rivista anarchica
anno 47 n. 414
marzo 2017


migranti

Ai confini della società

colloquio con Davide Biffi e Emilia Bitossi del Naga Har
di Carlotta Pedrazzini


Nell'estrema fascia sud di Milano si trova il Naga Har, centro per richiedenti asilo e migranti vittime di tortura. Due operatori raccontano cosa si cela dietro al sistema di accoglienza di cui molto si parla, spesso a sproposito, sui media. Meccanismi e complicazioni di un sistema perverso.


Il Naga Har, centro diurno milanese di ascolto e accoglienza per rifugiati, richiedenti asilo e vittime di violenze e torture, è un luogo periferico. In tutti i sensi. È situato all'estrema periferia sud di Milano, ai confini della città. Si trova nello stesso stabile di una scuola elementare e di una scuola di danza, ma non è direttamente visibile dalla strada. Se ci passi davanti, nemmeno ti accorgi della sua esistenza. Per raggiungere l'entrata del centro devi attraversare tutto il giardino e aggirare il grosso stabile. Solo allora puoi trovarne l'ingresso.
Il centro condivide le proprie caratteristiche con le persone che accoglie. Anche loro ai margini esterni della società, non direttamente visibili dal resto degli appartenenti alla comunità, la cui vita continua senza accorgersi di chi vive nell'estrema fascia esterna. Se non fosse per tutti quei servizi alla tivù, per i talk show urlati e per i reportage sui giornali, nemmeno ci si renderebbe conto della loro presenza.
A differenza dei “soggetti migranti”, la “questione migranti” è molto mediatizzata. Da tempo è un trending topic, un argomento popolare, su tutti i media. Ma l'assuefazione prodotta dall'onnipresenza mediatica di quest'argomento ci ha mai permesso di capire davvero le situazioni in cui vivono i migranti? E come lavorano i gruppi che se ne occupano? Raramente ho sentito parlare in prima persona i soggetti di queste narrazioni - sempre mediate - e poche volte è stato chiesto di intervenire a persone che hanno davvero il polso di quanto accade tutti i giorni, ormai da anni, sul territorio italiano.
Per capire cosa sta dietro alla generica “questione migranti” mi sono rivolta alla sezione del Naga (associazione di volontariato laica e apartitica per la tutela dei diritti dei cittadini stranieri) dedicata a rifugiati e richiedenti asilo. Il Naga Har, appunto. Un'organizzazione milanese attiva da anni nell'aiuto psicologico, medico e legale dei sans papier vittime di tortura e che fornisce un supporto nella procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
“Questo è un luogo dove le persone possono riposare e riprendersi dal lungo viaggio affrontato per arrivare fino a qui” mi dice Davide, giovane antropologo, coordinatore del centro. Mentre parliamo, un ragazzo si sta facendo un tè. Altri, una ventina, si trovano nella sala tivù. In silenzio assoluto guardano verso lo schermo. C'è la Coppa d'Africa e il Senegal sta cercando di conquistarsi la testa del girone contro lo Zimbabwe. “Ma è sempre così? Ci sono sempre solo uomini?”, chiedo a Davide. “In effetti, le donne non rimangono mai per intrattenersi. Vengono da noi solo se hanno preso appuntamento o se c'è il corso di italiano, per esempio”.
Nella stanza accanto - un'aula con dei banchi, una lavagna e tanti libri - due volontari preparano due giovani per l'udienza davanti alla commissione territoriale. In quella sede verrà deciso se riconoscere o meno il diritto d'asilo ai due richiedenti. “Gli stanno dicendo come sarà l'udienza, per fargli avere un'idea di quello che li aspetta. Che domande farà la commissione, quali documenti dovranno mostrare, ecc. È un passaggio molto delicato e cruciale per la vita di queste persone. In un solo momento possono trovarsi ad avere tutti i diritti o a non averne nessuno. Non c'è una via di mezzo”.
In una terza stanza un ragazzo si rivolge a due volontarie. Deve fissare degli incontri per ottenere tutta la documentazione necessaria per inoltrare la richiesta d'asilo. “Te l'abbiamo già detto, purtroppo non puoi fissare due appuntamenti contemporaneamente” spiegano le ragazze. Si riferiscono all'avvocato? Al medico? O a qualche ufficio istituzionale? Mi sfugge l'intero discorso, ma dagli stralci della loro conversazione mi faccio un'idea di quanto sia lungo e burocraticamente intricato il percorso per ottenere il diritto a restare e a non farsi espellere. È proprio su questo versante che agisce l'associazione milanese, cercando di aiutare i migranti nel percorso della richiesta di asilo, proponendo anche corsi, attività di socializzazione e aggregazione.

