rivista anarchica
anno 47 n. 414
marzo 2017






Carta stampata che fa rumore

È roba che si è accumulata sopra la mia scrivania in questi ultimi tempi, cose un po' arrivate per posta altre recuperate nei miei giri, non sono tutte produzioni recentissime ma non importa – mica vanno a male. Invece che realizzazioni e progetti che hanno direttamente a che fare con la musica, tipo dei cd o dischi o concerti come faccio di solito, questo mese (e il prossimo) vi segnalo alcune cose stampate che con la musica secondo me hanno comunque delle relazioni, spesso dirette.
Mi sono accorto che tutte si leggono e si guardano più volentieri mettendoci una qualche musica di sottofondo o circondandole di tappezzeria sonica. Funziona per me, dicevo, ma mi piace pensare che forse, magari, la stessa cosa rientrava un po' nelle intenzioni degli autori o almeno gli gironzolava nelle retrovie. E non è una suggestione e basta: tutte queste letture mettono in movimento gli ingranaggi del ricordo e quelli dell'immaginazione, e mi ha colpito proprio questo invito - non sempre esplicito ma in qualche modo tenue e “naturale”, affatto artificioso - a cercare un ambiente, un colore, una luce, un posto tra musiche e canzoni familiari oppure tra colonne sonore immaginarie e possibili.
Sembra che alcune di queste pagine suonino davvero, altre accendono in testa dei rumori, dei suoni d'ambiente specifici. A me è piaciuto giocare con l'immaginazione e mettermi lì a rovistare tra gli scaffali della memoria e della mia raccolta di musiche. Non ho badato troppo al fatto che le musiche “giuste” fossero produzioni indipendenti – nessun invito all'acquisto, ci mancherebbe, è tutta roba a portata di mano e di click.

Marco Sommariva

Cinquanta sfumature diverse

Comincio con un'uscita recente: è un libro misto di già conosciuto e roba nuova, un autore collaudato come può esserlo Marco Sommariva coinvolto in un esperimento editoriale in tandem con Bartolomeo Casertano, che non conoscevo prima ma che si rivela un abile disegnatore, illustratore e pittore. Il progetto è curato e stampato da Carmelo Neri di More Nocturne Books, un editore nuovo nuovo - questo è il suo primo libro, spero con tutto il cuore che ne faccia molti altri. Non faccio mistero del fatto che mi piace molto come scrive il genovese, e ve l'ho pure scritto più volte su queste pagine segnalando volentieri alcuni dei suoi lavori. Lui questo “Cinquanta sfumature diverse” dice l'avrebbe voluto intitolare “Sputami addosso una stella” ma, mi pare di vederlo con quel suo ghigno sarcastico in faccia, “avrebbe venduto molto meno”.
Marco Sommariva qui dentro offre racconti brevi, alcuni durano poche frasi, altri solo poche righe: eppure, trovate qui dentro alcune tra le pagine più suggestive che abbia scritto. Sembra che dal libro escano all'improvviso delle braccia che ti afferrano e che ti trascinano proprio dentro alle storie, ci si ritrova a galleggiarci dentro senza niente sopra cui appoggiare i piedi, come dopo un tuffo a sorpresa nell'acqua mossa e senza un salvagente, lontani dalla riva. Ogni pagina del libro ti attacca da due fronti diversi -le parole, i disegni-, il rumore arriva dopo, quasi subito, sempre a sorprenderti da sopra, da dietro, da dentro. A volte certe righe appena lette si accendono dentro in testa come fuochi improvvisi, e provi a smettere di pensare e metti giù il libro e cerchi di fare dell'altro ma non ci riesci: resti lì a bocca aperta e coi piedi inchiodati a guardare il pavimento intorno che brucia, quasi un fuoco d'erba basso e insidioso e cattivo, tanta confusione dentro, l'equilibrio andato a farsi fottere, gli appigli anche.
Oltre a Marco che scrive nel libro come vi dicevo c'è anche Bartolomeo che dipinge: mi piacerebbe vedere sul serio questi suoi disegni, le dimensioni ridotte delle pagine del libro mi seminano dentro curiosità a manciate piene e me li immagino grandi grandi, che prendono ciascuno tutta una parete. Mi piacerebbe toccarli, tutto questo rosso che urla questo bianco morbido questo oro che ti scava negli occhi questi neri ipnotici e profondissimi, accarezzarli, anche se so che non si può – mica facile che ti lascino toccare i quadri, però sarebbe bello. Stavo pensando prima che mi piacerebbe ritrovare questo, no questo, no aspetta meglio quest'altro disegno sulla copertina di un disco – ad aggiungere emozione, a risvegliare sogni, ad aprire porte.
Musiche adatte secondo me: non un singolo pezzo ma almeno due riuniti in un collage oppure una sovrapposizione oppure riducendoli in schegge e rimescolandoli, fate come va a voi. Ecco come: cercate su internet (non è difficile), c'è qualcuno che la sera del 6 maggio 1976 stava in una stazione radio da qualche parte in Friuli, aveva messo sul giradischi i Pink Floyd e c'era qualcun altro che se li stava ascoltando tranquillo. A un certo punto arriva il terremoto. Prendete adesso quella puntina che barcolla cercando di mantenersi nel solco, prendete quello spaesamento, quella sorpresa oscura senza misure né confini intorno, e sovrapponetelo o mescolatelo come sapete come potete come volete a quel David Gilmour che suona e canta da solo senza gli altri “Shine on you crazy diamond” al Meltdown Festival del 2001 (anche questo non è difficile, ci mettete un attimo a trovarlo su YouTube), poi costruiteci un loop eterno con quelle quattro note si bemolle fa do mi che hanno smaterializzato i soffitti delle nostre stanzette di ragazzi per mostrarci in sol minore la via verso le stelle. Quattro note che hanno polverizzato i muri, azzerato distanze, superato frontiere e cancellato confini. Aiuta immaginare: una sera tardi, poca luce, montagne intorno, il bosco che si muove come se sotto ci respirasse qualcuno, piano.
Da leggere e da guardare fuori di casa, lontano da tutto e da tutti. Meglio ancora se fa freddo, se nevica – aprite la finestra, sentite quell'aria che accarezza ruvida i capelli vicino alla radice e scivola sul viso, sugli occhi chiusi, sulle mani, le dita aperte, si bemolle fa do mi.

