Dibattito Mamme No Inceneritore/ Protagonismo nelle lotte o circonvoluzioni linguistiche?
In “A” 412 (dicembre 2016/gennaio 2017) abbiamo
pubblicato uno scritto delle Mamme No Inceneritore (“Una
storia di donne e di anarchia”) appunto sulle loro
lotte ecologiste. Sullo scorso numero (“A”
414, marzo 2017) Marvi Maggio è intervenuta criticamente,
a partire dal nome stesso del collettivo. Perché Mamme
e non Donne? Questo l'interrogativo critico di Maggio, che già
in quella scelta coglieva un cedimento inaccettabile a una logica
tutta dentro alla cultura patriarcale/maschilista: un passo
indietro rispetto alle acquisizioni del femminismo.
Replica qui una delle Mamme, a titolo individuale. Abbiamo deciso di firmarlo – ci precisa nella lettera di accompagnamento – con il mio nome, anche se è frutto di un dibattito collettivo. Il ragionamento è stato che se avessimo dovuto rappresentare tutte le 200 mamme che sono attiviste nel comitato, avremmo dovuto tagliare troppi pezzi dell'intervento. Da quelli sull'aborto fino a quelli sul matrismo che non potevano essere condivisi da tutte.
Al di là della vicenda specifica fiorentina da cui ha preso spunto il dibattito – e che continueremo a seguire nei suoi sviluppi – ci sembra che ci siano ragioni e spazio per approfondire il dibattito. Bando alle timidezze.
Per dimostrare che il concetto di “Madre” in senso lato non sia una invenzione del patriarcato, ma anzi una scoperta dell'archeologia e dell'antropologia femminista contemporanea, marxista e non, i margini di un battibecco mi paiono alquanto inadeguati.
Mi sembra più interessante notare come tutti i timori
della compagna Marvi Maggio (“Donne,
non mamme – Il disordine simbolico della libertà”,
in “A” 414, marzo 2017) sugli enormi rischi intrinseci
nel nostro nome siano contraddetti dalla realtà dei fatti.
La visibilità sui media non ce l'hanno data, ma ce la
siamo presa. Il lavoro del nostro Gruppo Social Media procede
alacremente sin dall'inizio, quando la stampa di regime non
ci lasciava i margini di una parola e neppure di una replica
(ringraziamo A-Rivista per questa opportunità).
Il ruolo di madri, derivato dalla rete sociale da cui siamo partite, cioè intorno alle scuole più vicine al presunto futuro inceneritore, limitava, forse, in parte la nostra libertà e la nostra autonomia prima che ci autodeterminassimo in comitato. Da quel momento in poi, in molti casi, i padri e i figli sono stati costretti assai più spesso ad autogestirsi la dimensione familiare, perché noi donne, madri e non, siamo diventate protagoniste assolute di questo processo di lotta.
Nei nostri quartieri, ormai spesso, i figli, i mariti o gli amici sono definiti tali in relazione a quella o a quell'altra attivista. Perché la chiave di volta sta nel protagonismo delle donne. Nelle lotte e non nelle circonvoluzioni linguistiche.
Infine, la libertà di aborto non è mai stata vissuta, da chi ne ha portato avanti la battaglia per la liberazione (e io sono tra queste e tra di noi vi è chi lo praticava clandestinamente come ostetrica) in contrapposizione al concetto di maternità. A mio parere la libertà di abortire è stata una battaglia che ha reso la maternità più consapevole. Una scelta di libertà.
E, a tal proposito, la concezione di maternità come ruolo dispari, in quanto il figlio è un minore, ci è quanto mai distante. È dispari perché il figlio non è autosufficiente? O perché non è capace di intendere e di volere? Se si estende questo concetto ad altre categorie umane, ne emerge una concezione della vita, questa sì, alquanto pericolosa.
L'essere madre può essere esercitato senza divenire una forma di potere. E, ancora una volta, non voglio scomodare gli studi sul Matrismo, detto anche “Comunismo delle Donne”, collocato nel Neolitico europeo, l'assenza della proprietà privata dovuta al nomadismo, l'assenza dei recinti e quindi della guerra. Non voglio scomodare l'antropologa Evelyn Reed e la sua “Evoluzione della Donna”. E neppure l'archeologa Maria Gimbutas (anche se se ne consiglia la lettura).
A me basta osservare con immenso piacere le nostre partecipatissime assemblee, dove non esistono “galli nel pollaio”, leaderismi di sorta, giudizi verticali calati dall'alto, verità in tasca usate come una mannaia. Dove non esiste l'amore per la polemica finalizzata all'aver ragione (di fallocratica memoria).
