Chiapas
Che tremi nei suoi centri la terra
di Gaia Raimondi
Le dichiarazioni degli ultimi mesi dal fronte zapatista, per una campagna congiunta con il Congresso Nazionale Indigeno che porti una donna indigena indipendente a candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018 in Messico, hanno suscitato polemiche e dibattiti. Una riflessione sulle strategie di resistenza al femminile, sui processi evolutivi e sulle metodologie indigene, soprattutto delle donne.
Le mattine di questi giorni sono
piene di luce, cariche di sole e profumi di primavera alle porte;
in questo clima mite, qualche giorno fa all'imbrunire, scorre
- ed io con esso - il corteo del Lottomarzo, (per citarne
lo slogan) manifestazione in cui migliaia di donne e uomini
si dichiarano marea riversandosi per le strade milanesi con
entusiasmo, creatività e sentita partecipazione. L'energia
femminea, supportata oltre i generi e le provenienze, l'atmosfera
frizzante e chiassosa della piazza stimolano l'ispirazione per
l'attacco del contributo sul Chiapas che sto pensando da tempo
per la rivista. Il trait d'union che stavo cercando,
fatto di donne, autogestione per una lotta al dominio e al patriarcato.
Quella sensazione di far parte quasi di una cosmogonia ribelle
intergalattica1 pronta ad
agire per cambiare e migliorarsi, con tutte le sue intrinseche
differenze, le sue bellezze e le relative contraddizioni.
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Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 - Incontro internazionale delle donne indigene zapatiste con le donne del mondo. Incontro di 3 giorni dedicato alla memoria della comandanta Ramona.
In questa foto di Gaia Raimondi: l'assemblea plenaria |
A fine dicembre 2016 ho avuto modo di conoscere Orsetta Bellani,
collaboratrice assidua di “A”, quasi una corrispondente
estera per la questione zapatista dalla sua ormai “base
d'appoggio” di San Cristobal de las Casas, in Messico
e di leggere il suo recente libro Indios senza Re (La
Fiaccola, 2016) e promosso da una gira - come direbbero
gli zapatisti - di charlas2,
ovvero presentazioni e dibattiti in diversi luoghi resistenti
d'Italia, che già avevano riacceso la voglia di aggiornarmi
e tornare a parlare di un luogo e una realtà così
speciale.
Tempismo perfetto quello di incontrare una testimonianza diretta
di chi vive sul territorio, visto che proprio a fine 2016 gli
zapatisti avevano riconfermato la volontà, espressa qualche
mese prima durante una serie di incontri e seminari, di appoggiare
il CNI (Congresso Nazionale Indigeno) nella scelta di presentare
alle prossime presidenziali del 2018 una donna indigena come
portavoce di questa organizzazione politica, che racchiude una
quarantina di etnie indigene sulle oltre 60 che vivono nel paese.
Non sono riuscita a risparmiare ad Orsetta una richiesta di
parere sulla questione, durante quella presentazione.
Siamo convenute, e del resto la sua posizione già si
evince dal libro, che sarebbe troppo facile e scontato limitarsi
a puntare il dito e a criticare aspramente una scelta così
forte per un esercito rivoluzionario indigeno che occupa da
ventitré anni una buona fetta dei territori chiapanechi,
posizione che tanto ha fatto e fa discutere. Possiamo piuttosto
limitarci ad osservare, dall'alto delle nostre agevolate condizioni
oltreoceaniche dell'Europa Fortezza, con i nostri modelli
culturali di riferimento - seppur e sebbene libertari - da dietro
i nostri schermi e reti internet in cui peschiamo informazioni,
dalle nostre ricche case comode e moderne e dalle nostre vite
frenetiche e cercare di comprendere, di ascoltare e di discuterne
insieme.
Sarebbe limitante osservare il diverso approccio o le contraddizioni
di un mondo così differente dal nostro - soprattutto
nelle pratiche - salvando solo le ideologie, rivendicando le
nostre modalità come le uniche possibili, giuste, eticamente
valide.
