecologiche a Massa Carrara (MS) contro la Farmoplant Montedison e anche a Cengio (SV). Ho sostenuto diverse campagne di solidarietà a favore delle resistenza del popolo cileno durante la dittatura, anche nei confronti del popolo Mapuche. Sono riuscito a portare all'attenzione degli italiani la dura repressione che subiscono i Mapuche nel territorio cileno. È vero che sono tanti anni che sono in questo paese, ma di tutto quello che ho fatto, per cui ho lottato e per cui lotto ancora oggi non ho rimpianti e non cambierei assolutamente nulla di quello che ho fatto. Oggi sono molto impegnato in una lotta che ormai dura da cinque anni contro le multinazionali dei rifiuti e contro il Terzo Valico.
Anche da qui dalla Valle Bormida posso continuare a portare avanti le stesse idee libertarie per le quali mi sono battuto in Cile. Chi lotta contro l'ingiustizia e per la libertà con la coscienza che quello che fa è giusto, a favore del popolo, può ritenersi un uomo libero e cittadino del mondo, senza chiedere permesso a niente e a nessuno. No pasaran!
Vicente Taquias Vergara (“Urbano”)
ascolace@gmail.com
Cattolicesimo e trucchi/ A proposito di confessione, indulgenza giubilare, ecc.
Sacrosanto (senza offesa...) quanto dice Francesca Palazzi Arduini
su “A” 404
e “A” 405
nella sua rubrica “Controsservatorio Giubileo”.
Gioco facile quindi per me aggiungere solo una chiosa breve, ma credo importante per svelare il trucco che sta dietro la “magia” della misericordia giubilare. Trucco che – come da manuale – sta sempre là dove nessuno guarda, ovvero... sotto gli occhi di tutti.
Pur facendo continuamente riferimento alla “indulgenza giubilare”, da nessuna parte, né nella Misericordiae Vultus, ovvero la “Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia”, né tantomeno nella lettera che papa Bergoglio scrive a monsignor Fisichella in qualità di Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione – quindi, per capirci, “amministratore delegato” del Giubileo –, si chiarisce cosa questa indulgenza sia nel concreto. Ci si limita a dire cosa bisogna fare per “acquistarla” (una volta si diceva “lucrarla”).
Bisogna allora rivolgere lo sguardo da un'altra parte, ad esempio al sito del SIR, il Servizio di Informazione Religiosa (che detto così fa tanto CIA e KGB), per vedere che la definizione più attuale data all'indulgenza si può leggere nella Costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina, redatta da papa Paolo VI nel 1967, nella quale – fra le altre cose – si fa chiaramente riferimento alla “dottrina sul Purgatorio”. Sì, esatto: quel posto imprecisato dell'aldilà, dove le anime dannate (ma non troppo) devono stare per tanto tempo quanto è lunga la pena corrispondente ai peccati commessi in vita. Luogo, ovviamente, costruito (teologicamente, s'intende) a bella posta proprio nello stesso periodo in cui venivano messi insieme i pezzi della dottrina delle indulgenze e, di conseguenza, dei giubilei.
So che questa rubrica non è il posto più adatto dove fare della teologia, ma se si vogliono capire i trucchi, qualche elemento va spiegato. Brevemente: l'uomo commette il tal peccato, che va espiato; questo implica sia la colpa che la pena: alla prima ci pensa la “grazia di Dio”, la seconda invece tocca all'uomo. All'inizio bastavano il pentimento e la confessione (prima pubblica poi auricolare, ma non divaghiamo), poi però la Chiesa ha capito che il verbo “amministrare”, riferito alla giustizia per conto di Dio, poteva essere declinato in molto modi... e che più a lungo durava la pena (quindi anche dopo morti), più magari c'era caso che il peccatore fosse disposto a pagare subito una multa e conciliare (altro verbo di verificata pertinenza ecclesiastica). Insomma, dal ministro (di culto) all'amministratore il passo è breve, e per passare meno tempo a espiare (in Purgatorio, appunto), bastava fare una gentile offerta.