Ma dove invece, nel cerchio, si respira forte un'atmosfera orizzontale.
Dove chiunque, da subito, si sente a suo agio e anche le voci più maschili riescono ad esprimersi al meglio.
Dove si decide, si ride tantissimo e si passa il cibo di mano in mano.
Valentina Riemma
(attivista nelle Mamme No Inceneritore)
Firenze
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Firenze, vecchio inceneritore - “Proiezione sui monumenti”. Il Monumento alla Morte |
Psichiatria e anti-/ Ma Mastrogiovanni sarebbe qui con noi...
Da qualche numero ha preso vita su “A” un dibattito
su psichiatria e TSO, scaturito da un'intervista a Giorgio Antonucci
di Moreno Paulon (Psichiatria
e potere, “A” 408, giugno 2016) e che è
poi continuato su “A” 411 (novembre 2016) con l'intervista
a Piero Cipriano di Daniela Mallardi dal titolo La
dignità dei devianti.
Sono poi seguiti altri interventi: una lettera di Anna Grazia
Stammati, presidente di Telefono Viola (Non
basta eliminare il manicomio, bisogna distruggerne gli elementi
costitutivi, “A” 414, marzo 2017) seguita
da una risposta di Piero Cipriano (Ma
il TSO, usato con etica, è uno strumento di tutela,
“A” 414, marzo 2017).
Interviene su questo numero Chiara Gazzola, autrice del libro Fra diagnosi e peccato. La discriminazione secolare nella psichiatria e nella religione (ed. Mimesis, 2015).
Intervengo in questo dibattito non per amor di polemica, ma perché l'argomento rilancia moltissime possibilità di approfondimento, tante quanto le vittime di questa pseudo-scienza.
A ridare dignità alla decennale e preziosa esperienza professionale di Giorgio Antonucci ci ha già pensato Anna Grazia Stammati; aggiungo soltanto che, avendolo intervistato in più occasioni (l'ultima per Fra diagnosi e peccato. La discriminazione secolare nella psichiatria e nella religione, edizioni Mimesis, 2015), so bene quanto ogni sua parola sia espressione di ciò che ha vissuto direttamente a stretto contatto con le persone che hanno subìto, o rischiavano di subire, la coercizione psichiatrica: dallo stigma della diagnosi ai ricoveri coatti, dai trattamenti meccanici a quelli chimici.
Conversare con Giorgio significa percepire quel mondo di persone legate ad un letto per lunghi anni e private di ogni possibilità di esprimere il loro pensiero, o di sensibilità eccezionali ridisegnate sul lessico di una presunta patologia mentale; significa conoscere storie di superamento dalle sofferenze, e dei traumi esistenziali che le hanno causate, attraverso l'ascolto delle esigenze altrui instaurato da una relazione paritetica; significa riflettere su come e quanto si possa riacquisire autonomia nonostante le contraddizioni di una società escludente. Ciò che mi stupisce ogni volta è la semplicità con la quale racconta realtà che, se non fossero vere, sembrerebbero impossibili.
Va poi sottolineato che negli anni in cui lavorò sull'Appennino reggiano si verificò una delle rarissime rivolte popolari contro i manicomi che gli valse la perdita dell'incarico ed ebbe forti ripercussioni politiche interne al PCI che amministrava il territorio; anche nella ventennale esperienza imolese non ebbe mai l'appoggio del potere politico, nonostante l'approvazione della legge 180.
La determinazione di Antonucci non rappresenta l'unico modello possibile nel tentativo di ostacolare il potere psichiatrico; le modalità possono essere molteplici anche perché, sempre di più, l'invasività di questa pseudo-medicina, unita all'ideologia sulla quale si fonda, è un'arma utilizzata da diverse istituzioni: tribunali, servizi sociali, scuole, ecc.
Ciò che mi sembra essenziale è l'eliminazione delle ambiguità: uno strumento repressivo non può trasformarsi in una forma di aiuto soltanto perché chi lo utilizza dichiara intenzioni magnanime, sarebbe come ricoprire di diamanti un carcere e affermare quanto sia bello e luminoso. Vivere in una società repressiva significa resistere, ogni individuo troverà il proprio percorso e se ne assumerà le responsabilità: quando da bambina mia madre mi chiudeva nello sgabuzzino dopo avermi picchiata perché avevo commesso il peccato della disubbidienza, probabilmente pensava di averlo fatto per il mio bene, un alibi infallibile!