Chiaro é che comunque avere a che fare con il potere
coercitivo della politica istituzionale - o per meglio definirlo
con il suo nome con il dominio - è sempre molto
pericoloso, in qualunque modalità ci si approcci; il
rischio di cadere nelle sue tentazioni, contraddizioni e abusi
è sempre a un passo dal confine e può essere limitato
soltanto se alla comunità viene garantita la partecipazione
effettiva alla res publica, unita a una revocabilità
sempre immediata di chi gestisce in quel momento il potere decisionale,
da una collettività agente che possa in qualunque momento
intervenire per decretarne la rinegoziazione o la fine. Gli
zapatisti sembrano esserne consapevoli, come da sempre asseriscono
con il loro modo di vedere il potere politico: “mandar
obedeciendo”.
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Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 - All'uscita di una delle tante assemblee. Sullo sfondo attivisti stranieri e locali.
Foto: Gaia Raimondi |
“Servire le nostre comunità”
Si legge in un comunicato dell'EZLN del 17 Novembre 20163:
“No, né l'EZLN come organizzazione, né nessuna,
nessuno dei suoi membri, parteciperà a un “incarico
di elezione popolare” nel processo elettorale del 2018.
No, l'EZLN non si convertirà in un partito politico.
No, l'EZLN non presenterà una donna indigena zapatista
come candidata alla presidenza della Repubblica nell'anno 2018.
No, l'EZLN non “ha svoltato” dei gradi che siano,
né continuerà la sua lotta attraverso la via elettorale
istituzionale. Allora, l'EZLN non presenterà un'indigena
zapatista come presidenta della Repubblica? Non parteciperà
direttamente alle elezioni del 2018? No. [...]
Perché l'EZLN non lotta per prendere il Potere.
Credete che in precedenza non ci abbiano offerto questo e anche
di più? Che non ci abbiano offerto incarichi, prebende,
ambasciate, consolati, viaggi all'estero “tutto incluso”,
oltre ai presupposti che portano con sé? Credete che
non ci abbiano offerto di convertirci in un partito politico
istituzionale, o entrare in qualcuno dei già esistenti,
o in quelli che si formeranno, e “godere delle prerogative
di legge” (così dicono)?
Abbiamo accettato? No. E non ci offendiamo, capiamo che l'ambizione,
o l'assenza d'immaginazione, o la ristrettezza di vedute, o
l'assenza di conoscenze (e, ovvio, il non saper leggere), portino
più d'uno a sentire l'impellenza di entrare in un partito
politico istituzionale, poi uscirne e passare a un altro, poi
uscirne e formarne un altro, e quel che ne segue. Capiamo che
con più d'uno, una, funzioni l'alibi di “cambiare
il sistema dall'interno”. Con noi no.
Ma, nel caso della direzione e della truppa zapatista, non è
soltanto dinanzi al Potere istituzionale il nostro rifiuto,
ma anche dinanzi alle forme e processi autonomi che le comunità
creano e approfondiscono giorno dopo giorno. Per esempio, nessun
insurgente o insurgenta, sia della comandancia sia della truppa,
né nessuna comandanta o comandante del CCRI può
neppure essere autorità nelle comunità, né
nel municipio autonomo, né nelle differenti istanze organizzative
autonome. Non possono far parte dei consigli autonomi, né
delle giunte di buon governo, né di commissioni, né
di alcuna delle responsabilità che si designano per via
assembleare, create o da creare nella costruzione della nostra
autonomia, cioè della nostra libertà.
Il nostro lavoro, il nostro compito come EZLN è servire
le nostre comunità, accompagnarle, sostenerle, non comandarle.
Sostenerle, sì. A volte ci riusciamo. E sì, certo,
a volte disturbiamo, ma allora sono i popoli zapatisti a darci
uno scapaccione (o vari, a seconda) affinché ci correggiamo.
