Iran
“O il velo o un colpo in testa”
di Virginia Pishbin e Julka Fusco
La condizione legale e quotidiana delle donne in Iran è peggiorata subito dopo l'avvento al potere dell'ayatollah Khomeini nel 1979. Alla repressione del potere teocratico e maschilista in tutti i campi della vita individuale e sociale, le donne resistono per quanto possono. Anche ricordando il loro ruolo storico nelle rivoluzioni della storia persiana.
Le donne hanno avuto ruoli significativi
nei vari movimenti di rivoluzione in Iran, per almeno 150 anni:
nella rivoluzione costituzionale del 19061,
nel Movimento nazionale del Dr. Mossadeq nel 19532
e nella rivoluzione anti-monarchica del 1979, e sono state indubbiamente
le pioniere nella lotta contro il fondamentalismo islamico.
Per queste e altre ragioni, quando, mandato via lo Shah, con
un colpo di mano, i mullah hanno instaurato la cosiddetta “Repubblica”
islamica, la costruzione del “nuovo” stato si è
basata, oltre che sulla sistematica eliminazione fisica degli
oppositori al regime, su una puntuale e precisa legalizzazione
della misoginia più sfrenata.
Quando, durante la rivoluzione del 1979, le folle scendono in
strada per protestare contro la monarchia, migliaia di giovani
inneggiano alle libertà. In quel momento Khomeini sembrava
il grande liberatore del paese, prometteva benessere e libertà,
d'altra parte i Mojahedin del popolo, un gruppo di sinistra,
auspicava una maggiore partecipazione del popolo alla politica
nazionale, l'abbattimento delle severe regole riguardanti le
donne e un accesso più ampio agli spazi della democrazia.
Tuttavia, i diversi obiettivi tra Khomeini e i Mojahedin del
popolo, uniti nel comune obiettivo di rovesciare lo Shah, non
spaventavano; infatti, ci sarebbe stato un Parlamento con vari
partiti, che avrebbero espresso le varie posizioni del popolo.
Tutti fedeli alla stessa religione, ma pronti a far parte di
un gioco democratico che avrebbe modernizzato il paese tenuto
fino ad allora nell'impotenza. Così non fu. Appena Khomeini
prende il potere, si rimangia la promessa della formazione di
un'Assemblea Costituente, e crea l'assemblea dei Khobregan (in
lingua farsi: esperti), che riscriverà la Costituzione
di uno stato teocratico e tiranno. La seconda mossa sarà
un intervento sulle elezioni, che impedirà agli oppositori
ogni espressione. Nel frattempo cambia il nome al Parlamento
chiamandolo islamico, quindi a forte impronta religiosa. Coloro
che venivano indicati come nemici, cioè tutti i partiti
politici, ma soprattutto i Mojahedin del popolo, andavano annientati
per legge.
A partire dalla prima grande manifestazione del 20 giugno del
1981, a cui hanno partecipato pacificamente migliaia di iraniani,
per festeggiare la liberazione nazionale e chiedere un vero
confronto democratico, i pasdaran, ovvero il corpo militare-poliziesco
formato subito dopo la presa di potere con lo scopo di reprimere
gli oppositori, hanno sparato sulla folla. In quella occasione
rimangono uccisi molti giovani che stavano in prima fila. Segue
un rastrellamento di massa, in cui ragazzi e ragazze, anche
di 14, 15 anni, vengono issati sui cellulari e portati al famigerato
carcere di Evin e nei comithe, che di fatto sostituiscono
le questure. Lì vengono torturati e fucilati senza processo.
Dal 21 giugno del 1981 l'imperativo categorico del regime è
stato: estirpare la dissidenza, e così sono iniziate
le fucilazioni, ogni notte, di centinaia di persone. Gli aguzzini
non hanno perso tempo per sapere i loro nomi e identificarli,
le foto dei piccoli martiri venivano pubblicate sui giornali
governativi con l'invito ai familiari di andare a riprendere
la salma del loro caro, ma solo dopo aver pagato il costo dei
proiettili.
Le carceri, piene a dismisura
Il regime integralista non voleva solo eliminare i corpi degli
oppositori, ma ogni sogno di libertà in ogni angolo della
società. Le carceri iraniane, da allora, si sono riempite
a dismisura. Il numero delle vittime del regime dal 1979 a oggi,
si aggira intorno a 120000. Un dato certo, date anche le rivelazione
di Montazeri, la seconda autorità più alta dell'epoca
dopo Kohmeini, e le testimonianze dei sopravvissuti, è
che nell'estate del 1988 nelle carceri iraniane, in cui si trovavano
detenuti gli oppositori del regime, sono state giustiziate,
senza processo, ben 30000 persone, con il preciso intento di
sterminare una generazione.