L'alternativa al TSO (trattamento sanitario obbligatorio) non è l'abbandono, ma il suo esatto opposto: l'ascolto e la disponibilità a stare di fianco alle persone nel momento in cui sono catturate dal malessere o, semplicemente, vengono giudicate fastidiose agli occhi di qualche intollerante. Significa creare una sorta di barriera protettiva in attesa che le condizioni cambino: basteranno 3 ore o i tempi si allungheranno? Questa è la sfida che contrasta con le nostre vite scandite dagli orologi e un limite oggettivo di interventi di supporto poco efficaci. Ogni storia vissuta è uno scenario nuovo, anche Giuseppe Bucalo ne racconta di sorprendenti, ma unite dal desiderio di evitare che una crisi passeggera possa essere ingabbiata dal controllo psichiatrico, camuffato dalla semantica del “percorso di guarigione” o dei “linguaggi condivisi”, che produrrà cronicità terapeutica. Se P. Cipriano trova la sua coerenza di psichiatra riluttante negli SPDC o CSM, non sta a me giudicare, ma sono sicura che Francesco Mastrogiovanni sarebbe ancora qui con noi ad intonare “Addio Lugano bella” se quel giorno non avessero chiamato il 118!
La cultura manicomiale vince ogni volta che le nostre relazioni utilizzano il potere giudicante dei linguaggi verbali e paraverbali, o tendono a svilire i pensieri e le esperienze altrui. Penso che la capacità di ascolto parta dalla comprensione di un messaggio e non da una soggettiva interpretazione utile a stabilire il livello della condivisione o della denigrazione.
Chiara Gazzola
Marzabotto (Bo)
Messico/ Una candidata indigena alle presidenziali?
“È per questo che noi 43 popoli di questo paese,
come Congresso Nazionale Indigeno, riuniti in questo quinto
Congresso, concordiamo di nominare un Consiglio Indigeno di
Governo con rappresentanti, uomini e donne, di ciascuno dei
popoli, tribù e nazioni che lo compongono. E che questo
consiglio si proponga di governare questo paese. E che avrà
come portavoce una donna indigena del CNI, di sangue indigeno
e che conosca la propria cultura. Vale a dire che avrà
come portavoce una donna indigena del CNI che sarà candidata
indipendente alla presidenza del Messico per le elezioni del
2018.”1
Il primo gennaio 2017, dal palco di un affollatissimo Caracol di Oventic (Chiapas), sono state queste le parole che hanno voluto far tremare nei suoi centri la terra, a sancire l'accoglimento della proposta lanciata il 9 ottobre 2016 dall'Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) al Congreso Nacional Indígena (CNI).
Già nei giorni successivi al lancio della proposta, numerosi commenti off-line e on-line – soprattutto on-line – si sono sprecati nell'analisi della stessa, per lo più incentrati sulla questione della rappresentanza elettorale e sui paragoni con La Otra Campaña del 2006. Non sono mancate letture parziali della proposta e, men che meno, letture apertamente razziste, maschiliste e paternaliste.
Quale la cornice nella quale si inserisce la proposta? Quale
il ruolo dei principali artefici? Quali gli obiettivi? Nel tentativo
non certo facile di rispondere a queste domande, non si può
non prendere in considerazione, ancora una volta, il simbolismo
che si cela dietro ogni parola e azione dell'EZLN. Le giornate
a cavallo tra il 2016 e il 2017, caratterizzate dalla presenza
del festival “L@s Zapatistas y las ConCiencias por la
Humanidad”2, hanno offerto
numerosi riferimenti simbolici, indifferentemente che fossero
orali o pratici, utili a comprendere la portata della proposta.
Quello che segue è un percorso esperienziale, nella speranza
che possa stimolare ulteriori domande ad arricchire il dibattito
dei prossimi mesi, in vista della nomina del Consiglio Indigeno
di Governo prevista per gli ultimi giorni di maggio.
“Quel che noi non possiamo”
Alle 16, un'ora e mezza prima dell'inizio della sessione finale, la fila di attesa per l'ingresso all'auditorio del CIDECI – Universidad de la Tierra di San Cristóbal arriva fino al cancello di ingresso, incurante della pioggia nebulizzata che lenta pero avanza. Le persone più pigre o ritardatarie ripiegano sull'aula 2, fornita di televisore e amplificatori per seguire in tranquillità la chiusura della prima parte del ConCiencias prima di riprendere il 2 gennaio. La giornata è topica, ci si aspetta qualche riferimento alla proposta o alla possibilità di passare la notte successiva, quella di capodanno, al Caracol di Oventic, per festeggiare intorno al fuoco il ventitreesimo anniversario dell'insurrezione del 1994, quando l'EZLN si manifestò al mondo di sopra.