Tutto ciò non avrebbe dovuto essere chiarito e riaffermato
se si fosse fatta una lettura attenta del testo intitolato “Che
tremi nei suoi centri la terra”, reso pubblico la mattina
del 14 ottobre 20164”.
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Caracol autonomo de Morelia, Chiapas (Messico), gennaio 2008 - Murales sulle pareti dell'escuelita (scuola) per i bambini zapatisti, foto scattata durante una tre giorni di formazione autogestita con gli zapatisti sull'uso della tecnologia.
Foto: Gaia Raimondi |
Una notizia sensazionalistica?
Eppure, il polverone si è sollevato subito; è
una costante dell'EZLN quella di parlare per metafore, creare
paradossi, inventare immaginari quasi surreali, considerare
e accettare le contraddizioni per trovare il modo di superarle
o imparare a conviverci; tanto che dall'esterno qualcuno, non
cogliendo la raffinatezza dei lunghi cuentos5
allegorici che animano le dichiarazioni dell'EZLN, ha pensato
che fosse solo una notizia sensazionalistica, sostituendo tra
l'altro erroneamente la sigla del CNI con quella dell'EZLN,
leggendo in esso una tattica atta a riportare i riflettori un
po' in disuso sulla realtà chiapaneca; una strategia
mediatica insomma. L'introduzione stessa del libro della Bellani,
in maniera sottile accenna retoricamente al fatto che oggigiorno
si parli meno di ciò che avviene in Chiapas; ma il fatto
che i media mainstream abbiano calato la guardia su quella realtà
non significa affatto, come il libro poi dimostra, che in essa
non sussistano e anzi non crescano sempre di più gli
stimoli e le esperienze ad essa connesse.
Forse si è smesso di parlarne ufficialmente proprio perché
questo incredibile otromundo non accennava a cedere e
il continuare a discuterne troppo avrebbe potuto agevolarne
il consolidamento o peggio ancora l'innescarsi di altre micce
insorgenti, ispirate dall'esempio zapatista, che d'altro canto
invece fornisce strumenti per la lettura del contemporaneo,
analisi e riflessioni sui temi più disparati, dalla politica
alla scienza, dalla cultura alla pratica con continui dibattiti,
assemblee plenarie, congressi e formazioni. I quaderni dell'Escuelita
Zapatista per esempio sono ricchi di spunti interessanti
e attuali, a dimostrazione del fatto che anche le posizioni
teoriche dell'EZLN sono in continua evoluzione ed entrano sempre
più nel merito della complessità critica di una
lotta anti capitalista radicale, che pone proprio nell'educazione
i semi per i germi resistenti e nell'autonomia la resistenza.
Non solo; sui canali web indipendenti, gestiti dal basso, alcuni
dagli stessi zapatisti, atri da comitati di appoggio del Messico
e del mondi, è possibile restare aggiornati in maniera
semplice e quasi sempre in italiano - grazie a diverse situazioni
solidali nazionali ed internazionali che si prendono la briga
di tradurre quantità copiosissime di documenti, dichiarazioni,
discorsi e testi con tutto ciò che avviene, almeno a
livello assembleare e collettivo - negli spazi dedicati alle
discussioni, nei Caracoles, all'Università della
Terra, (il CIDECI a San Cristobal de Las Casas), centro di culture
stupendo già 10 anni fa e attualmente teatro di giornate
intense di dibattito, discussione e tanti interrogativi posti
alle scienze e alle coscienze6,
nel consueto incontro di fine anno. È sorprendente il
grado di approfondimento delle tematiche discusse, degli interrogativi
posti, degli obiettivi formativi sempre più ambiziosi.