Info e contatti: More Nocturne Books, piazza Dante Alighieri 11, 64026, Roseto degli Abruzzi (Te). In rete: www.morenocturne.com, ancora in costruzione al momento in cui scrivo – tenetelo buono comunque. Quando si dice il caso: More Nocturne Books fa riferimento alla libreria Ubik che stava in centro all'Aquila, in trasferta per forza a Roseto dopo il terremoto.

Roseto degli Abruzzi (Te) - La nuova sede
della libreria Ubik dopo il trasferimento
dall'Aquila in seguito al terremoto

Perugia nascosta

Ricorderete senz'altro quella terza pagina di copertina solo qualche numero fa (“A” 410, ottobre 2016 per la precisione), si raccontava dell'Edicola 518 di Perugia, “il polo culturale più piccolo del mondo” aperto dall'associazione Emergenze. Quattro metri quadri di spazio infinito – sono parole di Antonio Brizioli, che di Emergenze è uno degli ingranaggi – Antonio che ho potuto incontrare di persona all'ultimo Libersalone di Milano, così da arrostire d'invidia per l'energia dei suoi vent'anni e la luce e la consistenza dei progetti del gruppo di cui è parte.
Andando sul concreto, vi invito senz'altro a procurarvi e leggere “Perugia nascosta”, una curiosa guida psicogeografica alla città che Emergenze ha fatto uscire l'estate scorsa. Le storie qui dentro sono così vere da sembrare inventate: ci si sofferma volentieri su incomprensioni, su tempi sbagliati, su quegli scarti di sintonia fatti di quei troppo presto oppure troppo tardi che impediscono di avvicinare capire leggere imparare sapere sperimentare.
Uno come me, che si è ritrovato a passare e ripassare da quelle parti più volte come turista controvoglia, si ritrova per le mani dei racconti singolari che rimandano ad una città sconosciuta: mi viene da pensare che ho consumato tempo e suole camminando per strade che nascondevano significati e storie, se non addirittura un sottomondo di cui ero e sono inconsapevole – la prossima volta che ci vado voglio ficcarmi il libro in tasca e rosicchiarlo ad ogni angolo, accanto ad ogni porta, seduto su ogni scalino.
In copertina c'è scritto “numero uno”: mi auguro e auguro a tutti che seguano altre pubblicazioni simili tutte volte a sussurrare segreti mettendoli in forma libera di poesia, a svelare quell'invisibile che i frettolosi e gli avidi non vedranno comunque. Mi sono ritrovato spesso a leggere questo libro in frammenti, un poco adesso e un altro poco dopo, perché mi sono accorto che è bello tenerlo a lungo tra le mani, è fatto di una carta piacevole al tatto – e guardate anche voi: ha la forma geometrica di due quadrati vicini che, una volta aperto, formano un quadrato più grande.

