la rivoluzione russa
Soviet sì Lenin no
di Franco Bertolucci
Gli avvenimenti russi, dalla rivoluzione di febbraio a quella di ottobre, e la loro eco in Italia. Il ruolo di Lenin, dal quasi libertario delle “Tesi di aprile” e “Stato e Rivoluzione” al bolscevico della repressione contro gli anarchici e altri dissidenti politici. Le posizioni degli anarchici italiani, tra solidarietà indistinta ai soviet russi e le prime notizie della repressione rossa. “Non possiamo accettare il potere e la mancanza di libertà”.
La notizia della detronizzazione
dei Romanov e della fine della tirannide russa giunse in Italia
nei primi giorni del marzo del 1917 accolta positivamente da
quasi tutte le forze politiche, a parte il re e il suo seguito
sempre preoccupati che qualche mano o un moto rivoluzionario
mettessero fine al regno di Casa Savoia. Alla Camera dei deputati,
il 16 marzo tutti gli schieramenti politici e i ministri del
governo applaudirono e inneggiarono alla Russia e il ministro
degli esteri, Sidney Sonnino, espresse la propria fiducia nel
movimento rivoluzionario russo, fiducioso che questo potesse
facilitare non certo un «rallentamento» ma una «più
intensa e più energica prosecuzione delle operazioni
belliche». I nazionalisti videro nelle dichiarazioni del
nuovo governo guidato dal principe Georgij E. L'vov, e dal ministro
degli esteri Pavel N. Miljukov, un mantenimento degli impegni
presi con l'alleanza militare contro gli Imperi centrali, seguiti
in questo dai radicali interventisti e dai riformisti che speravano
in un più ampio coinvolgimento del popolo per garantire
la continuità della guerra. Gli interventisti di sinistra
(repubblicani, ex socialisti, rivoluzionari e sindacalisti)
accolsero la notizia dell'abdicazione dello zar con giubilo,
vedendovi la conferma della loro interpretazione politica del
conflitto mondiale che stava inevitabilmente portando verso
uno sbocco rivoluzionario l'intera Europa.
I socialisti – riuniti a Milano il 9 e 10 aprile 1917
la direzione del Partito, il Gruppo parlamentare e il Consiglio
direttivo della Confederazione del lavoro per un esame della
situazione politica internazionale – stilarono un documento
nel quale interpretarono le vicende russe, come il recente intervento
militare americano in guerra, come eventi destinati ad affrettare
un processo di giustizia e libertà e a segnare necessariamente
anche la rinascita di un'intesa internazionale tra i popoli.
Per i socialisti era dovere del proletariato d'ogni paese riunire
le forze e imporre in maniera decisiva la cessazione del conflitto.
«Fare come in Russia» diventò in breve il
leitmotiv della propaganda dei giornali sovversivi e
libertari. Gli anarchici e i propri organi tra i quali «L'Avvenire
anarchico» e «Guerra di classe», periodico
dell'USI, seguirono con trepidazione e crescente simpatia l'evolversi
della situazione. Ragioni politiche e storiche – considerando
anche il diffuso “mito” delle donne e degli uomini
del movimento rivoluzionario russo in Italia – determinarono
questa spontanea ed entusiasta attenzione verso la Russia rivoluzionaria
da parte degli anarchici italiani, che con una visione messianica
attesero la rivoluzione sociale come risposta alla guerra imperialista.
Le differenze scomparvero, le diffidenze no
Le notizie che, tra l'aprile e il maggio, arrivarono via via
in Italia parlavano della crisi del governo provvisorio russo
e dell'opposizione delle frange più estreme, tra cui
i bolscevichi, e sembrarono soddisfare in pieno le aspettative
degli anarchici e dei socialisti.
Gran parte delle informazioni che gli anarchici italiani poterono
avere in quel periodo, in assenza di rapporti diretti con la
Russia, erano filtrate dalle agenzie di stampa internazionali
e nazionali o, ad esempio, dai quotidiani liberali come il «Corriere
della sera» di Milano, «La Stampa» di Torino
– che in un articolo del 21 aprile definì Lenin
come un «anarchico russo» – e il socialista
«Avanti!». Quest'ultimo si distinse però
dagli altri giornali, soprattutto di estrazione liberale, per
il privilegio di avere tra i suoi editorialisti un giovane socialista
rivoluzionario russo, Vasilij V. Suchomlin, che da subito fornì
una lettura originale e vivacissima della rivoluzione in atto.
