dibattito donne e diritti
Femminismo e religione. Relazione impossibile
intervista a Hamid Zanaz della redazione di “A”
La nostra rivoluzione: voci di donne arabe è il secondo libro, pubblicato da Elèuthera, di questo professore universitario algerino, costretto a trasferirsi in Francia 24 anni fa a causa delle sue posizioni critiche con la religione ufficiale. Sostiene tesi criticate e critiche con alcune posizioni della sinistra (non solo) francese. Ateo e libero pensatore, Zanaz è in contrasto acceso con le tre religioni monoteiste, quella islamica (la sua originaria) in primis. Il dibattito resta aperto.
È da
poco uscito il tuo libro La nostra rivoluzione:
voci di donne arabe (Elèuthera, Milano, 2017, pp.
136, € 13,00) che si compone di interviste sulla condizione
femminile nel mondo arabo-musulmano. Su “A” ci piacerebbe
riportare la tua opinione in merito ad alcune critiche che sono
state fatte al tuo libro. Una di queste riguarda le testimonianze
raccolte, che sono prevalentemente quelle di donne della classe
media o alta, a contatto con la civiltà occidentale se
non residenti in paesi occidentali. Pensi che questo possa in
qualche modo influenzare negativamente le conclusioni del libro?
La domanda sull'identità delle donne intervistate è
molto pertinente, anche se nessun commentatore del mio libro
l'aveva mai posta. Mi offre quindi l'opportunità di spiegare
perché ho scelto proprio loro.
Ho voluto presentare al lettore occidentale delle militanti
appartenenti al mondo arabo e islamico, delle progressiste,
attiviste, universitarie, artiste che lottano, ognuna a suo
modo, contro l'integralismo islamico, nemico giurato della donna
araba e della sua emancipazione. Tra di loro ci sono delle studiose
che si interrogano sulla realtà religiosa islamica con
un ineguagliabile rigore scientifico, come ad esempio le tunisine
Amal Grami, Rajaa Benslama e Oulfa Youssef, che hanno sempre
lavorato e vissuto in Tunisia.
Invece Zinab al-Rahouzi è stata giornalista prima in
Marocco e poi in Francia, dove ha collaborato con Charlie Hebdo,
e conosce benissimo l'islam. In Marocco si è battuta
per la libertà di non digiunare durante il ramadan ed
è contraria al velo e al niqab, che considera un «simbolo
di appartenenza a un'identità islamica immaginaria»,
un'identità islamica illusoria insomma. Come Joumana
Haddad vuole emancipare il corpo femminile, sostiene che «i
giovani musulmani occidentali sacralizzano la verginità
proprio quando i giovani in Marocco hanno ormai superato la
questione». Haddad contraddice tutti gli pseudo-specialisti
francesi dell'islam quando sostengono che questo non ha niente
a che vedere con la difficoltà d'integrazione dei musulmani
in Francia: «Credo che per i suoi adepti, che desiderano
applicarne alla lettera i princìpi, l'islam sia l'ostacolo
principale alla loro integrazione nella società francese».
Faouzia Charfi, professoressa di fisica a Tunisi, critica, a
ragione, i libri che cercano di attribuire al Corano dei «miracoli
scientifici» e che pretendono che tutta la scienza, anche
quella moderna, «si trovi» nel testo coranico.
La marocchina Sanaa El-Aji vive e lavora in Marocco. Questo
non le impedisce di criticare la società musulmana marocchina,
in cui tutto ciò che riguarda il diritto privato, come
«matrimonio, divorzio e relazioni sessuali deriva direttamente
dalla legge coranica». Secondo quest'ultima «l'uomo
che non tiene a bada i suoi istinti è un animale».
La giornalista denuncia inoltre le molestie sessuali, risultato
della separazione tra uomini e donne nello spazio pubblico e
della mancanza di gruppi misti.
Ecco dunque alcuni esempi delle voci femminili intervistate
nel mio libro: sono moderne, vivono come tutte le altre donne
del loro tempo, e anche se alcune di loro risiedono in occidente,
il loro impegno contro l'arcaismo e la lotta per migliorare
la condizione della donna nei propri paesi, non ne risentono.
Nonostante l'ottima accoglienza del libro nel mondo arabo, ci
sono sempre degli occidentali più realisti del re! Che
continuino pure a difendere il velo e l'islamismo in casa propria!
Queste donne libere non hanno bisogno dei loro consigli e sono
coscienti del pericolo islamista perché lo conoscono
dall'interno.