Prende la parola il Subcomandante Moisés, spetta a lui restituire il punto di vista della comandancia dell'EZLN sul festival a conclusione di questa giornata. “Compagne, compagni, poche informazioni logistiche prima di passare la parola a una compagna e un compagno appartenenti al popolo Wixárika: a causa dei preparativi volti all'ospitalità delle delegate e dei delegati del CNI, vi invitiamo a non recarvi a Oventic prima del 1 gennaio”. Fine. Occhi spalancati, mani che sbattono sulla coscia, imprecazioni a mezza bocca, braccia allargate. Che intervento è mai questo? E soprattutto, niente notte di capodanno a Oventic? I volti di tante e tanti sono disperati come se avessero appena sentito che l'EZLN chiude i battenti a favore del capitalismo.
Il microfono passa a una donna e poi a un giovane, entrambi delegati del popolo Wixárika presso il CNI, che raccontano della ruberia di terre nelle aree del Jalisco, Nayarit e Durango, della profanazione dei luoghi sacri della loro cosmogonia, della privatizzazione delle fonti d'acqua. Il tono del giovane è posato, cadenzato, circolare. Gli occhi che fissano un punto imprecisato della platea per guardare tutte e tutti. Si passa dalle privazioni alla resistenza, citando i comitati in difesa della vita e dell'acqua autorganizzati in 7 municipi nel territorio sacro e cerimoniale di Wirikuta a San Luis Potosí. L'intervento si chiude e il pubblico si disperde.
Nella giornata che precede il ventitreesimo anniversario dell'insurrezione del 1994, quando l'EZLN si manifestò al mondo di sopra, quando sulla bocca di chiunque c'è la proposta che vuole far tremare nei suoi centri la terra, l'EZLN sceglie di non parlare e di lasciare la parola al CNI: questo è accaduto.
Rappresentanza elettorale e autonomie
In questo contesto di guerra, la sfida civile che l'EZLN ha posto al CNI sarà il punto nodale degli ultimi mesi, e quella sulla quale si è consumato gran parte del dibattito nelle ultime settimane, ovvero la questione della rappresentanza elettorale. A questo proposito, è bene precisare che l'approccio dell'EZLN al voto è sempre stato politico e mai ideologico. Cosa significa?
L'EZLN ha sempre affermato di non voler prendere il potere3,
e la proposta fatta al CNI si inserisce in questa presa di posizione.
La proposta nasce in seno all'EZLN ma è stata rimessa
nelle mani del CNI. Quindi il CNI può prendere il potere?
Siamo nel terreno della fiducia e della scommessa. Nonostante
l'autoritarismo insito nella rappresentanza elettorale e nella
democrazia rappresentativa, l'EZLN ha alle spalle un progetto
politico genuinamente altro rispetto allo Stato, e il CNI ha
in potenza una conflittualità fortissima con ogni apparato
istituzionale. Considerazione rafforzata dalle parole pronunciate
il 1 gennaio dallo stesso CNI, affermando la volontà
di far tremare nei suoi centri la terra. In quel momento il
CNI ha fatto suoi i sette principi zapatisti del “Comandare
obbedendo”, riconoscendosi in maniera definitiva nel progetto
politico inaugurato dall'EZLN nel 1994, ovvero la creazione
di autonomie territoriali che sappiano porsi in maniera conflittuale
con lo Stato ed essere altre rispetto a questo. (...)
Si dovrà però aspettare qualche settimana prima di comprendere meglio il processo che porterà la proposta nel resto delle geografie messicane, e come il CNI vuole costruire autonomie nei suoi popoli, nazioni e comunità per poi estenderle agli ambienti non-indigeni. Non rimane che attendere per comprendere se la fiducia posta in questo ennesimo atto di fantasia dell'EZLN e del CNI sia stata ben riposta o se si corromperà lungo le strade messicane.
Simone Ogno
Roma
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/04/e-tremo-rapporto-dallepicentro/
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/24/17693/
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
Grazie Fausta!
La
legge sulla stampa prevede che i periodici abbiano un
responsabile legale iscritto all'Ordine dei Giornalisti,
elenco pubblicisti o giornalisti professionisti.