Di fatto, l'«Avanti!» fu l'unico giornale italiano
che fin dalle prime notizie non interpretò gli eventi
russi, come invece fecero i maggiori quotidiani occidentali,
come un semplice colpo di Stato per una più efficiente
condotta della guerra, un pronunciamento militare organizzato
dagli elementi liberali dell'esercito e della maggioranza della
Duma contro la debole e corrotta politica della corte zarista.
Fu sul numero del periodico pisano «L'Avvenire anarchico»
del 23 marzo 1917 che Virgilio S. Mazzoni pubblicò uno
dei primi articoli dal suggestivo titolo Aurore boreali nel
cielo di Russia. Il militante libertario, non senza un tocco
di enfasi e retorica, salutò la rivoluzione auspicando
il diffondersi del moto rivoluzionario negli altri paesi europei:
La Comune di Parigi non poteva essere commemorata in miglior
modo, a Pietrogrado e in tutta la Russia, ormai incamminantesi
a sua volta sulla via della propria redenzione.
concludendo con:
Intanto la Russia, ch'era in arretrato di un secolo ed un
quarto, sul quadrante della storia, raggiunge le altre nazioni,
per quando suonerà la grande ora. Quell'ora però,
non può scoccare in Russia, se non scocca contemporaneamente
in Germania, in Austria ed in tutta la (Mittel o non Mittel)
Europa.
Tutti gli organismi libertari si prodigarono immediatamente
e lanciarono appelli alla solidarietà e proclami di ammirazione
che il settimanale pisano pubblicò con regolarità:
ricordiamo, ad esempio, il manifesto dell'Unione sindacale italiana
dal titolo Ai proletari rivoluzionari russi pubblicato
da «L'Avvenire anarchico», sul numero del 13 aprile
1917. Il 15 aprile, si svolse a Firenze una riunione ristretta
fra i membri del Comitato d'azione internazionalista anarchica
(CdAIA) e la direzione dell'USI per redigere un manifesto in
solidarietà al popolo russo e stringere accordi nell'eventualità
di un'azione insurrezionale contro la guerra. All'incontro parteciparono
i principali anarchici ancora in libertà tra i quali
il segretario dell'USI, Armando Borghi, Pasquale Binazzi, V.S.
Mazzoni e Temistocle Monticelli. Il CdAIA al termine della riunione
inviò un messaggio di solidarietà agli anarchici
russi e a coloro che si erano battuti per sconfiggere il militarismo
e il dispotismo zarista.
La simpatia degli anarchici per la rivoluzione in Russia, dove
essi, assieme a socialisti rivoluzionari di sinistra e bolscevichi
erano affratellati in un unico fronte rivoluzionario, fecero
in breve scomparire le differenze ma non le diffidenze verso
gli antichi avversari. Va ricordato che all'epoca in Italia
erano pochi a poter vantare non solo una conoscenza approfondita
delle basi teoriche del bolscevismo e del socialismo rivoluzionario
ma anche una chiara visione della mappa geopolitica delle forze
della sinistra, e non solo, che componevano il variegato panorama
del fronte politico che aveva preso il controllo del destino
delle grande paese euroasiatico. Non a caso gli anarchici italiani
erano anche impegnati nel rivendicare il ruolo dell'anarchismo
nella rivoluzione russa, messo in secondo ordine o ignorato
per motivi politici dai redattori del quotidiano socialista
«Avanti!». Camillo Berneri a tale proposito su «Guerra
di classe» del 22 aprile 1917 scriveva:
Avvenire Anarchico ha protestato con un articolo di fondo
contro questo esclusivismo socialista e molti compagni hanno
notato che né nell'Avanti! né, in generale, in
altri giornali è stata messa in evidenza l'azione svolta
dagli anarchici russi, azione che conta diversi anni di attività
ed un martirologio tra i più sanguinanti ed i più
luminosi. Io credo che gli articolisti socialisti abbiano taciuta
la parte presa dagli anarchici nel movimento rivoluzionario
russo perché presi tutti da vivo desiderio di rivendicare
innanzi al proletariato ed al partito tutta l'azione svolta
dai loro compagni di Russia.