Anche oggi, naturalmente, l'offerta è ben gradita. Ma tutto il resto viene invece tenuto adeguatamente nascosto, per non fare la figura di quelli che, mentre scrivono post su Facebook e si fanno selfie con i fedeli adoranti, sono nei fatti ancora fermi “al medioevo”... Eppure, almeno teologicamente (ma i credenti ci hanno mai capito qualcosa di teologia?), è rimasto tutto fermo a secoli fa. E il bello è che, in tutto questo tempo, c'è un sacco di gente che, il trucco, non l'ha mica ancora capito!
PS: Ma scusa, il Purgatorio non era stato abolito? No, quello era il Limbo, che, adesso che i bambini che muoiono appena nati sono solo musulmani, non serve più e porta solo via del posto.
PPS: Non a caso si è detto che l'Inferno è vuoto. Mica il Purgatorio...
Andrea Babini
Forlì
Dopo Nizza/ Tutti gli altri si chiamano Mohamed...
Il massacro di Nizza ha suscitato una reazione unanime che mette in luce le condizioni in cui si trova la nostra presunta democrazia: scagliarsi contro il capro espiatorio, lo Stato islamico. Eppure il Mohamed di Nizza non segue il ramadan, dice ai vicini di casa di non aver niente a che fare con il Corano, picchia la moglie ecc. E quando si reca in un'agenzia per noleggiare un camion con il quale avrebbe commesso il massacro del 14 luglio, evidentemente premeditato, perché doveva pur aspettare quella data fatidica, lo noleggia soltanto fino al 13, a rischio, quindi, di dover riconsegnare il veicolo prima di agire.
Date queste premesse, come si può sostenere che si tratta di un islamista, di un salafita, un professionista del terrorismo, un esperto lupo solitario di Daesh? È soltanto uno psicopatico, un puro e semplice psicopatico (e ce ne sono!). Assomiglia più ad Andreas Lubitz, il pilota di German Wings suicidatosi sotto l'influsso degli antidepressivi, che ai carnefici fascisti dello Stato islamico. Eppure, nessuno tra i politici o tra i media francesi o stranieri ha respinto la semplicistica assimilazione populista: Mohamed = Stato islamico. Questa è la vera lezione del massacro di Nizza: a ogni presunto attentato scivoliamo sempre più verso un fascismo e un razzismo cui aderisce la quasi totalità del mondo politico e mediatico.
Purtroppo, commentatori che non sanno niente del terrorismo né della violenza dissennata si impadroniscono dell'argomento. In una società in decadenza che non sa più dove sono i propri valori più autentici, la buona creanza suggerisce di esprimere l'orrore provato di fronte a un simile massacro.
Sì, questo tizio è pazzo. L'azione che ha commesso, come quella di Andreas Lubitz, è orribile ed è propria di un individuo che non ha trovato altro mezzo per esprimere le proprie esacerbate sensazioni di malessere e di mania di grandezza (nel significato psicologico del termine, vale a dire un'idea delirante di megalomania), se non quello di trascinare a morire con sé il maggior numero possibile di persone.
Prima di tutto, faccio notare che la società non è innocente in materia, perché, in ultima analisi, è la società che provoca l'isolamento degli individui in una sorta di grande fiera del consumismo selvaggio; ed è sempre la società che crea di fatto l'incapacità delle persone a entrare in relazione le une con le altre se non tramite i media, in particolare mediante gli smartphone e i social network, il che implica che, per “avere il proprio quarto d'ora di notorietà”, come proclamava Andy Warhol, l'unico strumento che trovano certi psicopatici è l'omicidio di massa; infine sono i media a conferire a questo tipo di azioni una ripercussione planetaria, il che rende desiderabili le suddette azioni agli occhi degli psicopatici, di cui l'America, ogni settimana o quasi, ci fornisce un tipico e deplorevole esempio.
