rivista anarchica
anno 47 n. 415
aprile 2017





La terra senza il male.
Il profetismo Tupi-Guaranì

Lo studio del potere in una prospettiva antropologica deve essere svincolato dalle categorie dominanti e tradizionali del pensiero politico occidentale. Il potere non si esaurisce nella concettualizzazione dello stato, ma si forma nelle relazioni tra umani, nelle loro capacità, volontà, interessi.
Ci sono principalmente due tipologie di potere: quello coercitivo e quello non coercitivo. Il primo lo conosciamo bene, anzi, più che conoscerlo approfonditamente lo subiamo quotidianamente; è il potere calato dall'alto, gestito da pochi per garantirsi il loro benessere e la loro posizione sociale. Quello non coercitivo è quello di cui ci parla Pierre Clastres tra gli Amerindi, nel suo celebre testo Le società contro lo stato, un potere distribuito a tutti e che si dissolve nel corpo sociale.
Tra i primi colonizzatori delle terre amerindiane troviamo i gesuiti che sbarcarono per civilizzare con la croce e la spada gli indigeni “senza dio” e senza stato. Questi uomini di fede cattolica vivevano in mezzo a quelli che loro chiamavano “selvaggi” e appuntavano nei loro diari quelli che consideravano atti di infedeltà e pratiche barbare, senza rendersi conto che in realtà stavano annotando grandi testimonianze di culture oggi quasi scomparse o comunque inevitabilmente mutate.
Oggi, grazie ai molti studi etno-antropologici svolti sul campo, abbiamo molti più strumenti per comprendere quelle comunità e reinterpretare quei diari e per capire che lo sguardo dei colonizzatori occidentali era talmente miope e offuscato dalle convinzioni cattoliche da non capire il senso della vita e della spiritualità indigena.
Nel libro, finalmente tradotto in italiano, di Hélène Clastres, La terra senza il male. Il profetismo Tupi-Guaranì (a cura di Francesco Boccolari, Mimesis, Sesto San Giovanni - Mi, pp. 154, € 14,00) molti di questi aspetti religiosi - che molto hanno a che fare con la concezione del potere degli indigeni americani - ci vengono chiariti.
I colonizzatori del nuovo mondo avevano uno sguardo evidentemente etnocentrico e si rifiutavano di prendere sul serio le credenze indiane, non le capivano minimamente sia perché non gli interessava la comprensione di culture differenti dalla loro, ma anche perché “il carattere stesso della religione Tupi-Guaranì era atto a mascherarla ad uno sguardo occidentale”.
Una religione è un complesso di credenze che possono esprimersi in molti modi: tramite l'espressione verbale; attraverso miti e preghiere, con l'espressione gestuale; con riti e atteggiamenti e attraverso l'espressione materiale, ovvero con la costruzione di templi, oggetti di culto e rappresentazioni figurative delle divinità. L'assenza di tutti questi segni tangibili della vita religiosa degli indigeni Tupi-Guaranì ha portato i colonizzatori a non comprendere le credenze indigene e a sottovalutare il loro portato in termini di organizzazione sociale.
Era impossibile per i Gesuiti e per gli altri colonizzatori occidentali tradurre con i propri canoni queste tipologie di spiritualità, impossibile comprendere il ruolo dei capi amerindi e dei loro sciamani che parlavano alle comunità indigene di una terra senza il male. Una terra, uno spazio, quello narrato dagli sciamani, senza luoghi segnalati dove i rapporti sociali si dissolvono, con un tempo senza punti di riferimento dove le generazioni sono abolite; un luogo da non cercare nei cieli, ma sulla terra, una terra promessa che non è un regno, “ma al contrario l'abolizione di ogni forma di potere”.

Per i Tupi-Guaranì la terra senza il male è un luogo senza più statuti differenziati e dove le vecchie relazioni sono destinate a scomparire, di conseguenza gli uomini di diritto diventano tutti uguali e costruiscono una nuova solidarietà, quella del mborayu, ovvero della reciprocità. Nuove “leggi” tra liberi ed uguali, possibili solo perché nella terra senza il male i nuovi rapporti non sono marcati dallo spazio e dal tempo, caratterizzati da relazioni di vita nomade, fuori dai limiti di un territorio, dove qui e ora sono soltanto il luogo e il momento dell'instabile, del provvisorio, per questo nessuna gerarchia può essere stabilita.
In questo luogo indefinito, sognato dagli indigeni, si può soltanto abitare, ma non risiedere, si può sussistere, ma senza produrre; si lasciano i morti senza fondare lignaggi. La ricerca di questa terra senza gerarchie e senza re era un puro spostamento che non implicava alcun ritorno indietro né alcuna conclusione. Per i Tupi-Guaranì la terra senza il male che i conquistatori non comprendevano è il contrordine, la pienezza nella sovversione.

Andrea Staid