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Selva Lacandona, Chiapas (Messico), 2006 - Una foto della comandanta Ramona, scomparsa per un cancro nel 2006, qui in abito tradizionale dell'etnia tzotzil. A lei è stato dedicato l'incontro di fine/inizio anno
nel 2007/2008 al Caracol de la Garrucha |
Tanto, anche se vincesse...
Per scoprire così che gli zapatisti non fanno poi tanto
mistero del processo che li ha condotti a proporre al Congresso
Nazionale Indigeno di promuovere la ricerca di una donna indigena,
candidata indipendente sostenuta da una sorta di Giunta del
Buon Governo, rinominato per l'occasione Consiglio Indigeno
di Governo, in un'azione di dignità ribelle che superi
- a detta loro - il levantamiento del 19947;
anzi raccontano dettagliatamente le riflessioni precedenti la
proposta, le condizioni, le finalità che si sono posti
nel scegliere di fare una mossa eclatante come questa. Affermano
apertamente ciò che si aspettano da questa decisione,
senza false illusioni e utopie istituzionali, come si legge
dalle delucidazioni scritte dopo la controversa dichiarazione:
“[...] Che non vinceranno (il soggetto è il CNI
nelle riflessioni dell'EZLN, nda) perché il sistema elettorale
in Messico è fatto per beneficiare i partiti politici,
non per la cittadinanza. Che se vincessero, non glielo riconoscerebbero,
perché la frode non è un'anomalia del sistema
elettorale messicano, è la sua colonna vertebrale, la
sua essenza. Che se vincessero e glielo riconoscessero, non
avrebbero potuto far nulla di trascendentale, perché
là sopra non c'è nulla da fare. Le questioni fondamentali
della malridotta nazione messicana non si decidono né
nel potere esecutivo, né nelle camere legislative, né
nel potere giudiziario. Chi comanda non ha un incarico visibile
e si aggira nelle catacombe del Potere finanziario internazionale.
E che, nonostante tutto ciò, bensì precisamente
per tutto ciò, potevano e dovevano farlo. Perché
la loro azione avrebbe significato non soltanto una testimonianza
di chi non si adegua, ma una sfida che sicuramente avrebbe trovato
eco nei molti bassi che ci sono in Messico e nel mondo; che
avrebbe potuto generarsi un processo di riorganizzazione combattiva
non solo dei popoli originari, ma anche di operai, contadini,
impiegati, coloni, maestri, studenti, insomma di tutta quella
gente il cui silenzio e la cui immobilità non è
sinonimo di apatia, bensì di assenza di convocazione.
In risposta a quel che si era detto sul fatto che era impossibile,
che c'erano molti contro, che non si sarebbe vinto, rispondemmo
che, se ci fossimo incontrati il 31 dicembre del 1993 e avessimo
detto loro che, in alcune ore, ci saremmo sollevati in armi,
dichiarando guerra al malgoverno e attaccando le guarnigioni
della polizia e dell'esercito, ci avrebbero detto ugualmente
che era impossibile, che c'erano molti contro, che non si sarebbe
vinto. Dicemmo loro che non importava se avessero vinto o no
la presidenza della Repubblica, che ciò che sarebbe importato
era la sfida, l'irriverenza, l'insubordinazione, la rottura
totale dell'immagine dell'indigeno oggetto di elemosina e di
pietà (immagine tanto radicata nella destra e, chi lo
avrebbe mai detto, anche nella sinistra istituzionale del “cambiamento
vero” e nei suoi intellettuali organici addetti all'oppio
delle reti sociali), che la loro audacia avrebbe scosso il sistema
politico intero e che avrebbe avuto echi di speranza non in
uno, ma in molti dei Messichi di sotto... e del mondo.
Dicemmo loro che l'iniziativa era in tempo affinché,
in totale libertà e responsabilità, decidessero
fin dove l'avrebbero portata, quanto lontano sarebbero andati.