Per accompagnare questa lettura e prolungarne il piacere e lo straniamento vi propongo ciò che ho ascoltato più spesso in questi ultimi tempi, la composizione monumentale di Max Richter “Sleep” (ed. Deutsche Grammophon, 2015 - www.deutschegrammophon.com), un miracolo di suggestione che dura otto ore e rotti dentro cui trovo sia meraviglioso perdersi, ritrovarsi e riperdersi – io l'ho fatto spesso. Penso sia musica da non adoperare, nel senso che non c'è un preciso inizio, o dei contorni: è musica che la “accendi” e lasci che accada. Lei ha i suoi tempi, il suo respiro. Tende ad espandersi, a riempire le fessure, a volte sembra scomparire, pare proprio di vederla questa musica che si smaterializza, che lascia il posto a uno spettro di sé per poi ritornare come acqua agitata e prepotente ad allagare la stanza. Ne circolano, pubblicate dal medesimo editore, una versione ridotta lunga solo un'ora circa “From Sleep”, ed un'altra “Sleep remixes” dove alcune parti sono state sottoposte a trattamenti. Vanno bene tutte.
Ho letto che alla prima di “Sleep” nel marzo scorso al BerlinAtonal c'erano a disposizione 450 posti, a teatro invece che sedersi sulle poltrone la gente poteva stendersi su delle brandine e, volendo, dormire. D'altra parte, nelle interviste Richter ha spesso descritto la sua composizione come “una ninnananna personale”. Ma l'ha chiamata anche “un rifugio di otto ore dove ripararsi in un mondo frenetico” e soprattutto una “dichiarazione politica assolutamente esplicita” sul nostro modo di rapportarci col suono che ci circonda. Confesso che “Sleep” non mi ha fatto dormire né mi ha invogliato a farlo. Ha anzi spinto l'acceleratore della mia curiosità sul suo modo di accadere, di svolgersi, di occupare il tempo: è stato come ritrovarsi un albero piantato e cresciuto a sorpresa nel bel mezzo della testa, dove poco prima c'era solo una distesa d'erba. Ogni nota, ogni battuta, ogni pagina dello spartito una doppia valenza: foglia nuova che spunta e si allunga verso il sole, e radice che scava a trovare nutrimento ed acqua – il lavoro di entrambi a trasformarsi in vita, movimento, divenire.

Contatti: associazione culturale Emergenze, via Alessi 1, 06122, Perugia. www.emergenzeweb.it; Max Richter è raggiungibile su www.maxrichtermusic.com.
Anche qui, quando si dice il caso: aveva fatto scalpore la ricostruzione operata da Richter sulle “Quattro stagioni” di Antonio Vivaldi. Cercatene l'esecuzione su YouTube, poi ditemi se dentro la “Spring 1” non trovate tracce di Gigi Masin.

Perugia - La rivista Emergenze, l'Edicola 518 e le sue numerose attività costituiscono
un bel punto di riferimento nella vita culturale e politica del capoluogo umbro

Il silenzio dei tuoi passi

“...Parecchi anni fa passeggiavo in piazza San Marco con degli amici che vedevano per la prima volta la città. Ad un certo punto chiesi ad una ragazza cosa ne pensava di Venezia e lei rispose che era la città più brutta che avesse mai visto. (...) Venezia non si concede facilmente. Bisogna andarla a cercare e, almeno un po', meritarsela. Oltre al tragitto stazione ferroviaria / San Marco. Oltre a un inutile selfie a Rialto. Oltre l'ammasso di gente che si accalca per il solo motivo di poter dire di esserci. Venezia, quella che sogno e desidero, la si può scoprire solo imparando a guardare oltre. Così, l'ho fatta mia di notte. In quei momenti in cui si può provare a respirarla. Ho fatto mia una città che mia non è...”.
È Stefano Gentile che racconta, poche righe in coda al libro “Il silenzio dei tuoi passi” (ed. 13 / Silentes, 2016) che di parole, tra questa quasi-ultima e la copertina dov'è stampato il titolo, non ne raccoglie nessuna. Sono fotografie, sono state scattate da lui, tutte di una Venezia quasi privata, una Venezia senza sole ma non per questo senza luce. È un'oscurità strana quella di queste pagine, un non buio che suggerisce, che rivela sottovoce e sottobanco piccoli particolari e profili, tutta roba che rimane invisibile al consumo ed alla sua superficialità veloce. Come una filigrana di spirito che resta, semitrasparente quando tutti affondano i denti, strappano brandelli con il gesto cattivo malgiustificato dall'ignoranza e dal portafoglio appena riempito al bancomat, pescecani che si allontanano appena ficcata una qualsiasi cosa in pancia.

Gigi Masin

Anche questo libro fa rumore: nascosto tra l'ultima pagina e il cartoncino della terza di copertina c'è un cd con un'opera di Gigi Masin che di quella filigrana di spirito cui accennavo due righe fa offre il suono. Lui non è nuovo a dipingere il canto di Venezia: l'aveva fatto esplicitamente nelle sue “Otto prospettive veneziane” (SubRosa, 1989) delle quali si ritrova un condensato nel doppio album “Fragile, maneggiare con cura” (autoprodotto da cinquanta musicisti veneziani contro l'Expo, 1990), ed in maniera più sottile nelle collaborazioni più recenti con Mirco Salvadori (vedi ad esempio “A” 409). In questo cd ritroviamo mezz'ora di cammino senza fretta in una Venezia svuotata di turismo e finalmente restituita. Sembra che la città ti accarezzi e ti abbracci, ti danzi attorno sfiorandoti appena, ti passi leggera le dita tra i capelli – una sensazione così straniante che il cd lo lasci lì a girare in tondo ancora e ancora senza stancare mai, senza stancarti mai di questa musica che si confonde con l'aria che respiri e porta nutrimento al tuo sognare.
Ancora, ma non so se è davvero un caso: sul sito di Emergenze, i perugini raccontano di quella Venezia di notte che i frettolosi e gli avidi non vedranno mai (http://www.emergenzeweb.it/2016/02/midnight-in-venice).

Contatti: www.silentes.it, www.gigimasin.com.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it