Dal febbraio 1976 ("A" 44) per "A"
lo è stata Fausta Bizzozzero, una delle fondatrici
e redattrice fino al 1989. Dopo 41 anni e due mesi (e
371 numeri di "A"), Fausta lascia da questo
numero la responsabilità legale della nostra rivista.
La ringraziamo di cuore e ci piace ricordare il piccolo
particolare che ha sempre voluto pagare la propria iscrizione
annuale all'Albo dei Giornalisti (utile solo per assumere
la responsibilità legale di "A"). Non
ha mai accettato rimborsi e anche di questo le siamo grati.
A Fausta subentra ora Paolo Finzi, della nostra redazione,
che già lo era stato dall'aprile 1973 al settembre
1974.
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Da
venerdì 22 a domenica 24 settembre si terrà
a Firenze, nell'ormai consueto teatro Obihall (in via
Fabrizio De André, angolo lungarno Aldo Moro) la
Vetrina
dell'editoria e delle culture anarchiche e libertarie
La manifestazione, promossa dall'Ateneo Libertario di
Firenze, avrà carattere internazionale e ospiterà
editori e autori di area anarchica e libertaria. Oltre
alla presentazione di libri, lo spazio è aperto
ai periodici e alla stampa in tutte le sue forrme: mostre,
audiovisivi, arti grafiche...
Come sempre ci saranno eventi come dibattiti, laboratori
di vario genere, spettacoli teatrali e musicali.
Si aggiunge, in quest'edizione, uno spazio coperto per
le organizzazioni produttive autogestite, che vorranno
mostrare i propri prodotti.
Per info, adesioni, ecc.: vetrinalibertaria@inventati.org
La
nostra rivista sarà come di consueto presente
in un bancone condiviso con Elèuthera, Centro
studi libertariArchivio Pinelli e rivista Libertaria.
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I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni.
Federico Vercellino (Milano) 15,00; Angelo Pagliaro
(Paola – Cs) 10,00; Gianni Richini (Verbania)
10,00; Sergio Pozzo (Arignano – To) 10,00; Milena
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Taroni (Menaggio – Co) 30,00; a/m Ivan Bettini,
gli amici di Gorgonzola (Mi) ricordando Gianfranco
Aresi, 70,00; Rolando Paolicchi (Pisa) saluti anarchici,
10,00; Bruna Mino (Pavone Canavese – To) 8,00;
Pietro Busalacchi (Napoli) 20,00; Mario Bielli (Tavernole
sul Mella -Bs) 10,00: Pasquale Piergiovanni (Terlizzi
– Ba) 10,00; Vergolini – Redi (Premariacco
- Ud) 10,00; Pasquale Messina (Milano) ricordando
Amedeo Bertolo, 50,00; Roberto Bernabucci (Cartoceto
– Pu) 60,00; Saverio Nicassio (Bologna) in ricordo
di Amedeo Bertolo, 50,00; a/m Marco Pandin, Maurizio
Strini (Piacenza) 50,00; Giovanna Gervasio Carbonaro
(Bagno a Ripoli – Fi) 50,00; Aurora e Paolo
(Milano) ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla,
500,00; Paolo Sabatini (Firenze) 20,00; Claudio Albertani
(Città del Messico– Messico) 50,00; Franco
Codolo (Venezia) 10,00; Dino Delcaro (San Francesco
al Campo – To) 10,00; Davide Turcato (Modena)
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10,00 Fabio Ferrari (Orsara Bormida – Al) 10,00;
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40,00; Centro studi storici della Val di Pesa (San
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413, 20,00; Maurizio Marano (Pescara) 10,00; Massimo
Torsello (Milano) 10,00; Gudo Bozak (Treviso) 160,00;
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di mio padre Tullio, 125,00; Marco Bianchi (Arezzo);
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Maltini; Claudio Stocco (Saonara – Pd); Roberto
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Bz); Pietro Masiello (Roma); Mirko Negri (Livraga
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Sul penultimo numero, nel registrare l'abbonamento
sostenitore di Tiziano Viganò (Valaperta di Casatenovo
- Lc) abbiamo omesso di aggiungere la motivazione “ricordando
Pier Luigi Magni e Franco Pasello”. Due compagni cari
anche ai più vecchi di noi, che li conobbero. Franco,
poi, è stato l'individuo che ha venduto più copie
di “A” nella sua vita. Ma non lo ricordiamo solo
per questo. |