Un movimento dove confluissero tutti i sotto. Un movimento che
avrebbe fatto tremare nei suoi centri la terra. Dicemmo loro
che, come zapatisti, saremmo stati una forza di più tra
quelle che sicuramente si sarebbero dovute sentire convocate
dalla loro sfida. E dicemmo loro la cosa più importante
che avevamo da dire: che eravamo disposti a sostenerli con tutta
la nostra forza.
Che avremmo dato appoggio con tutto ciò che abbiamo che,
sebbene poco, è ciò che siamo8”.
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Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 - La notevole partecipazione delle attiviste internazionali all'assemblea plenaria
foto: Gaia Raimondi |
Resistenza e ribellione, dal basso e a sinistra
Affinché questa donna indigena, delegata del CNI, sia
riconosciuta come candidata dalle leggi messicane, bisognerà
raccogliere quasi un milione di firme di persone con diritto
di voto. Se si raggiungerà la quota, allora verrà
riconosciuta la candidata indipendente come presidentessa del
Messico, e si metterà il suo nome perché, nell'anno
2018, la gente voti o no, secondo il pensiero di ciascuno.
Perciò si tratterà poi di far percorrere il Messico
al Consiglio Indigeno di Governo e alla portavoce indigena,
laddove ci siano persone messicane per ottenere le firme per
registrarsi. E ancora un altro giro, un po' come come la Otra
campaña, perché la appoggino e votino per
l'indigena del CNI. Gli zapatisti sanno che, quando faranno
questo giro il Consiglio Indigeno di Governo e la sua portavoce
conosceranno molti dolori e rabbie che ci sono in Messico e
nel mondo. Dolori e rabbie di persone indigene, ma anche di
persone che non sono indigene, che anch'esse soffrono resistendo.
Perciò questo è ciò che si vuole. Non si
richiede che una donna indigena del CNI sia presidentessa, quanto
piuttosto che si diffonda un messaggio di lotta e organizzazione
ai poveri della campagna e della città del Messico e
del mondo.
Non si considera che, se si raccolgono le firme o si vincono
le elezioni, sia un successo. È un successo se si può
parlare e ascoltare chi non non viene ascoltato da nessuno.
Lì si vedrà se sarà un successo o no, se
davvero molta gente prenderà forza e speranza per organizzarsi,
resistere e ribellarsi.
Si arriverà fin dove lo deciderà il Congresso
Nazionale Indigeno. È dunque si una strategia per dar
voce agli oppressi e agli sfruttati di tutto il mondo, indigeni
e non.
“[...] La cura della vita e della dignità, ovvero
la resistenza e ribellione dal basso a sinistra, è un
nostro obbligo a cui possiamo rispondere solo in forma collettiva.
La ribellione la costruiamo dalle nostre piccole assemblee in
località che si uniscono in grandi assemblee comunali,
di ejidos, in giunte di buon governo e in accordi come popoli
uniti sotto un'identità. [...] Questo è il potere
dal basso che ci ha mantenuti vivi ed è perciò
che commemorare la resistenza e ribellione è anche ratificare
la nostra decisione di continuare a vivere costruendo la speranza
di un futuro possibile unicamente sopra le rovine del capitalismo.
Considerando che l'offensiva contro i popoli non cesserà,
ma che vorrebbero farla crescere fino a cancellare ogni traccia
di ciò che siamo come popoli della campagna e della città,
portatori di profondi malcontenti che fanno sorgere anche nuove,
diverse e creative forme di resistenza e di ribellione, il Quinto
Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di iniziare una consultazione
in ognuno dei nostri popoli per smantellare dal basso il potere
che ci impongono dall'alto e che ci offre un panorama di morte,
violenza, spoliazione e distruzione. In base a quanto detto
sopra, ci dichiariamo in assemblea permanente e consulteremo
in ognuna delle nostre geografie, territori e direzioni l'accordo
di questo Quinto CNI, per nominare un consiglio indigeno di
governo la cui parola sia incarnata da una donna indigena, delegata
del CNI come candidata indipendente che partecipi a nome del
Congresso Nazionale Indigeno e dell'Esercito Zapatista di Liberazione
Nazionale nel processo elettorale dell'anno 2018 per la presidenza
di questo paese.