Richieste d'asilo, emergenze e denaro

Al Naga Har sono tutti richiedenti asilo. Davide mi spiega che quasi tutti i migranti riusciti ad oltrepassare le mura della Fortezza Europa per approdare in Italia sono inizialmente richiedenti asilo. Non solo quelli accolti dal Naga Har. “Non essendoci modi legali di entrare, l'unica maniera per veder riconosciuta la propria posizione nell'immediato è la richiesta d'asilo. Quindi chi sbarca a sud, o arriva dalle frontiere terrestri in altri modi, deve per forza fare richiesta d'asilo per sperare di legalizzare la propria posizione. È questo il peccato originale di questo sistema assurdo”. Un sistema di accoglienza dalle dinamiche perverse al quale il Naga, insieme ad altre realtà associative e organizzative, cerca di porre rimedio. Ma in che modo?
Emilia, volontaria del centro da molti anni, cerca di fare chiarezza sulla natura del progetto: “La premessa doverosa da fare è che il Naga non è nato per sostituirsi a quello che è un dovere dello stato di erogare determinati servizi, ma con l'intento di lottare e di far sì che quelle carenze vengano risolte”. L'obiettivo del Naga è quello di fare pressioni affinché il sistema di accoglienza dei migranti cambi radicalmente, ma senza prendere ordini dalle istituzioni statali. Partecipa a tavoli in cui sono sedute associazioni, ma anche istituzioni pubbliche. Lo fa, mi dicono, per esercitare il suo ruolo di critica e denuncia di determinate situazioni, non certo per prendere ordini o aderire a progetti istituzionali.
L'associazione, ci tengono a precisare Emilia e Davide, non è di tipo para-statale né aiuta le istituzioni facendosi carico delle loro carenze. Si tratta di un'organizzazione indipendente che per mantenersi tale ha sempre rifiutato ogni tipo di finanziamento statale: “Noi non prendiamo finanziamenti pubblici, ma solo privati. Perché non vogliamo essere condizionati. Prendere i soldi dal pubblico significa essere legati. Se loro ti danno i soldi tu hai in qualche modo le mani legate”. Da questo punto di vista, l'impronta data al progetto dal suo fondatore anarchico, Italo Siena, risulta ancora forte.
Il tema dei finanziamenti è molto spinoso e di grande attualità, soprattutto per alcuni eclatanti fatti di cronaca che hanno fatto emergere ruberie, malagestione e strumentalizzazione di quella che viene definita “l'emergenza migranti”. “Tutta l'organizzazione messa in piedi dal Ministero degli Interni per l'accoglienza dei richiedenti asilo viene appaltata a cooperative, associazioni, fondazioni, ecc. L'erogazione di denaro da parte dello stato italiano per i servizi di accoglienza parte dal Ministero degli Interni e passa attraverso le prefetture, ma può essere fatta anche dai singoli comuni. Si tratta di un'erogazione piuttosto alta, ma che in realtà non è alta per niente. Chi ben spende quei soldi per svolgere l'attività che deve svolgere non avanza niente e tra entrate e spese finisce in pari”.
Un sistema di deleghe in cui, mi dicono i due operatori, la possibilità di fare soldi sulla pelle dei migranti è reale. “Abbiamo denunciato che spesso questa erogazione di denaro da parte del Ministero degli Interni attraverso le prefetture non risponde poi effettivamente all'erogazione dei servizi. Questo naturalmente non è generalizzabile, perché ci sono cooperative che fanno un lavoro impeccabile e che a stento stanno nel budget. Va detto perché non è giusto fare di tutta l'erba un fascio”.
Non è solo la possibilità di lucrare ad essere denunciata; l'intero sistema di accoglienza attivo in Italia ormai da anni è messo sotto accusa, non solo dal Naga: “Non siamo da soli a dire questo. Ormai la stragrande maggioranza delle realtà denuncia questo sistema non funzionale, perché basato sull'emergenza. Non è un sistema organizzato e gli standard non sono omogenei”.