La società non è “colpevole”, non si tratta di questo, ma è responsabile di quello che essa è nel suo profondo, e azioni come quella che si è verificata a Nizza il 14 luglio la dicono lunga sullo stato in cui si trova. La nostra società funziona in base a tre valori fondamentali: il denaro, il potere e la violenza. Non capire ciò è il modo migliore per andare verso un numero sempre più alto di orrori, che si fanno sempre più quotidiani e comuni, come avviene attualmente negli Stati Uniti.
Il massacro di Nizza dimostra anche che, di fronte all'orrore, le persone che si ritengono dotate di maggiore razionalità perdono immediatamente ogni senso critico. Tutti si sono buttati sulla tesi, peraltro falsa, del lupo solitario salafita. Reagendo in questo modo a caldo e in maniera del tutto irresponsabile, ci avviciniamo sempre più a una dichiarazione di guerra – perché la prossima guerra tra le nazioni europee sarà dichiarata, come sempre, per effetto di uno choc, le cui ripercussioni saranno sapientemente orchestrate da media estremisti.
Tutti i commentatori del 14 luglio sono caduti nell'inganno brillantemente riassunto dal ministro dell'Interno dello Stato francese: “Siamo in guerra”. Menzogna assoluta, perché noi siamo in guerra soltanto perché l'autore dell'orrore si chiama Mohamed, dunque è bollato come salafita fanatico dello Stato islamico. Se questo pazzo si fosse chiamato Andreas e fosse stato un pilota di German Wings, sarebbe stato soltanto un folle suicida; analogamente, il pazzo di Nizza avrebbe potuto chiamarsi Jules, Pedro o Giovanni senza essere accusato di essere un terrorista... Ma un Mohamed dà luogo immediatamente a uno story-telling: siamo in guerra contro lo Stato islamico, secondo le stravaganti affermazioni del ministro.
Purtroppo, il vero “evento” del 14 luglio si colloca in un luogo diverso dalla triste Promenade des Anglais. Infatti, ora sappiamo che, anche se viene commesso un attentato che non ha niente a che vedere con i salafiti, sarà attribuito a questi ultimi se l'autore si chiama Ali, Mohamed o Yasmina. I politici e gli addetti ai media francesi sono diventati una formidabile fonte di diffusione del razzismo, e coloro che combatteranno tale stupido razzismo dovranno stare in guardia: verranno subito schedati e nessuno penserà a loro in un futuro prossimo, il futuro della Francia dei “centri di accoglienza”, contro i quali ci batteremo solo quando sarà troppo tardi.
Non è così che si onorano le vittime di Nizza, la maggior parte delle quali, come gli abitanti di questo paese, erano certamente persone di buon senso e non dei mezzi matti che vedono la guerra ovunque.
È davvero la guerra quello che vogliamo?
Philippe Godard
Arbois (Francia)
philippe.godard@autistici.org
traduzione di Luisa Cortese
Dopo
l'uscita di Bobo/ Libere reazioni
A Sergio Staino, dal 17 settembre ufficialmente direttore de
l'Unità, abbiamo proposto di commentare quanto
da noi pubblicato sullo
scorso numero in merito alla fine della sua collaborazione
con “A”. Ci ha inviato questa vignetta, che abbiamo
girato a Roberto Ambrosoli: Anarchik, quindi, non perde l'occasione
per intervenire.
Pestaggi & simili
Novità
politico-giudiziarie sui casi Giuseppe Uva (Varese) e
Stefano Cucchi (Roma). Rinvio dell'udienza finale nel
processo del caso Francesco Mastrogiovanni (Cilento).
Una foto anche per ricordare il nostro impegno a continuare
a seguire queste vicende tragiche ed esemplificative di
violenza, menzogne, coperture.
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Roma/
L'Idea compie 20 anni e precisa che...
Cari compagni,
nell'inviarvi il comunicato per i 20 anni della Biblioteca L'Idea,
cogliamo l'occasione per segnalarvi che nel penultimo numero
di “A” (409 estate 2016), nell'elenco dei partecipanti
all'incontro Ficedl 2016 a Bologna, la Biblioteca L'Idea viene
erroneamente citata col nome Un'Idea, associandole al contempo
l'esatto sito internet di Biblidea.