Ratifichiamo che la nostra lotta non è per il potere,
non lo cerchiamo, bensì che chiameremo i popoli originari
e la società civile a organizzarsi per bloccare questa
distruzione, rafforzarci nelle nostre resistenze e ribellioni,
ovvero nella difesa della vita di ogni persona, ogni famiglia,
collettivo, comunità o quartiere. Costruire la pace e
la giustizia dal basso, da dove siamo ciò che siamo.
È il tempo della dignità ribelle, di costruire
una nuova nazione per tutte e tutti, di rafforzare il potere
dal basso e alla sinistra anti capitalista, e che paghino i
colpevoli per il dolore di questo Messico multicolore9”.
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Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 - I tanti striscioni che sventolavano all'esterno degli edifici del Caracol foto: Gaia Raimondi |
Raul Zibechi: “Pratiche in divenire”
Sono passati più di vent'anni da quando, nel 1994, l'EZLN
irruppe nello scenario politico internazionale come un' esperienza
di organizzazione che, rivendicando i diritti alla diversità
ed all'eguaglianza, mise e mette continuamente in discussione
le tradizionali forme di lotta. Vent'anni durante i quali gli
zapatisti hanno costruito nei propri territori una proposta
di società alternativa ed autonoma, in cui “il
popolo comanda ed il governo obbedisce”. In tutto questo
tempo non hanno mai smesso di portare avanti il loro ambizioso
progetto di mutamento radicale delle proprie condizioni di vita,
in autonomia e rifiutando il malgoverno di uno stato
che li vorrebbe seppellire per speculare su quelle terre, strappandone
e sfruttando le risorse con infrastrutture e turismo selvaggio,
incurante del patrimonio indigeno millenario di persone che
hanno scelto di non piegarsi di fronte all'Idra capitalista10
che resiste in quei luoghi meravigliosi del sud del Messico.
Uno stato che cerca di annientare una sacca di resistenza reale
con una guerra di logoramento, di bassa intensità, fatta
di incursioni paramilitari, di insidie quotidiane e di corruzione,
di una guerra fra poveri al fine di portare gli indigeni in
lotta ad arrendersi o peggio ancora ad annientarsi l'un l'altro.
Ventitré anni di lotta, di trasformazione tangibile e
sempre in evoluzione costante. In appendice al libro di Orsetta
Raul Zibecchi dialoga con l'autrice, sostenendo che “lo
zapatismo si sia reinventato,sviluppato, evoluto. E che nel
guardare le società in movimento si possono osservare
due aspetti: le istituzioni o le loro pratiche; generalmente
le seconde sono i fattori interessanti in grado di costruire
e alimentare il movimento.
Nel caso chiapaneco le comunità zapatiste sono allora
pratiche in divenire e la creazione della Giunta del Buon Governo
zapatista invece un'istituzione, ricca però al suo interno
di pratiche in grado di trasformare realmente le persone.”
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Un'opera di Beatriz Aurora, artista originaria di Santiago del Chile che ha poi preso la cittadinanza messicana e che dal 1994 dà voce con le sue opere, le sue “storie dipinte” come lei le definisce, all'immaginario e alle attività zapatiste |
Disuguaglianze di genere
Sono passati ormai quasi 10 anni da quando ebbi la fortuna
di assistere ad un incontro mondiale al Caracol de la Garrucha,
in Chiapas, di donne zapatiste che incontravano le donne del
mondo, nel consueto appuntamento di fine anno dedicato in quell'occasione
alle donne; la prima fine dell'anno sui generis nell'esperienza
pubblica zapatista, un enorme lavoro dedicato alla Comandanta
Ramona y a las mujeres zapatistas, che per quei giorni furono
le uniche con diritto di parola e intervento, in assemblee di
giornate intere, laboratori, spettacoli teatrali, canti e condivisione
mondiale. Gli uomini potevano ascoltare e dedicarsi ad altre
attività utili allo svolgimento di un incontro con migliaia
di persone provenienti da tutto il mondo, nel bel mezzo della
Selva Lacandona, alla logistica, alle questioni tecniche e organizzative
di una vera e propria invasione pacifica e interessata di attiviste
e attivisti in un punticino di mondo nascosto nella natura rigogliosa
del sudest messicano.