Cattiva accoglienza

Mancanza di progettualità, programmi eterogenei, assenza di coordinamento sono le principali caratteristiche evidenziate nell'ultimo report stilato dall'associazione, frutto di interviste a migranti e volontari dei centri di accoglienza della provincia di Milano. “Ci siamo mossi due anni fa per fare un'analisi delle associazioni e del sistema d'accoglienza prefettizia, che riguarda il 70% dell'accoglienza in Italia, sul territorio di Milano e provincia. Andando a visitarli, cercando di capire come funzionano, intervistando gli operatori e gli ospiti. Queste due tipologie di interviste ci hanno dato uno spaccato abbastanza realistico della situazione dei centri di accoglienza, di come funzionano. Da quello abbiamo tratto un report che è uscito nell'aprile del 2016”. Un quadro tutt'altro che roseo.
L'applicazione del Trattato di Dublino (che limita la libertà di movimento dei migranti, vincolandoli a rimanere sul suolo del paese europeo di approdo), che si somma all'assenza di una modalità per rimanere diversa dalla richiesta di asilo: tutto questo, mi spiega Davide, ha generato in questi anni “una serie di problemi a valanga”. L'aumento delle richieste d'asilo avvenuto proprio a causa delle caratteristiche dell'intero sistema ha portato all'ingolfamento delle commissioni e a tutto un indotto di problemi legati all'accoglienza: “È chiaro che se tutti i migranti in arrivo devono essere per forza richiedenti asilo, bisogna poi anche badare a loro durante il periodo della richiesta”, cosa che ha causato una serie di meccanismi negativi e di occlusioni dovute alle mancanze della gestione da parte dello stato. Ed è qui che si inseriscono le associazioni di volontari, negli interstizi dell'azione statale. Tutti, anche Naga Har.
A questo punto della nostra chiacchierata mi sembra di cogliere una contraddizione con quanto detto poco prima, sul progetto Naga e sulla volontà di non “tappare i buchi” dello stato; così rivolgo ad Emilia la mia perplessità. Come coniugare la volontà di non collaborare con lo stato quando, nel settore dell'accoglienza, si fornisce un servizio che si integra perfettamente con le sue politiche? Proprio quelle politiche criticate e che si vorrebbero abbattere.
Se si facesse un teorico esercizio di critica, tutto questo potrebbe facilmente essere identificato come una complicità di fatto, che permette all'attuale sistema dell'accoglienza statale di continuare ad andare avanti. “Se non ci fossimo noi del terzo settore”, mi dice Emilia, “il sistema farebbe acqua da tutte le parti”. Forse imploderebbe? Sarebbe meglio smettere di collaborare e lasciarlo andare alla deriva fino alla sua distruzione? Anche Emilia si pone questa domanda, ma di fronte a persone in difficoltà, senza diritti e senza possibilità, non se la sente di tirarsi indietro. “Io delle volte sono in crisi con me stessa, per il fatto che copro in qualche modo lo stato, perché alla fine anche noi lo copriamo, non c'è dubbio. Ma come si fa di fronte a esseri umani in estrema difficoltà? Non è che si può star lì a dire: no, scusate io non voglio coprire lo stato. Alla fine ti muovi e ti dai da fare, perché cos'altro devi fare?”.

