lotte sociali
Nuovo capitalismo e vecchia guerra di classe
di Cosimo Scarinzi
Le recenti lotte dei rider/fattorini di Foodora, “liberi professionisti” a 5 euro l'ora. In bicicletta nel centro trafficato della metropoli. E il ricordo delle storiche lotte dei ferrovieri, lo scorso secolo. Riflessioni sulle nuove forme di sfruttamento. E di rivolta.
In occasione di un convegno sindacale svoltosi recentemente a Firenze lo stesso Ezio Gallori, storico esponente del sindacalismo radicale nelle ferrovie, mi ha fatto dono di un suo libro “Sindacati in ferrovia: nascita vita e morte di un sindacato alternativo, il COMU”, dove COMU sta per Coordinamento Macchinisti Uniti, un'organizzazione sindacale, appunto, dei macchinisti che, in particolare negli anni ‘80 dello scorso secolo, ha giocato un ruolo importante nelle vicende sindacali in Italia.
Un libro di memorie più che, in senso proprio, di storia come ci ricorda opportunamente nella prefazione, Giorgio Sacchetti, utilissimo se vogliamo che l'esperienza proletaria nella sua molteplice varietà di manifestazioni non vada persa. D'altro canto, in forme diverse quell'esperienza ha lasciato traccia, si è evoluta in quella di CUB RAIL, giornale dei macchinisti della CUB che, nel titolo, si richiamano ai Wobbly e che nella loro bandiera riprendono il rosso-nero del sindacalismo libertario e rivoluzionario.
Se, tornando al COMU, guardiamo la sua tessera, scopriamo che riporta l'immagine di Augusto Castrucci, un importante esponente del sindacalismo libertario nelle ferrovie dall'inizio del secolo scorso alla metà del secolo, presidente onorario del Sindacato Ferrovieri Italiani, accompagnata dalla frase “Augusto Castrucci. Un esempio di vita e dell'impegno sindacale nelle lotte dei macchinisti e dei ferrovieri (1872/1952).
Un'occasione dunque per riprendere il filo della memoria e dell'identità di classe, nella consapevolezza che l'azione sindacale libertaria non è solo questione di tecnica sindacale e di azione immediata, è anche questo ovviamente, ma si nutre di identità, narrazione, per certi versi mito a cui è funzionale la memoria dei militanti, delle lotte, delle vittorie e delle sconfitte passati.
Nello stesso convegno, nello stesso tempo, la riflessione si appuntava su di una lotta di oggi, su di una piccola lotta dallo straordinario interesse, quella dei rider, meglio sarebbe dire dei fattorini per smontare la narrazione apologetica dell'azienda, di Foodora a Torino e (sta prendendo le mosse mentre scrivo queste righe) a Milano.
Da una parte una comunità operaia stabile nel tempo, che ha costruito e consolidato cultura, identità, organizzazione, dall'altra dei “non lavoratori”, con un contratto da liberi professionisti, viste le retribuzioni una definizione oltre i limiti del ridicolo, presentati come ragazzi che, nel tempo libero, visto che amano andare in bicicletta fanno consegne a domicilio di pizze, cibo, ecc. in cambio di una retribuzione di cinque, sì cinque, euro all'ora e che l'azienda vuole portare a 2,70 euro a consegna.
Sulla lotta di Foodora mi permetto di citare un mio articolo
sul numero del 16 ottobre scorso del settimanale Umanità
Nova “Foodora et labora” (http://www.umanitanova.org/2016/10/16/foodora-et-labora/)
che ne tenta una prima, parziale ricostruzione. Peraltro basta
usare un motore di ricerca per trovare una massa imponente di
informazioni su questa lotta.
Vorrei, nelle righe che seguono, provare a sviluppare una riflessione più generale, se vogliamo più astratta, su questo tipo di lotte e sulla relazione con la memoria e l'identità.
Un'ondata di solidarietà
Per certi versi lo sciopero dei rider/fattorini di Foodora è una lotta “chimicamente pura” al punto da fungere senza troppi sforzi da modello per un paradigma. Come si è detto, i fattorini, nella narrazione diffusa dall'azienda, non sono lavoratori, sono liberi professionisti pagati mediante voucher; è esclusa in partenza ogni possibilità di azione, di contrattazione nemmeno a parlarne, collettiva. Ognuno di loro viene convocato per le consegne mediante messaggi, opera con un mezzo proprio, a rigore non ha alcuna relazione con gli altri che svolgono la medesima attività.