Integralismo islamico e colonialismo
Siccome alcuni paesi islamici sono ex-colonie di
potenze occidentali, alcuni ritengono che un approccio positivo
verso l'islam e le credenze locali sia doveroso in quanto “riparatorio”
della condizione coloniale nella quale vertevano quei paesi.
Che rapporto vedi tra questo stato ex-coloniale e la critica
islamica all'occidente? Inoltre, la condizione coloniale ha
favorito determinati aspetti della cultura dei paesi islamici?
Parlare di legame tra fanatismo e colonialismo serve per confondere
le idee. Il fanatismo religioso è esistito prima, durante
e dopo il colonialismo. Prendiamo l'esempio dell'Arabia Saudita:
non è mai stato colonizzato, eppure è il paese
più integralista, quello che ha contagiato tutti gli
altri paesi arabi e che ha fatto fallire, in gran parte, la
secolarizzazione e la modernizzazione di tutto il mondo arabo.
I musulmani non hanno aspettato l'arrivo del colonialismo per
naufragare nel caos, già nel XV secolo ci sguazzavano
dentro. La loro civilizzazione, infatti, si è fermata
nel XII secolo. Per questo l'atteggiamento dei maggiori studiosi
e politici musulmani del XX secolo è più isterico
che storico, quando sostengono che l'arretramento culturale
economico e politico è causato dal colonialismo e dal
complotto giudaico-cristiano. I commentatori dimenticano che,
a rigor di logica, la decadenza precede il colonialismo. All'inizio
del XIX secolo le società islamiche si sono indebolite
a tal punto da non riuscire proteggersi e far fronte alle nascenti
ambizioni dei propri vicini in pieno boom economico, culturale
e scientifico. Il mondo musulmano è stato colonizzato
perché era decadente. Non è decadente perché
è stato colonizzato. Anche se la colonizzazione ha contribuito
a mantenerlo, in un modo o in un altro, nel suo stato miserevole,
la decadenza è la conseguenza del dominio della religione
sulla società. In mancanza di azioni serie di demistificazione,
la rigidezza religiosa ha preparato le società musulmane
alla «colonizzabilità».
Questa visione oscurantista che inverte gli effetti e le cause,
coltivata su larga scala, non educa all'obiettività storica.
Nelle sue Illusioni perdute, Balzac faceva già
notare che ci sono «due storie: la storia ufficiale, menzognera,
che ci viene insegnata, e la storia segreta dove si trovano
le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa.»
Gli intellettuali arabi evocano sempre le specificità
culturali della regione. Ma nessuno fino ad oggi si è
preso la briga di dire che l'autoritarismo politico, l'oscurantismo
religioso, l'oppressione della donna, il culto dell'ignoranza
e il disprezzo della vita fanno parte anch'essi di quelle specificità
che coltivano dai tempi delle indipendenze nazionali!
Quindi riassumendo, l'integralismo islamico e l'odio dell'Occidente
esisterebbero comunque, indipendentemente dalla colonizzazione.
La misoginia è nella natura di ogni religione
Fra le testimonianze riportate nel libro c'è
quella di Joumana Haddad, giornalista e insegnante libanese,
che afferma: “Penso che il femminismo non possa essere
teorizzato all'interno delle tre religioni monoteiste. Anzi,
parlare di femminismo cristiano, ebraico o islamico è
un ossimoro”. Tu cosa ne pensi?
Joumana Haddad, giornalista e poetessa libanese, non chiede
il permesso di emanciparsi, ma lo esige e lo prende. Per lei,
l'emancipazione comincia con l'educazione, l'indipendenza economica
e l'uguaglianza dei diritti tra i due sessi. Ricusa il velo,
che non esprime una «diversità culturale»
ma è «uno strumento di differenziazione e discriminazione
religiosa». Una donna con il burka non può essere
femminista. La giornalista auspica l'emancipazione fisica e
mentale della donna, e per questo ha creato una rivista culturale
erotica «Jasad» (corpi). La donna, insomma, deve
vivere i suoi desideri e rivendicarli.
La misoginia è inscritta nella natura di ogni religione.
Joumana Haddad ha perfettamente ragione, condivido a pieno il
suo punto di vista, che è d'altronde quello di tutti
i conoscitori della storia del monoteismo. Come si può
parlare di un femminismo ebraico, cristiano o islamico quando
si conosce la misoginia intrinseca di queste tre religioni?