Fu una sensazione alquanto paradossale quella di sentirsi nel
mezzo della Selva, in un luogo raggiungibile solo con giorni
di viaggio e mezzi improbabili, a confrontarsi con le donne
di tutto il mondo, a partire dalle voci zapatiste e con modalità
veramente orizzontali, almeno per quelle occasioni. In quelle
giornate indimenticabili le donne si raccontavano, nel loro
processo di liberazione da una situazione di schiavitù
e oppressione assoluta, in quanto donne, in quanto indigene
e in quanto povere e la necessità di studiare, di apprendere,
di liberarsi dalla schiavitù dell'ignoranza e della sottomissione
domestica e familiare, per abbattere la triplice oppressione
che le affliggeva.
In meno di 30 anni le zapatiste, attraverso la loro pratica
di resistenza e di trasformazione quotidiana, hanno creato una
crisi nel discorso egemonico e portato nelle assemblee i problemi
causati dalle diseguaglianze di genere, prima non riconosciuti
e dunque considerati parte della vita. Le zapatiste hanno imparato
a resistere dentro la resistenza, clandestine fra clandestini.
Si stanno facendo carico dei cambiamenti di cui hanno bisogno,
e come recitano spesso le pitture murali nei caracoles
raffigurando lumache incappucciate: “Lent@s, pero avanzamos!”.
Potranno sicuramente apportare consigli sapienti alla futura
candidata indigena, che non sarà zapatista, questo lo
abbiamo capito, ma che necessiterà del supporto e del
tesoro esperienziale delle donne insurgentas.
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San Cristóbal de las Casas, Chiapas (Messico), novembre 2016 - Un oratore zapatista durante la conferenza “Che tremi nei suoi centri la terra” tenutasi al CIDECI, Università popolare autonoma e autogestita della Terra |
Contro il patriarcato, il femminismo comunitario
A distanza di tempo e spazio, mentre sorreggo lo striscione
per il corteo dell'otto marzo milanese, in mezzo a tutte quelle
donne con cui condivido la strada e la necessità di urlare
ciò che pensiamo, viviamo e vogliamo cambiare, la memoria
corre a di quell'incontro di donne incappucciate, con sguardi
vivi e così caparbie, fiere, che nei loro abiti tradizionali
col volto coperto dal passamontagna animarono le tende affollate
e caldissime di quel lontano vivido ricordo, nel cuore della
Selva Lacandona, consapevole che di strada ce n'è ancora
da fare, per tutte, ma con la certezza che dei reali risultati
siano stati ottenuti in un processo ancora lungo ma necessario,
di liberazione, consapevolezza e autodeterminazione delle donne
indigene. Molte delle rivendicazioni zapatiste promuovono un
femminismo comunitario che combatte il patriarcato a
partire dal modo di pensare indigeno e decolonizza il termine
stesso, femminismo, figlio del pensiero filosofico occidentale
pur rispettando le lotte delle donne europee e nordamericane.11
“Sorelle, fratelli, compagne, compagni, scienziate, scienziati, cosa pensate delle donne sfruttate, manipolate, marginalizzate, assassinate, torturate, sequestrate, discriminate per il colore della pelle, ci usano come oggetti per fare promozione alle mercanzie del capitalista, ci usano come pubblicità, per la propaganda e il traffico di droghe, ci usano per ottenere soddisfazioni sessuali, ci prostituiscono per ottenere vendite di articoli per arricchirsi? Perché vediamo con dolore la violenza e la morte che di giorno in giorno subiscono migliaia di donne nel mondo, e non solo sentiamo dolore, ma rabbia e coraggio.