L'ordine del massacro proveniva da un editto religioso di Khomeini
(fatwa) che chiedeva l'esecuzione di tutti coloro che sarebbero
rimasti fermi nel confermare la loro adesione alla resistenza,
rappresentata in larga misura dai Mojahedin del popolo. Il lavoro
fu affidato ad una commissione, i prigionieri venivano impiccati
in gruppi, a volte di 10-15 persone per volta, e poi trasportati
fuori dalla prigione con autocarri dai cassoni ribaltabili,
e sepolti in fosse comuni senza nome. Lo sterminio non ha risparmiato
donne incinte, bambini in carcere a seguito delle mamme, ragazzi
e ragazze giovanissimi. Molti parenti hanno ricevuto tra gli
effetti personali dei giustiziati anche la corda con cui è
stato impiccato il proprio caro.
A partire dal 2008 Amnesty International ha portato avanti la
richiesta che i responsabili di questo massacro venissero incriminati
per crimini contro l'umanità, ma niente è stato
fatto. Dall'agosto di quest'anno, in seguito all'emersione di
altre prove sui fatti dell'88, è partita l'iniziativa
Calling for Justice, promossa dalla Resistenza Iraniana
volta alla persecuzione, a livello internazionale per crimini
contro l'umanità in Iran, di tutti i responsabili del
massacro del 1988, che sono ancora al potere e ricoprono importanti
incarichi di responsabilità governativa: Khamenei, Rafsanjani,
Rouhani, Mostafa Pour-Mohammadi, Hossein-Ali Nayyeri, Morteza
Eshraqi, Ebrahim Raeesi.
La sottomissione, l'esclusione e l'umiliazione delle donne,
ispirate ad una degenerata ed erronea interpretazione dell'Islam,
sono le basi del fascismo teocratico che governa l'Iran da quasi
40 anni.
L'eco delle rivendicazioni delle donne durante la rivoluzione
anti-shah poteva ancora essere udita, quando, alla vigilia della
Giornata Internazionale della donna del 1979, Khomeini, fece
il primo passo nella repressione dichiarando che indossare l'hijab
(il velo) era obbligatorio per tutte le impiegate pubbliche.
Teppisti armati di mazze inviati dal governo si riversarono
nelle strade gridando il famoso grido “o il velo o un
colpo in testa”, per umiliare e terrorizzare le donne,
e la società in generale, ed aprire la strada all'applicazione
delle norme sull'abbigliamento femminile.
Vessate, discriminate, frustate, offese
Nella primavera del '79, un tribunale civile speciale sostituì
i Tribunali per la protezione della famiglia, in cui un giudice
religioso si occupa del diritto del divorzio. Sempre in questo
periodo, fu approvata una legge in base alla quale le donne
vennero private del diritto di ricoprire la carica di giudice
e tutte le donne giudici furono licenziate. Nel 1982 l'età
legale che consentiva alle ragazze di sposarsi fu ufficialmente
ridotta da 18 a 9 anni, in base a questa legge fu inoltre stabilito
un divieto per le donne sposate di frequentare la scuola senza
il consenso del marito o del padre. Sempre nel 1979 i mullah
hanno redatto una costituzione nella cui introduzione leggiamo:
“Le donne si sono riguadagnate il loro cruciale e inestimabile
dovere alla maternità e alla crescita fisica e ideologica
degli esseri umani, mentre esse stesse sono le compagne degli
uomini in ogni ambito attivo della vita”. Inoltre, il
principio 21 intitolato “Sui diritti delle donne”,
sottolinea l'osservanza degli standard islamici e ribadisce
che: “La custodia dei figli è concessa alle madri
qualificate per proteggere gli interessi dei bambini in assenza
di un tutore designato dai religiosi”. In altre parole,
i custodi del bambino sono il padre, il nonno e in assenza di
essi, solo se la madre è qualificata secondo i criteri
dei mullah, può diventare custode di suo figlio.
Passando al diritto privato, vediamo che secondo l'art. 942
del Codice civile iraniano, gli uomini possono avere diverse
mogli, sia permanenti che temporanee. Altre norme stabiliscono
che la sposa deve vivere ovunque voglia il marito. Secondo l'art.
1105 il capo famiglia è il marito e la donna non può
uscire di casa senza il suo permesso; l'art. 1117 dispone che
il marito può impedire alla moglie di esercitare qualunque
professione o mestiere contrario agli interessi della famiglia,
o ai suoi propri, o alla dignità della moglie. Se una
donna (art. 1108) si rifiuta di adempiere ai suoi doveri di
moglie, senza alcuna scusa legittima, non avrà diritto
agli alimenti e anche in materia ereditaria la discriminazione
determina che moglie e figlia acquistino la metà di quella
spettante al marito e al figlio. Una donna che intende divorziare
deve provare che sta subendo “difficoltà insopportabili”
mentre l'uomo può divorziare senza dover fornire una
giustificazione.