Per soprammercato, la loro attività viene presentata come un modo per occupare gradevolmente il proprio tempo libero, poco ci manca che debbano pagare per la possibilità che dà loro l'azienda di intrattenersi gradevolmente per le strade della bella Torino. I fattorini, inoltre, non vendono solo un servizio, vendono anche il logo dell'azienda mediante un abbigliamento vagamente ridicolo costituito da una giacchetta viola visibilissima.
A un certo punto, di fronte alla pretesa di imporre un pagamento a cottimo che li immiserirebbe ulteriormente, i fattorini entrano in lotta e rovesciano la situazione.
Usano massicciamente la rete suscitando un'ondata di solidarietà, inventano il drappo, dello stesso colore dell'abbigliamento aziendale, col il motto “Foodora et labora”, circolano per la città comunicando la loro rivolta, denunciano le loro reali condizioni di lavoro.
Insomma, il re è nudo, non un'azienda che offre occasioni di reddito a giovanotti e giovanotte spensierati ma un'impresa capitalistica multinazionale che, secondo il più classico degli schemi, leva la pelle sino a quando può ai suoi dipendenti usando la “modernità” tecnologica per imporre condizioni lavorative analoghe a quelle dei braccianti, italiani o immigrati, nelle campagne dalla Sicilia al Piemonte.
Rovesciamento di prospettiva
Quindi la forza della lotta sta nel costruire orgoglio e identità, nel comunicare bene e rapidamente, nel rovesciare la narrazione aziendale e tutto in tempi brevissimi. Da una parte, i ferrovieri, dunque storia, memoria, organizzazione e dall'altra, i fattorini, innovazione, scoperta, spontaneità?
Credo sarebbe questa una lettura riduttiva e parziale, accanto alle ovvie differenze vi sono elementi comuni, sia nel senso che nella metropoli iperindustriale dove il lavoro invade tutto il tempo di vita al punto da pretendersi non lavoro, il conflitto si dà come nella fase di sviluppo del capitalismo sia in quello che centrale è il rovesciamento del discorso dominante e la costruzione di una narrazione che susciti entusiasmo in chi lotta e solidarietà con chi entra in relazione con la lotta.
Fatte ancora una volta le debite differenze, possiamo pensare alla massicce lotte dei lavoratori della logistica, ai processi di autoattivazione che hanno determinato, al rovesciamento di prospettiva per il quale l'anello debole della classe operaia, gli immigrati, sono divenuti una vera e propria avanguardia sociale.
Nel caso dei fattorini di Foodora vi è, in più, la sorpresa, una volta tanto una sorpresa positiva, per la costituzione in soggetto conflittuale di una figura sociale ritenuta sia dai padroni che dall'opposizione sociale “debole”.
Un altro elemento che va considerato è il fatto che questa
lotta non è affatto priva di contenuti politici che vadano
al di là dell'immediata rivendicazione di un reddito
decente e il rifiuto del cottimo, è evidente il riferirsi
a pratiche di autorganizzazione, il rifiuto della burocratizzazione
sia della vita quotidiana che della lotta stessa, la tensione
alla generalizzazione sia verso altre città come Milano,
che verso altre categorie di lavoratori1.
Interessante, infine, è il fatto che diversi ristoranti clienti di Foodora si sono schierati a favore dei fattorini denunciando, fra l'altro, il fatto che Foodora impone loro condizioni capestro, un sostegno alla lotta magari non centrale ma utile. Si tratta, credo, di studiare con attenzione quanto avviene e, naturalmente visto che lo studio migliore delle lotte si fa partecipandovi o almeno sostenendole, operando alla diffusione del conflitto.
Cosimo Scarinzi
- Per fare solo un caso, il 14 settembre la riunione volta ad allargare a Milano la mobilitazione si è tenuta presso il Cox18 che si definisce “uno spazio sociale, occupato e autogestito dal 1976”. I collettivi che ne fanno parte rifiutano le ideologie dominanti o che vogliono dominare, rifiutano la delega, scelgono la forma assembleare per prendere decisioni ed esistere, cercano relazioni personali non strumentali, perseguono l'autogestione generalizzata, creano aggregazioni e reti di solidarietà.
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