Crediamo che non vi sia bisogno di ricordarvi che il nome proprio
della Biblioteca è L'Idea, ma abbiamo comunque
pensato di farvi notare la svista al fine di non generare confusione
nei lettori.
Grazie per l'attenzione e, se volete pubblicarlo, vi alleghiamo
il comunicato dei 20 anni Viandanti.
A presto.
Per la Biblioteca L'Idea
Roberta
biblidea@bastardi.net
L'idea in festa: 20 anni viandanti
20 anni trascorsi da quel maggio del 1996 in cui, dopo circa
un semestre di incontri ed elaborazione tra alcune individualità
anarchiche con differente vissuto politico, la Biblioteca L'Idea
annunciava pubblicamente la sua fondazione inviando un comunicato
alle redazioni di giornali e riviste del movimento anarchico,
nel cui ambito si colloca, nella lotta contro ogni forma di
potere e nella imprescindibile compenetrazione di mezzo e fine.
L'intento era quello di gestire collettivamente l'accessibilità
al patrimonio storico - politico precedentemente raccolto in
forma individuale nell'Archivio Internazionale di Controcultura
del Movimento Operaio. Contemporaneamente si voleva sviluppare
la distribuzione, in modo sia fisso sia itinerante, di materiali
specificatamente di matrice anarchica e antiautoritaria, nonché
ristampare vecchi scritti ed editarne di nuovi.
Si scavalcò poi il millennio con il trasloco da Centocelle
alla storica sede del Pigneto in Via Braccio da Montone 71a,
dove dal 1985 varie realtà anarchiche si erano succedute;
nel 2003 vi fu l'apertura della serranda accanto, attrezzata
anche per la cucina, esclusivamente vegan e a libera sottoscrizione.
Nel 2011 l'inaugurazione dello Spigolo sul crocicchio tra Via
Braccio da Montone e Via Fanfulla da Lodi apre possibili nuove
prospettive con una disponibilità maggiore, seppur sempre
contenuta, di spazio fruibile da chi voglia condividervi proposte
e iniziative con modalità e tensione antiautoritarie.
Quindi tra varie vicende e peripezie, gioiosi entusiasmi, compiante
perdite e necessarie rigenerazioni, la propensione de L'Idea
si è rivelata nelle attività e nelle forme comunicative.
Le rassegne ‘'Caca ad arte che conCinema'' proiettate
in funambolici nessi; le presentazioni di testi storici o di
pulsante attualità; le Merende Rigeneranti, percorsi
di conoscenza verso il ritrovamento di una dimensione empatica
nella natura, contro la delega medica e gli specialismi imposti
dal dominio; le tante iniziative non meramente ludiche, perché
pur nella propria leggerezza non vogliono perdere mai profondità
di messaggio.
Sfuggente ad attitudini accademiche, ma tesa ad approfondire
e risaltare l'intensità dei contenuti. Risoluta nel mantenere
saldo il principio di non compromissione con il dominio, ma
non dogmatica nella sperimentazione di relazioni antigerarchiche.
Punto di incontro ed anche possibilità di confronto tra
esperienze, età e azione variegate.
L'Idea dissacrante e refrattaria ad ogni diktat, istigatrice
di dubbio ma ostica all'equivoco.
L'Idea antieconomica, a fare i conti con l'affitto della sede,
resistente a lusinghe dell'inglobamento “radicultural
chic” ed a facili risoluzioni commercial folcloristiche,
in uno dei vecchi quartieri che da popolare è diventato
modaiolo, secondo il corrente dettame obbligatoriamente consumistico
di trasformazione urbana che, con la forzosa e pretesa “riqualificazione”,
rafforza il sistema di sfruttamento, controllo e incanalamento
di menti e corpi.