Confini, nazioni, governi

Negli anni i governi hanno cambiato colore, ma mai l'approccio all'immigrazione; Davide lo spiega chiaramente. Sono 20-25 anni che le politiche sull'immigrazione vanno tutte nella stessa direzione: chiusura dei confini, respingimenti e accordi con i paesi di partenza per il blocco dei flussi.
È palese, quindi, come il problema non sia il partito al governo, ma le idee di nazione e di confini. Recentemente su questo tema il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato molto chiaro: “Una nazione senza confini non è una nazione”, ha affermato mentre ribadiva la necessità del muro tra Messico e USA. Non poteva esserci formulazione più onesta sulla questione. È così, i confini sono propedeutici alle nazioni. E non si potranno mai abbattere senza prima colpire il concetto stesso di nazione.
Mentre noi parliamo, per circa trenta minuti, sono almeno tre le persone che prendono posto allo sportello informativo con il loro plico di documenti; il telefono suona molte volte. “Il numero di persone che si rivolge a voi è aumentato con l'Agenda europea sulle migrazioni, l'introduzione del sistema Hotspot e i vincoli del Trattato di Dublino?”, domando ai miei interlocutori. Mi dicono che il problema non sta tanto nei numeri, quanto nella mancanza di una gestione e di un coordinamento sensato. “Non c'è una gestione intelligente, molte cose non funzionano per mancanza di intelligenza. C'è una cecità totale, gestire le cose in questo modo è talmente controproducente che ci si pone la domanda: a chi giova tutto questo?”. È naturale chiedersi a chi giova un sistema che produce migliaia di sans papier, “clandestini” secondo la denominazione corrente, persone a cui non è stata accolta la richiesta di asilo perché colpevoli di cercare “solo” una situazione migliore rispetto a quella di origine invece di scappare da persecuzioni politiche. “Nel grande, questa situazione giova a chi detiene la ricchezza mondiale; per loro più siamo una massa di disperati e meglio è. Nel piccolo, giova a chi vuol farti lavorare a due euro l'ora e a chi lucra sull'accoglienza”. Un'analisi troppo semplicistica? Sarà, ma sembra stare in piedi.
Quando me ne vado la partita è ancora in onda e la sala tivù è sempre piena. Il Senegal è passato in vantaggio e nella stanza regna il silenzio. Allo sportello c'è un altro ragazzo, diverso da quello che ho intravisto qualche minuto prima. Porge tutta la documentazione alle volontarie: “Ho anche frequentato il corso di italiano”, dice mostrando fieramente un foglio alle due ragazze.
Lascio l'estrema periferia sud di Milano con un autobus diretto verso il centro e passo in rassegna gli argomenti affrontati. La loro esperienza ha posto delle questioni importanti, che forse si impongono ogni volta che si traduce in pratica un progetto astratto. La contingenza può portare a fare i conti con contraddizioni e compromessi, soprattutto in situazioni di estrema difficoltà. A quel punto la china si fa scivolosa, ma cercare un equilibrio è l'unico modo per riuscire a stare in piedi.

Carlotta Pedrazzini


Il Naga si presenta

Il Naga – si legge nella loro presentazione – è un'associazione di volontariato laica e apartitica che si è costituita a Milano nel 1987 allo scopo di promuovere e di tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti senza discriminazione alcuna; è una onlus iscritta ai registri del volontariato.
Il Naga riconosce nella salute un diritto inalienabile dell'individuo. Il contatto diretto e quotidiano con stranieri irregolari e non, rom e sinti permette di interpretarne i bisogni e di individuare risposte concrete, nonché di avanzare proposte, richieste, rivendicazioni nei confronti di strutture sanitarie e istituzioni politiche. Gli oltre 300 volontari del Naga garantiscono assistenza sanitaria, legale e sociale gratuita a cittadini stranieri irregolari e non, a rom, sinti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura oltre a portare avanti attività di formazione, documentazione e lobbying sulle istituzioni.
L'associazione non si pone in alternativa o in concorrenza con i servizi sanitari pubblici, né desidera deleghe nell'ambito di un settore che rientra tra le funzioni preminenti dello stato sociale; si propone, anzi, di estinguersi come inevitabile conseguenza dell'assunzione concreta e diretta del “problema” da parte degli organismi pubblici preposti. In un anno, vengono svolte dal Naga più di 15.000 visite ambulatoriali, oltre 800 persone che vivono nelle aree dismesse della città vengono contattate dal servizio di Medicina di Strada, centinaia sono i lavoratori di strada cui i volontari dell'unità di strada Cabiria offrono un servizio di prevenzione e riduzione del danno sanitario, centinaia sono i soggetti cui l'associazione offre tutela legale gratuita.
Dal 2001, inoltre, i volontari del Centro Naga Har prestano assistenza legale e sociale a richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura.

Naga - Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti onlus

via Zamenhof 7/A, 20136 Milano
Tel: 0258102599 – Fax: 028392927
Sito: www.naga.it – Mail: naga@naga.it.