È una contraddizione in termini, un controsenso.
La nostra amica Joumana risponde in questo caso a una nuova
moda del mondo arabo, che vuole islamizzare ogni cosa e con
ogni mezzo, per arrivare alla conclusione che tutto è
stato inventato dall'islam, persino il femminismo. Si tratta
di una manipolazione islamista: il femminismo cosiddetto islamico
è una trovata per ostacolare l'emancipazione della donna
araba e rinchiuderla nella gabbia della sharia islamica.
Per la studiosa Amal Grami, già citata sopra, lo scopo
ultimo del discorso religioso è «consolidare i
privilegi maschili». Critica le donne islamiste che si
sottomettono, per «disciplina, al servizio dell'interesse
generale» e che ritengono «tale sottomissione sia
una condizione necessaria del lavoro politico». Considera
tuttavia positiva «la concorrenza tra le donne islamiste
e i muftì (una delle massime autorità religiose)»
nel lavoro di proselitismo. La sua aspra critica è rivolta
ai Fratelli Musulmani che accettano la donna unicamente in quanto
«moglie, madre, sorella o figlia» e non «fanno
spazio alla vedova, alla nubile...». Infatti per realizzare
l'umma, è necessario «addomesticare la donna»
in modo da giungere al fine ultimo, l'instaurazione della sharia.
Il grido di rivolta di Amal Grami cerca di smantellare la cortina
di fumo creata dai dirigenti musulmani in Francia, che ritengono
la sharia compatibile con la Repubblica.
Parlare di femminismo può forse risultare insolito per
certi occidentali, ma è davvero risibile per coloro che
conoscono la questione islamica da vicino e, soprattutto, per
quelle donne che, nei paesi arabo-islamici, soffrono a causa
delle arcaiche leggi religiose.
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Il libro di Hamid Zanaz, La nostra rivoluzione: voci di donne arabe (Elèuthera, Milano, 2017, pp. 136, € 13,00) |
Critica alla religione o islamofobia?
Un'altra questione delicata che potrebbe essere
sollevata riguarda l'opportunità di avanzare critiche
all'islam in un momento, come quello attuale, in cui le persone
di religione musulmana sono fortemente discriminate. È
vero che un libro come il tuo può incrementare l'islamofobia?
Non vedo alcun legame tra il mio libro e una possibile crescita
dell'«islamofobia». Tra l'altro anche la parola
stessa è problematica perché è stata coniata
dagli islamisti per dirottare il dibattito e utilizzare l'antirazzismo
a favore della lotta contro la blasfemia. È importante
non utilizzarla più per combattere il razzismo invece
della critica laica all'islam.
In realtà questo termine ha una storia alle spalle e
viene purtroppo utilizzato alla leggera. Nel 1979 i mullah
iraniani lo utilizzarono per designare le donne che non volevano
portare il velo come «cattive musulmane», accusandole
di essere «islamofobiche». È tornato poi
fuori all'indomani del caso Rushdie, impiegato da alcune associazioni
islamiste basate in Gran Bretagna, come Al Muhajiroun o la Islamic
Human Rights. Quest'ultima è una commissione, i cui statuti
prevedono «la raccolta di informazioni sugli abusi dei
diritti di Dio». Di fatto, lottare contro l'islamofobia
è in linea con questa visione, perché l'islamofobia
comprende tutti gli affronti alla morale integralista (l'omosessualità,
l'adulterio, la blasfemia e via dicendo). Le prime vittime dell'islamofobia,
agli occhi di tali gruppi, sono i Talebani, mentre gli «islamofobi»
più frequentemente citati sono Salman Rushdie o Taslima
Nasreen! In realtà, lungi dal definire un qualsiasi razzismo,
il termine islamofobia è chiaramente pensato per screditare
chi oppone resistenza agli integralisti, a cominciare dalle
femministe e dai musulmani liberali.
Tutti sanno che in realtà si tratta di combattere le
critiche mossa alla religione, eppure tutti sono caduti nella
trappola dell'«islamofobia». Dopo aver conquistato
le associazioni antirazziste inglesi, il termine è arrivato
in Francia, dove Tariq Ramadan, al contempo musulmano riformista
fondamentalista e militante terzomondista, ne ha permesso la
rapida diffusione nell'estrema sinistra. Da allora inquina i
dibattiti francesi, finendo sempre per mettere sul banco degli
imputati quelli che osano resistere alle interpretazioni politiche
e radicali dell'islam.
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