L'Idea a festeggiare 20 anni tra amici e compagni che la riconoscono
e tra cui si riconosce, tra affini e simpatizzanti che, infestandosi,
vogliono sostenerla. In un epoca in cui il dominio ci vorrebbe
paralizzati dalla paura e dalla rassegnazione, l'estro e la
passione di questi 20 anni saranno incoercibilmente dinamici.
Quindi questi festeggiamenti non avranno confini spaziotemporali,
ma si rinnoveranno a tappe in date e luoghi diversi tra realtà
che esprimeranno la volontà di ospitarli nel piacere
della complice solidarietà.
Potevamo ondeggiare sul limite di un grande evento...
scegliamo di tuffarci nell'eccesso delle eventualità!
Biblioteca L'Idea
Roma
Dibattito pedagogia libertaria.3/ La tutela necessaria
In seguito alla pubblicazione sul numero estivo del dossier
Scuole pubbliche
non statali e... (“A” 409, estate 2016),
sullo scorso numero sono state pubblicate due lettere di Alberto
Piccitto e Paolo Masala (Dibattito
pedagogia libertaria.1/ Dar voce a chi vi lavora, “A”
410, otttobre 2016) e di Philippe Godard (Dibattito
pedagogia libertaria.2/ Fiducia nella comunità di bambini
e adulti, “A” 410, ottobre 2016).
Qui di seguito, l'intervento al dibattito di Giulio Spiazzi.
Come accompagnatore libertario impegnato da oltre dieci anni
in varie situazioni di comunità auto-educanti in quel
di Verona - ove, dal vuoto pneumatico assoluto delle origini,
si sono create realtà educative concrete, collegate al
territorio e volte a durare il più possibile nel tempo
- ritengo che ciò che stanno sottolineando Alberto Piccitto
e Paolo Masala, a parer mio coraggiosamente, con il loro intervento
(“Dibattito pedagogia libertaria.1/Dar voce a chi vi lavora”,
sullo scorso numero, pp. 120-121) riguardante il dossier sull'educazione
libertaria, pubblicato questa estate da A Rivista, mette in
rilievo un punto fondamentale della pratica di relazione tra
le parti coinvolte nel processo educativo, ovvero la tutela
del lavoratore e della lavoratrice agente nel contesto di queste
esperienze. È dato oggettivo infatti che gli esclusi
di cui parlano, per la maggior parte delle volte, siano in realtà
«invisibilmente» presenti fisicamente, proprio nei
numerosi incontri che avvengono durante l'anno da un capo all'altro
della Penisola, non come portatori dei loro diritti di lavoratori/lavoratrici
(anche se, a onor del vero, nella stragrande maggioranza delle
riunioni a cui ho partecipato pur io, si sono praticamente sempre
trovati momenti dove trattare tra accompagnatori la sempre spinosa
questione degli «inquadramenti economici, legislativi
in materia di lavoro, ecc.»).
Le domande che gli estensori della lettera pongono con chiarezza,
legittimano comunque una futura, auspicabile, reale esposizione
viso a viso, aperta al confronto, da parte di chi quotidianamente
vive in prima persona tali esperienze educative e sottolinea
che questa possibilità di riflessione passa in secondo
piano nel mezzo della mole ciclopica di discorsi, scambio di
informazioni, spiegazioni di teorie e di pratiche legati inevitabilmente
ai momenti d'approfondimento diciamo «pedagogico».
Dunque, sì, eccome! Bisogna con forza chiedersi come
dare sempre più voce a coloro che lavorano in queste
realtà di ricerca educativa libertaria e mettere sempre
più sul tappeto le condizioni in cui questo lavoro, spesso
ammantato di ideologia, si svolge e con quale qualità
d'elementi a disposizione.