Ad esempio, noi, come donne zapatiste, stiamo esercitando il
nostro diritto e la nostra libertà di partecipare al
nostro governo autonomo del comandare ubbidendo, abbiamo visto
che si tratta per noi di uno spazio per costruire una nuova
società. Cosa pensate, come scienziate, di potervi liberare
di tutte queste sofferenze e queste malvagità, alle quali
ci sottopone il sistema capitalista, cosa possiamo fare noi
e voi? Perché senza noi donne il mondo non vive, per
quanto tempo dobbiamo aspettare, come donne, di essere libere,
è ora o mai più? Noi, come donne zapatiste, vediamo
che è possibile organizzarsi, lottare e lavorare, e vediamo
che voi e noi abbiamo bisogno le une delle altre.”12
Gaia Raimondi
Il titolo di questo articolo è lo stesso della conferenza tenuta dall'EZLN per sostenere la promozione di una candidata indigena del CNI alle presidenziali del 2018 in Messico.
- Tanto per usare un termine tanto caro alle geografie narrative
zapatiste.
- Giro di presentazioni.
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
- Racconti, storie.
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/27/alcune-prime-domande-alle-scienze-e-alle-loro-coscienze/
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
- Ibidem.
- http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/10/15/che-tremi-nei-suoi-centri-la-terra/
- Il volume Il pensiero critico di fronte all'Idra Capitalista,
edito in Italia da Ienne edizioni, racchiude gli interventi
dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) presentati
in “Homenaje a los compañeros Luis Villoro Toranzo
y Maestro Zapatista Galeano”, evento realizzato nel
Caracol di Oventic il 2 maggio 2015, e durante il Seminario
“El Pensamiento Critico frente a la Hidra Capitalista”
che si è svolto dal 3 al 9 maggio 2015 presso il CIDECI
(Centro Indígena de Capacitación Integral) a
San Cristóbal de las Casas, Chiapas – Messico,
con la partecipazione di numerose organizzazioni, realtà
di base, attivisti e studiosi dal Messico e dal mondo. Gli
interventi, racchiusi nel volume, uniscono la riflessione
e l'esperienza, secondo il principio zapatista “né
teoria senza pratica, né pratica senza teoria”.
Sono frutto della discussione avvenuta nelle comunità
zapatiste sulla necessità, a fronte delle mutazioni
in atto del capitalismo, dentro la sua incessante azione di
saccheggio e depredazione del pianeta e della vita con le
conseguenze drammatiche che si vivono in ogni dove, di aprire
un dibattito globale. L'idra, mostro mitologico dalle cento
teste, é la metafora usata per raffigurare il sistema
che attualmente governa il mondo: se una testa viene mozzata,
al suo posto ne spuntano due, si adatta, muta ed è
capace di rigenerarsi completamente a partire da una sola
delle sue parti. Le riflessioni che provengono dalla lotta
indigena del sud-est messicano si impongono per la grande
forza evocativa e l'urgente attualità, caratteristiche
che fanno di questo libro una lettura ricca di suggestioni
per capire il presente e le alternative possibili nella costruzione
di “un mondo che contenga molti mondi”.
- Orsetta Bellani, Indios senza re. Conversazioni con gli
zapatisti su autonomia e resistenza, La Fiaccola, Ragusa,
giugno 2016.
- “Alcune Prime Domande alle Scienze e alle vostre Coscienze”
giornate di dibattito, 26 dicembre 2016, presso CIDECI-Unitierra,
Chiapas, Messico, America Latina, Pianeta Terra, Sistema Solare,
eccetera. SupGaleano.
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