rivista anarchica
anno 47 n. 416
maggio 2017






David e Boccaccio
ovvero il Decameron di Riondino


Un geniale eclettico

David Riondino è un autore, cantante, attore e fantasista di cui troppo poco si occupano i critici letterari, musicali, teatrali e affini, eppure è uno a cui non solo la canzone, ma direi la cultura italiana in generale, deve e dovrà moltissimo.
Riondino è un eclettico impenitente, e degli eclettici si sa il nostro Paese non si fida, quasi che saper giocare con musica e versi non fosse una cosa seria e ci turbasse questo artista con molte, moltissime anime.
Troppo nota la sua anima goliardica, parodistica e improvvisativa che negli anni '80 ha rischiato di fagocitare tutte le altre: il celebre Joao Mesquinho televisivo, ovvero la sua incarnazione in un musicista brasiliano in grado di commentare immediatamente ogni personaggio o racconto pescando una canzone a tema (in realtà inventandola sul momento) da un improbabile quanto sterminato repertorio. Negli anni settanta Riondino aveva però fatto parte, insieme alla sorella Chiara, del Collettivo Victor Jara, pilastro della canzone di protesta fiorentina. Poi si può dire che abbia cambiato stili e temi a ogni disco. Dischi equilibrati tra ballate serie e facete come “Boulevard” (1980) o “Racconti Picareschi” (1989), dischi cronachistici di commento alle vicende della politica come “Temporale” (1994), dischi-racconto millenaristici e filosofici, come “Tango dei Miracoli” (1987), “Non svegliate l'amore” (1991), operazioni editorial-discografiche come la “Cantata dei pastori immobili” (2004), “Dante inferno” (2002), ecc.
Non trascuriamo poi la sua lunga lunghissima militanza per teatri, cabaret, cinema e radio, accanto a colleghi quali Paolo Rossi, Sabina Guzzanti, Dario Vergassola, Stefano Bollani.

Boccaccio's songs!

La letteratura, la poesia sono campi assai frequentati da Riondino, in grado di cantare Gozzano, Lorca o Milosz o di raccontare su un palco per esteso la storia della Signora Bovary.
Nel 2016 dando concretezza sonora a un progetto già a lungo rappresentato dal vivo, Riondino ha pubblicato per l'etichetta Materiali Sonori un disco-capolavoro: “Bocca baciata non perde ventura...”, si tratta di una riduzione in ballate di un'antologia di novelle dal “Decamerone” di Giovanni Boccaccio. L'operazione ha dell'incredibile, non lettura ritmica né poesia musicata, questo disco è una vera traduzione in canzone di uno dei maggiori classici della letteratura mondiale, e della prosa per antonomasia fondativa della “volgar lingua”. Col Boccaccio e a braccetto di Riondino entriamo nella fucina in cui fu forgiato l'Italiano. Un'impresa da far tremare i polsi quella di provare a cantare il “Decamerone”, perché dietro ogni angolo si trovava in agguato l'insidia da una parte di sfrondare di tutta la sua bellezza la difficile comprensibilità dell'idioma trecentesco, dall'altra del rischio di fare il verso al Brancaleone di Monicelli e a tutto il medioevo da operetta.
La grazia con la quale Riondino è invece riuscito a rendere non solo credibile, ma anche fluido questo linguaggio nelle sue ballate ha del miracoloso: perfettamente reinventato e del tutto aderente, questa è una delle più ardite operazioni della nostra canzone. Come nelle opere più mature non sapremmo dire se il racconto corre libero sulla sua lingua, o se le perle linguistiche s'inanellano a punteggiare il diadema del plot, di sicuro vi so dire che io mi son perso e ritrovato in ripetuti ascolti di questo disco raro, senza mai stancarmi di scoprirci nuovi particolari.
Ricchezza nella ricchezza, non solo alcune delle più belle novelle di tutti i tempi trovano qui la loro versione ideale cantata, ma la cornice stessa dell'opera - i cavalieri e le dame che per sfuggire la pestilenza abbandonano Firenze e sfollano in campagna dove passano il tempo raccontandosi per l'appunto queste novelle - è ben presente nel disco, introduce e sottende al discorso o si fa foschissima visione nella canzone dedicata alla peste. E se da una parte l'autore “Messer Boccaccio” ha modo di dire la sua in forma di dedica e proemio o nella sua particolarissima invocazione alle Muse, così anche l'autore “David Riondino” interviene in una chiosa alla celeberrima storia di Federigo degli Alberighi che cuoce il suo nobile Falcone (unica ricchezza rimastagli) per offrire degno pranzo alla donna amata, prendendo il punto di vista del Falcone stesso per stigmatizzare il comportamento biecamente anti-animalista di “quello stronzo di Federigo”!

