La terra senza il male. Il profetismo Tupi-Guaranì
Lo
studio del potere in una prospettiva antropologica deve essere
svincolato dalle categorie dominanti e tradizionali del pensiero
politico occidentale. Il potere non si esaurisce nella concettualizzazione
dello stato, ma si forma nelle relazioni tra umani, nelle loro
capacità, volontà, interessi.
Ci sono principalmente due tipologie di potere: quello coercitivo
e quello non coercitivo. Il primo lo conosciamo bene, anzi,
più che conoscerlo approfonditamente lo subiamo quotidianamente;
è il potere calato dall'alto, gestito da pochi per garantirsi
il loro benessere e la loro posizione sociale. Quello non coercitivo
è quello di cui ci parla Pierre Clastres tra gli Amerindi,
nel suo celebre testo Le società contro lo stato,
un potere distribuito a tutti e che si dissolve nel corpo sociale.
Tra i primi colonizzatori delle terre amerindiane troviamo i
gesuiti che sbarcarono per civilizzare con la croce e la spada
gli indigeni “senza dio” e senza stato. Questi uomini
di fede cattolica vivevano in mezzo a quelli che loro chiamavano
“selvaggi” e appuntavano nei loro diari quelli che
consideravano atti di infedeltà e pratiche barbare, senza
rendersi conto che in realtà stavano annotando grandi
testimonianze di culture oggi quasi scomparse o comunque inevitabilmente
mutate.
Oggi, grazie ai molti studi etno-antropologici svolti sul campo,
abbiamo molti più strumenti per comprendere quelle comunità
e reinterpretare quei diari e per capire che lo sguardo dei
colonizzatori occidentali era talmente miope e offuscato dalle
convinzioni cattoliche da non capire il senso della vita e della
spiritualità indigena.
Nel libro, finalmente tradotto in italiano, di Hélène
Clastres, La terra senza il male. Il profetismo Tupi-Guaranì
(a cura di Francesco Boccolari, Mimesis, Sesto San Giovanni
- Mi, pp. 154, € 14,00) molti di questi aspetti religiosi
- che molto hanno a che fare con la concezione del potere degli
indigeni americani - ci vengono chiariti.
I colonizzatori del nuovo mondo avevano uno sguardo evidentemente
etnocentrico e si rifiutavano di prendere sul serio le credenze
indiane, non le capivano minimamente sia perché non gli
interessava la comprensione di culture differenti dalla loro,
ma anche perché “il carattere stesso della religione
Tupi-Guaranì era atto a mascherarla ad uno sguardo occidentale”.
Una religione è un complesso di credenze che possono
esprimersi in molti modi: tramite l'espressione verbale; attraverso
miti e preghiere, con l'espressione gestuale; con riti e atteggiamenti
e attraverso l'espressione materiale, ovvero con la costruzione
di templi, oggetti di culto e rappresentazioni figurative delle
divinità. L'assenza di tutti questi segni tangibili della
vita religiosa degli indigeni Tupi-Guaranì ha portato
i colonizzatori a non comprendere le credenze indigene e a sottovalutare
il loro portato in termini di organizzazione sociale.
Era impossibile per i Gesuiti e per gli altri colonizzatori
occidentali tradurre con i propri canoni queste tipologie di
spiritualità, impossibile comprendere il ruolo dei capi
amerindi e dei loro sciamani che parlavano alle comunità
indigene di una terra senza il male. Una terra, uno spazio,
quello narrato dagli sciamani, senza luoghi segnalati dove i
rapporti sociali si dissolvono, con un tempo senza punti di
riferimento dove le generazioni sono abolite; un luogo da non
cercare nei cieli, ma sulla terra, una terra promessa che non
è un regno, “ma al contrario l'abolizione di ogni
forma di potere”.
Per i Tupi-Guaranì la terra senza il male è
un luogo senza più statuti differenziati e dove le vecchie
relazioni sono destinate a scomparire, di conseguenza gli uomini
di diritto diventano tutti uguali e costruiscono una nuova solidarietà,
quella del mborayu, ovvero della reciprocità.
Nuove “leggi” tra liberi ed uguali, possibili solo
perché nella terra senza il male i nuovi rapporti non
sono marcati dallo spazio e dal tempo, caratterizzati da relazioni
di vita nomade, fuori dai limiti di un territorio, dove qui
e ora sono soltanto il luogo e il momento dell'instabile, del
provvisorio, per questo nessuna gerarchia può essere
stabilita.
In questo luogo indefinito, sognato dagli indigeni, si può
soltanto abitare, ma non risiedere, si può sussistere,
ma senza produrre; si lasciano i morti senza fondare lignaggi.
La ricerca di questa terra senza gerarchie e senza re era un
puro spostamento che non implicava alcun ritorno indietro né
alcuna conclusione. Per i Tupi-Guaranì la terra senza
il male che i conquistatori non comprendevano è il contrordine,
la pienezza nella sovversione.
Andrea Staid
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