rivista anarchica
anno 47 n. 415
aprile 2017






Individui autonomi e reti organizzate

Perché si pensa che la rete sia intrinsecamente democratica?
Questa domanda interroga contemporaneamente molteplici piani – socio-economico, culturale, normativo, simbolico. Ma è forse l'idea della rete proprio in quanto “reticolo” a suggerire che vengano meno le barriere gerarchiche. In effetti la rete può essere vista come insieme di “nodi interconnessi” ma bisogna chiedersi: qual è la sua struttura, ovvero, in che modo questi nodi stanno in relazione tra loro?
Negli anni '70, periodo delle origini e della prima diffusione della rete, si imponeva un modello secondo il quale i nodi si potevano distinguere in client e server: i primi richiedevano dati, i secondi li fornivano.
Questo da un lato rispondeva a esigenze di tipo tecnologico: la capacità di calcolo ed elaborazione per la trasmissione di dati richiedeva macchine molto più potenti, quindi costose. Dall'altro a una visione centralista e orientata al controllo che tradisce l'origine militare di Internet. Siano esempi di questo modello una rete aziendale o la rete di un'istituzione. Le macchine dette server svolgono la funzione di gestire e fornire i dati; altre macchine dette terminali permettono agli utenti di interagire con questi dati, che però risiedono sul server. Altro esempio di client/server sono i servizi di messaggistica: i dati, diciamo i messaggi che ci scambiamo, sono conservati su uno o più server remoti, mentre i nostri dispositivi li “scaricano” (in realtà li replicano, perché una copia rimane in ogni caso sul server). Un modello non dissimile a quello della cosiddetta cloud dove i nostri dati risiedono altrove, su macchine remote e fuori dal nostro controllo.

Il bello del p2p

Per meglio comprendere questi passaggi, possiamo contrapporre a questo tipo di struttura di rete il peer2peer (p2p), in cui lo scambio e l'interazione tra nodi avviene, letteralmente, “tra pari”. In un sistema p2p ogni macchina connessa alla rete – anche il nostro computer di casa volendo – condivide una parte delle proprie risorse al pari delle altre macchine connesse. In questo sistema l'architettura esalta l'uguaglianza di ogni nodo rispetto a tutti gli altri e la sua libertà di contribuire o meno alla rete stessa: non vi sono vincoli alla comunicazione tra nodi che avviene sulla base della scelta di ciascuno.
L'efficienza ed efficacia aumentano con l'aumentare del numero di utenti (cioè di nodi) connessi alla rete p2p, poiché la maggior disponibilità di risorse in rete ne aumenta la reperibilità e la velocità di trasferimento. Infatti se lo stesso dato viene condiviso da una sola persona, questo risulterà disponibile solo da quel computer, se sono dieci a condividerlo, sarà possibile accedervi da dieci macchine contemporaneamente, aumentando quindi l'efficienza, poiché il carico di richieste viene distribuito tra più nodi.
L'architettura del p2p, quindi, si differenzia in maniera netta dal modello client/server.
Il p2p incarna in pieno lo spirito della rete inteso come “rete di nodi paritari”, ben al di là della retorica che viene impiegata in ambiti completamente assoggettati a logiche gerarchiche basate sulla disuguaglianza strutturale dei soggetti interconnessi. Questo, comunque, non significa che una soluzione tecnica sia sufficiente a costituire rapporti paritari, ma può fornire la struttura per renderli possibili e praticabili dai soggetti.

Ma la nuvola espropria

In verità, il modello di relazione tra nodi che è andato affermandosi non è quello paritario che possiamo identificare con il p2p ma quello di client/server, fondato su un'asimmetria tra “fruitore/fornitore” di dati. L'esemplificazione di questa asimmetria, che sempre più caratterizza il nostro quotidiano, è quello della cosiddetta cloud.
Il cloud computing completa l'espropriazione delle possibilità del singolo individuo nella rete: tutto infatti viene esternalizzato, non si ha quasi più nulla sul proprio computer. I nostri dati sono memorizzati letteralmente fuori dai vari tablet, smartphone, PC, in server che risiedono in un “altrove” non bene identificato detto appunto “nuvola”. Anche il software spesso risiede da un'altra parte e si usa dunque via browser, si pensi per comodità alla suite da ufficio di Google: i file, pure essendo “nostri” cioè realizzati da noi, non sono salvati sulla nostra macchina, ma in uno spazio server di Google, che li “conserva” per noi (miliardi di utenti) senza il minimo scrupolo ecologico, oltre che tecno-politico.
Inoltre questo avviene a dispetto dell'enorme potenza di calcolo dei computer odierni e dispositivi mobili che li rende ottimi candidati per una rete costituita da nodi paritari, in cui ciascuno è immediatamente fruitore e fornitore di informazioni. Con una conoscenza degli strumenti che possediamo e il desiderio di usare l'informatica in senso trasformativo potremmo diventare individui più autonomi e costituire reti alternative e organizzate.
Ma esiste anche un altro processo, che si sviluppa in parallelo a quello di esternalizzazione: la centralizzazione. I dati memorizzati nelle cloud sono a disposizione di poche grandi industrie dell'informatica che ne possono quindi disporre a piacimento, perlopiù a scopi commerciali. In un certo senso, allora, la potenza di calcolo dei dispositivi odierni viene utilizzata anche per fornire dati – un flusso continuo, come abbiamo avuto modo di evidenziare alcuni numeri fa –, ma in una modalità completamente passiva e non a beneficio di altri nodi all'interno di una relazione paritaria, ma di grandi attori privati che ne traggono profitti.
L'affermazione del modello client/server nelle sue diverse evoluzioni, che nel corso degli anni ha dato vita a grandi concentrazioni di risorse e dati, può essere allora ricompresa nella volontà di profitto da un lato e in quella di controllo dall'altro: una rete caratterizzata da processi di esternalizzazione e centralizzazione risponde primariamente a istanze di governo delle vite, dei mondi digitali.
Interrogarci sulle possibilità dell'ingovernabile, allora, non è solo una strategia di sottrazione e autodifesa ma diviene immediatamente immaginazione di un'alternativa praticabile collettivamente.

Ippolita
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