Questo tesoro della montagna

La più bella canzone del disco, posta esattamente al suo centro, è “Il professore e l'autografo del Boccaccio” dove la magia della letteratura che traluce dal prezioso manoscritto ingaggia singolar tenzone con i fatti minuti e le tragedie collettive del nostro tempo.
Per il resto l'argutezza sensuale di “Madonna Filippa” che convince i suoi giudici non solo a risparmiarle l'orrenda fine prevista per le fedifraghe, ma anzi di plaudirla, la straziante storia d'amore e di morte di Tancredi e Gismonda, l'odissea erotica della bellissima saracina Alatiel, la beffa giocata ad Anichino ci fanno rivivere un medioevo meno gotico di quello cui siamo abituati, un medioevo giocoso e romantico, passionale e carnale. “Il monaco della Lunigiana”, “Frate Puccio”, la “Storia di una monaca” che si reca a rimproverare una novizia ancora troppo incline ai piaceri della carne con in capo al posto del velo le braghe di un amante, ci immergono in quel topos tutto boccaccesco che alimenterà per secoli il livore dei mangiapreti, innestandosi direttamente nel canzoniere laico e anarchico e nelle facezie anticlericali.
Unico neo di questo CD bellissimo, certi arrangiamenti troppo affrettati, certi suoni troppo di plastica, dovuti probabilmente a una grave insufficienza di budget in fase di registrazione. Ciò ci riporta direttamente a notare quanto poco sia stato fatto per far conoscere questa operazione, che sarebbe utilissima a farci vedere con occhi puliti da ogni incrostazione scolastica uno dei tre classici maggiori della nostra letteratura delle origini. Ma le cose così stanno, e toccherà andare a scavare anche questo tesoro dalla montagna sorvegliata dal drago dell'indifferenza e della morta gora della nostra cultura popolare.

Alessio Lega



Un augurio e un nuovo libro
per la nostra grande Giovanna

Giovanna Marini, la nostra grande Giovanna, in piena forza e attività compositiva e concertistica, lo scorso 19 gennaio è arrivata a compiere 80 anni.
Dire che Giovanna Marini sia un grande compositore, un musicista geniale e per soprammercato una donna di lettere e di poesia è cosa tanto scontata quanto necessaria. Che sia una persona coraggiosa, che è andata a testa bassa contro moltissime convenzioni, sconvolgendo il maschilismo, la melomania reazionaria, e irridendo tre o quattro ortodossie assieme è il minimo riconoscimento che le si possa fare. Che - nonostante il suo status universalmente riconosciuto - le abbiano dato il minimo possibile di allori e glorie è una vergogna che non riguarda lei, ma noi e il nostro provincialismo, la nostra paura dell'intelligenza femminile, il sospetto per gli artisti che si sono messi al servizio di una causa.
Le legioni di allievi, di appassionati di musica popolare, di persone che hanno scoperto che passione, studio, rielaborazione, ricerca, umiltà, ascolto, originalità siano una sola rivoluzionaria essenza, sono il Teatro diffuso che non le hanno mai affidato, il Conservatorio che non le hanno fatto dirigere. Faccio i miei più sentiti auguri a questa donna straordinaria per aver cumulato centosessanta secoli di esperienza, canto e sapere e averceli raccontati come una fiaba, per noi e per chi verrà dopo.
Voglio anche segnalarvi che di recente per i tipi di Castelvecchi è uscito un bel libro che rintraccia il suo percorso “Io Vorrei. La lezione di Giovanna Marini” del giornalista Paolo Crespi. È un'operazione onesta e che prova - con l'aiuto di alcuni testimoni “di lusso” quali Ovadia, Celestini, De Gregori, Capossela, Portelli, Colle, ecc. a colmare una lacuna indecente: una biografia artistica, pulita da incrostazioni militanti e non troppo rivolta agli addetti lavori come alcune (pur eccelse) produzioni editoriali precedenti.

A.L.