dibattito pensiero anarchico
Un anarchismo senza aggettivi
di Francesco Codello
Tra relativismo e universalismo si gioca un'importante partita per il pensiero anarchico. Che deve sapersi muovere con equilibrio e apertura mentale senza cadere nei due estremi. Lo sostiene qui il nostro collaboratore, che ha appena pubblicato con Elèuthera “La condizione umana nel pensiero libertario”.
Una interessante figura di militante anarchico spagnolo, Ricardo Mella (1861-1925) introduce nel dibattito teorico sull'anarchismo la definizione di “anarchismo senza aggettivi”. In questa sede non svilupperemo, per ragioni di spazio, una presentazione del pensiero e della vita di questo anarchico galiziano che meriterebbe anche in Italia di essere conosciuto e discusso, perché molte delle sue osservazioni e analisi possono essere opportunamente dibattute e sviluppate. Ciò che qui interessa è affrontare un breve ragionamento sull'anarchismo a partire proprio da questa definizione introdotta da Mella e da un altro anarchico cubano Fernando Tarrida del Mármol (1861-1915).
Questa interpretazione dell'anarchismo, “senza aggettivi”, sostiene che è necessaria una tolleranza tra le varie tendenze anarchiche, spesso colpevoli di dar luogo a guerre intestine che talvolta compromettono la potenzialità delle idee e delle pratiche libertarie. Si tratta dunque di un pensiero che supera le varie distinzioni tra individualisti, collettivisti, comunisti, ecc. a favore dell'identificazione di una comune matrice, quella anarchica, che va declinata pertanto senza “aggettivi” che la specifichino ulteriormente, in una visione pluralista del pensiero libertario, aperta e disponibile nel riconoscimento reciproco, frutto di sensibilità e preferenze, scelte e necessità, appunto diverse e variegate. Questa prospettiva ci consente di riflettere su alcune questioni importanti per una continua e proficua valutazione del pensiero anarchico e libertario, in particolare ci aiuta a districarci tra alcuni principi che appaiono essere contrapposti o perlomeno inconciliabili. Si tratta, ad esempio, del divario che viene spesso evidenziato tra l'assunzione di una prospettiva relativista e una universalista.
Non si tratta di argomenti strettamente filosofici, perlomeno non ci interessa svilupparli secondo questa esclusiva prospettiva, quanto di nodi teorici che hanno però dei risvolti direttamente legati ai comportamenti concreti. L'universalismo pretende di ipotizzare la necessità o la spiegazione della vita degli esseri pensando o all'esistenza per natura di caratteristiche comuni, oppure a una prospettiva teleologica, che possa unificare i comportamenti e le idee degli esseri umani in una visione appunto universale, cioè valida per tutti e quindi che non sia condizionata in alcun modo dalla storicità della vita stessa. Il relativismo, al contrario, assume la prospettiva di negare ogni universalità delle idee e dei comportamenti, spiegando tutto ciò che attiene all'umano, secondo la relatività delle condizioni storiche, geografiche, culturali, ecc.
L'universalismo rischia di divenire forzatamente una sorta di metafisica, il relativismo di giustificare ogni comportamento e di spiegarne la genesi relativizzandone ogni aspetto. Che centra tutto questo con l'anarchismo e con il pensiero libertario? Proviamo allora a capirlo chiaramente e sinteticamente. Ogni anarchico porta dentro di sé la convinzione profonda e radicata che le proprie idee, i propri valori, siano quelli giusti per permettere, nella loro applicazione concreta, a ogni essere vivente, di realizzare il più pienamente possibile le proprie aspettative e di costruire una società adeguata e coerente nel garantire una espansione massima della libertà individuale dentro una estesa e concreta uguaglianza sociale. In questo senso allora ogni anarchico alimenta dentro di sé la speranza (talvolta anche la “convinzione certa”) che questi valori siano propri e alla portata di tutti gli altri esseri umani. Questa persuasione contiene inevitabilmente una qualche sorta di universalità.
L'ambivalenza, forza dell'anarchismo
Allo stesso tempo ogni anarchico è ben convinto che i comportamenti e le aspirazioni degli uomini e delle donne con cui convive, siano il frutto continuo di specifiche condizioni e che pertanto ogni comportamento sia in qualche modo spiegabile e finanche giustificabile. Questo significa che ciascun libertario tende a relativizzare sistematicamente ciò che accade, anche le cose peggiori, perché deve forzatamente negare che il male sia il frutto di una qualsiasi naturalizzazione essenzialista. Proprio questa ambivalenza, che appare ai critici dell'anarchismo stesso come una inesorabile debolezza e una insanabile contraddizione, costituisce, a mio modo di vedere, invece la forza vera del pensiero anarchico.