Il Codice penale, infine, è ispirato totalmente a questa
visione della donna come essere umano di seconda classe: ad
esempio, la testimonianza di due donne equivale alla testimonianza
di un uomo, e non viene presa in considerazione se non è
suffragata da un testimone uomo. Il prezzo del sangue di una
donna, nel caso di omicidio, punito secondo il principio della
“retribuzione”, vale metà di quello dell'uomo.
L'età minima per la responsabilità penale è
di poco meno di nove anni per le donne, di poco meno di 15 anni
per gli uomini. Lo stupro coniugale e la violenza domestica
non sono considerati reati penali. Le relazioni tra lesbiche
sono punite con 100 frustate e, in caso di quarta recidiva,
con la pena di morte. Il codice penale punisce con una multa
e col carcere le donne, e persino le bambine dai nove anni in
su, che non si coprono i capelli col velo e non seguono i codici
di abbigliamento. Questa legislazione viene regolarmente usata
dalla polizia morale per vessare le donne nei luoghi pubblici,
spesso la scusa è quella di indossare il velo in modo
inappropriato3.
In alcune università, a seguito dell'introduzione di
quote per sovvertire il numero e la proporzione delle studentesse
rispetto agli studenti, alle donne è vietato frequentare
determinati corsi. Ulteriori restrizioni sono in vigore per
quanto riguarda la presenza a eventi sportivi negli stadi. La
situazione è destinata a peggiorare, infatti, il “moderato
Rhoani”, dall'insediamento del quale, nell'agosto del
2013, si è avuta notizia di almeno 2300 esecuzioni4,
ha ordinato un piano repressivo destinato a funzionare nelle
università, dal titolo “La castità e il
velo”. Oltre a delle norme di condotta generali come evitare
di riunirsi o di ritrovarsi nel campus dell'università,
per l'abbigliamento delle donne è stabilito che dovrà
essere: semplice, lontano da mode oltraggiose, di colori non
troppo accesi. Le calzature devono essere semplici (no tacchi),
le calze sono sempre obbligatorie, gioielli e accessori ammessi
sono solo anelli nuziali e orologi. Non è permesso usare
profumi troppo forti. La lunghezza delle unghie deve essere
adeguata, non è ammesso lo smalto. È vietato l'uso
di cappelli al posto del velo, di pantaloni stretti, corti o
tagliati e di mantelli senza bottoni.
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“Le autorità iraniane hanno intensificato la repressione contro le attiviste per i diritti delle donne: equiparando all'attività criminale la campagna in favore dell'equa partecipazione delle donne in parlamento; trattando come “nemiche dello stato” le attiviste per i diritti delle donne; sottoponendole a duri interrogatori; chiudendo forzatamente i siti e le pubblicazioni sui diritti delle donne. Iran: sostenere l'eguaglianza delle donne non è un reato.” |
Il coraggio di ribellarsi
Nelle università anche i ragazzi hanno limitazioni, è proibito: usare cravatte o farfallini, pantaloni stretti o tagliati, magliette senza maniche, camicie a maniche corte; indossare collane, catene o bracciali; portare i capelli lunghi o di colore o tagli oltraggiosi. Spesso gli studenti universitari vengono sospesi per diversi semestri perché hanno ballato e le donne vengono sistematicamente frustate per aver partecipato a feste miste. Tutte le università in Iran hanno un organo di controllo nel campus, i cui membri sono approvati da funzionari del regime dei mullah per garantire che le norme reazionarie del regime non vengano violate.
Risale al 16 settembre 2016 il decreto religioso di Ali Khamenei, leader supremo dei mullah, con cui si vieta alle donne di andare in bicicletta in pubblico e di fronte ad estranei: “Andare in bicicletta spesso attrae l'attenzione degli uomini ed espone la società alla corruzione, perciò viola la castità delle donne ed è una pratica che deve essere abbandonata”.
Nonostante questa oppressione dal carattere medievale, le donne
iraniane credono ancora in un futuro di libertà, sfidano
il regime, protestano e manifestano, molte lottano nelle fila
della Resistenza, sono consapevoli che la sola fonte da cui
arriverà la sconfitta dei “demagoghi che fanno
della violenza sulle donne la loro virtù”5
sarà il loro coraggio.
Virginia Pishbin e Julka Fusco
Note
- Contro il regime dispotico degli ultimi Shah Qajar.
- Movimento volto a instaurare una monarchia costituzionale.
- Recentemente c'è stata un'ondata di aggressioni con l'acido contro le donne “mal-velate”.
- Naturalmente i numeri sono più alti, dato che questi sono i dati ufficiali del regime. Gli arresti arbitrari continuano sistematicamente, nelle prigioni le donne subiscono abusi, violenze e torture. Sono state create delle sezioni speciali per le prigioniere politiche, in cui l'igiene è a livelli infimi e le condizioni di vita insopportabili. Le malattie proliferano, anche a causa della scarsità di cibo e alle detenute non è concessa nessuna cura.
- Maryam Rajavi, presidentessa del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, in esilio.
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