Saltando a piè pari l'aspetto “missionario”
che coinvolge notoriamente chi anima, almeno a livello di lavoratore/lavoratrice
e non di dirigente, gli ambienti dediti al sociale, citati nella
lettera, e non prendendo minimamente in considerazione quelli
di carattere fascistoidi-criminali, che chiaramente appartengono
alla galassia dell'abuso «nudo e crudo» visibile
od occulto, è fondamentale che le tante piccole cooperative
«che credono in quello che fanno» (per il bene di
tutti/e i lavoratori e le lavoratrici aderenti ad un percorso
irto di ostacoli come quello del tentativo di dar vita e di
mantenere il più a lungo possibile un cammino condiviso
di educazione libertaria), siano e rimangano vigilanti nel tempo,
nei confronti di qualsiasi tipo di sfruttamento, conscio o inconscio
(interiorizzato tramite appunto l'appello giustificativo dell'ideologia)
e che questo venga radicalmente reso inattuabile, anche tramite
la sindacalizzazione della forza lavoro. Ed è giusto
e intimamente corretto, per rifarsi alle parole di Piccitto
e Masala, che nessuna dimensione lavorativa in grado di non
garantire condizioni d'ambiente, salariali e di orario lavorativo
già in partenza dignitose debba essere accettata, subita,
lasciata latente e non combattuta.
Ecco perché, a mio umile parere, per chi voglia intraprendere
un percorso di crescita educativa e ancor più culturale,
di sentire libertario, diventa prioritario ed antecedente a
qualsiasi motivazione ideale, mettere sul piatto della «scelta»
questa indicazione prima, radicale, coerente nel fine/mezzo.
Giulio Spiazzi
Verona
Parlando
di Chiapas
(magari con Orsetta)
Dal
n. 391 (estate 2014) al n. 403 (dicembre 2015/gennaio
2016), con la sola eccezione del n. 402 (novembre 2015)
la nostra rivista ha ospitato una serie di “lettere
dal Chiapas”, con testi e foto di Orsetta Bellani.
Queste corrispondenze costituiscono la base di un volume
appena edito dalla casa editrice anarchica siciliana La
Fiaccola, con il titolo Indios senza re. Conversazioni
con gli zapatisti su autonomia e resistenza (Ragusa,
2016, pp. 120, € 13,00).
Oltre alle sue “lettere”, ci sono la prefazione
di Aldo Zanchetta, un'intervista a Raúl Zibechi
e una alla Commissione di Educazione del Caracol 4 di
Morelia (Chiapas, Messico).
Il libro si può richiedere a info@sicilialibertaria.it;
allo stesso indirizzo si può scrivere per proporre
presentazioni tra la metà di dicembre e la fine
di gennaio 2017.
Si invitano gli interessati a scrivere al più presto
in modo da poter organizzare al meglio la serie di
conferenze.
|
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni.
Filippo Trasatti (Cesate – Mi) 50,00; Francesco
D'Alessandro (Sesto San Giovanni - Mi)) 430,00; Gigi
Melchiori (Maserada sul Piave – Tv) 30,00; Settimio
Pretelli (Rimini) ricordando Antonio Tarasconi, 20,00;
a/m Graziano Gamba (Rezzato - Bs), gli anarchici bresciani
ricordando Ivan Guerrini, 500,00; Paolo Papini (Roma)
100,00; Roberto Solati (Venezia) 20,00; Giancarlo
Di Bello (Turi- Ba) 10,00; Aurora e Paolo (Milano)
ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00;
Claudio Neri (Arezzo) 50,00; Giuseppe Ideni (Forcoli
– Pi) per versione Pdf, 5,00; Ugo Fortini (Signa
– Fi) ricordando Milena e Gasperina, 30,00;
Massimiliano Froso (Neirone – Genva) per versione
Pdf, 4,00; Pino Fabiano (Cotronei – Kr) ricordando
Spartaco/Fuser, 10,00; Juri Caglioni (Vezia - Svizzera)
100,00. Totale € 1.805,00.
Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo
anche le quote eccedenti il normale costo dell'abbonamento.
Per esempio, chi ci manda € 50,00 per un abbonamento
normale in Italia (che costa € 40,00) vede registrata
tra le sottoscrizioni la somma di € 10,00.
Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo
di cento euro). Giovanni D'Ippolito (Casole Bruzio
– Cs); Patrizio Quadernucci (Bobbio –
Pc). Totale
€ 200,00.
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