Noi siamo stati da sempre abituati, in Occidente, a sviluppare il nostro ragionamento in forma binaria e duale: dalla teologia monoteista alla filosofia hegeliana e marxista, dallo scegliere tra bene e male, tra bianco e nero, tra giusto e sbagliato, insomma sempre di fronte a una dualità secca, inconciliabile, oppositiva. Le tradizioni, pur occidentali, di un pensiero invece più attento alle sfumature del ragionare, sono state spesso trascurate o lasciate a piccole cerchie di pensatori poco ascoltati. Questo dualismo imperante talvolta contamina anche un pensiero per definizione eretico come il nostro e mi pare che si debba invece dare spazio ai fondamenti logici ed epistemologici che l'anarchismo contiene in sé.
Ecco perché ritengo che i due aspetti della questione siano non solo conciliabili ma, anzi, necessariamente e reciprocamente indispensabili. Il problema è nella parte finale e comune delle due parole, vale a dire nell'“Ismo”.
La mia proposta di discussione e di riflessione è relativa alla necessità di riappropriarsi dei due concetti liberandoli da questo “ismo”. Quando relatività e universalità diventano relativismo e universalismo non sono più utilizzabili e compatibili con un pensiero libertario all'altezza delle sfide contemporanee.
Dimensione sperimentale
Noi abbiamo necessariamente l'ambizione e la speranza che i nostri valori siano condivisi e condivisibili se non da tutti, cosa ovviamente impossibile, da una gran parte degli esseri umani ma, al contempo, sappiamo anche che questa dimensione universale è esclusivamente un'ambizione, una visione, una speranza, e non può divenire in nessun caso, pena la perdita del senso dell'idea anarchica stessa, una certezza. Allo stesso tempo sappiamo che non possiamo e non vogliamo in nessun modo spiegare e uniformare il mondo imponendo con la forza, né tantomeno con la predicazione messianica, i nostri principi e valori in nome di una pretesa e presunta verità. Quindi possiamo dire che aspiriamo all'universalità ma non pensiamo a nessuna forma di universalismo.
Quando spieghiamo i comportamenti umani cercando di cogliere la genesi degli stessi contestualizzandoli e cercandone delle spiegazioni che ci consentano di non assumere delle predefinite ipotesi, evitando di assimilarci ai tanti che valutano il risultato finale di un'azione senza interrogarsi sul processo che l'ha determinata, noi relativizziamo giustamente le nostre considerazioni. Ma quando questa relativizzazione diviene un valore astratto, assoluto, senza che subentri un doveroso giudizio critico che sappia anche assumere un giudizio etico e morale, noi cadiamo nel relativismo, sosteniamo quindi una totale giustificazione a prescindere.
Questo relativismo è pertanto pericoloso e fuorviante, in quanto consente a chi lo predica e lo pratica, di accettare ogni cosa in nome della sua relatività storica. Ecco perché, in estrema sintesi, noi siamo portatori sia di un pensiero che speriamo si universalizzi sempre più ma, al contempo, pratichiamo un metodo di ricerca e di spiegazione dei fatti che colga la relatività dei processi umani senza divenire asettico e insensibile (relativismo) a qualsiasi giudizio etico e morale.
Ancora una volta il pensiero anarchico, se vissuto nella prassi in modo aperto e antidogmatico, si sforza di uscire dalla ghettizzazione prodotta dalla logica duale e chiusa delle forme teleologiche e metafisiche della tradizione occidentale. Appaiono evidenti e immediate le conseguenze che ne derivano nella prassi quotidiana delle nostre relazioni sociali e si può evincere chiaramente che è necessaria l'assunzione, di fronte alla vita, di una postura che non si faccia rinchiudere dentro la logica ferrea della dualità.
Per fare questo è indispensabile aggiungere un'altra caratteristica che possa fare dell'anarchismo un'idea sempre più attuale, quella di pensarlo in una dimensione sperimentale e concreta, (“senza aggettivi”), perché solo il confronto e la pratica dei suoi presupposti fondativi è in grado di alimentarne la necessaria vitalità e di proteggerlo da ogni forma di dogmatismo.
Francesco Codello
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