Il 15 aprile 1917 a Torino venne stampato e diffuso un numero
unico clandestino «Eppur si muove!», foglio edito
da un «Circolo operaio» sotto il cui nome si nascondeva
in realtà un gruppo ben preciso di libertari che facevano
riferimento a Luigi Fabbri. Il giornale riportò la prima
posizione articolata degli anarchici italiani sulla Rivoluzione
russa.
”È la luce di un sublime incendio”
L'editoriale anonimo del foglio è attribuibile con certezza
a Fabbri, che in questo articolo espresse con entusiasmo la
propria soddisfazione per l'evolversi della storia dalla Russia:
Finalmente un fascio di luce viva e sfolgorante ha rotto
all'improvviso la fitta e buia nebbia di dolore e di sangue,
di menzogna e di morte, che da ormai tre anni avvolge e uccide
l'umanità. È la luce d'un sublime incendio, che
fa tremare sui troni tutti i potenti e infonde il desiderio
della rivolta in tutti gli oppressi; un fuoco di purificazione
e di liberazione, che illumina le menti assetate di verità
e riscalda i cuori anelanti giustizia. È la rivoluzione!
La rivoluzione è scoppiata e ha trionfato in Russia.
Ecco la grande notizia, che ci ha inebriati di gioia ed ha rianimato
tutte le nostre speranze. Esultiamo, o amici, o compagni, o
lavoratori! Mentre ci credevamo ovunque sconfitti, mentre la
tirannide militaresca pareva ovunque trionfante, ecco che in
una nazione vasta quanto la rimanente Europa il popolo vince
i suoi tiranni, salvando l'onore della specie umana che stava
per essere sommerso da una realtà sempre più opprimente
e vergognosa.
Venne, inoltre, espressa la convinzione che la rivoluzione era
ormai un processo inarrestabile per due fondamentali ragioni:
in primo luogo perché il popolo si era armato e vigilava
insieme coi soldati ribelli e in secondo luogo perché
la massa dei contadini aveva aderito al movimento insurrezionale.
Anche se la rivoluzione russa non era «l'anarchia»,
gli anarchici pensarono che essa era riuscita «a screditare
e sgretolare nella coscienza del popolo lo spirito di sottomissione
al governo» e aprire le porte dell'avvenire «a tutte
le audacie e a tutte le iniziative».
Del resto bastava il fatto della liberazione dei detenuti politici,
fra i quali molti anarchici, e la conquista della libertà
di propaganda di tutte le idee, e quindi anche delle idee libertarie,
«perché le bandiere degli anarchici si levassero
al vento e al sole in segno di profonda e incondizionata solidarietà».
Il giornale contestava poi l'interpretazione che davano gli
interventisti della rivoluzione russa, vista come una diretta
conseguenza della guerra, osservando che «certamente la
rivoluzione russa è stata una conseguenza della guerra,
ma solo come l'eccesso di un male può provocare per reazione
il suo contrario» e che «la condizione principale
della riuscita del movimento era quindi che i rivoluzionari
non si fossero prima resi solidali col governo per la guerra».
L'analisi del numero unico torinese descriveva con efficacia
il conflitto tra le forze che stavano operando all'interno delle
rivoluzione democratica che aveva causato la caduta dello zarismo:
coloro che volevano spingere in avanti il movimento «per
fare una rivoluzione sociale», disintegrando fino alle
fondamenta il vecchio regime zarista, e coloro che perseguivano
lo scopo dell'affermazione di una democrazia liberale borghese.
Per il foglio torinese il banco di prova di queste due forze
era la guerra. I primi desideravano liquidare l'eredità
dell'imperialismo guerrafondaio zarista, i secondi intendevano
continuare la guerra anche per distogliere l'attenzione delle
moltitudini dalle questioni interne. Gli anarchici italiani
ritenevano che gli ostacoli che dovevano affrontare i sinceri
rivoluzionari in Russia erano enormi, in considerazione delle
difficoltà materiali e dei tanti nemici sia interni che
esterni che insidiavano la rivoluzione. L'analisi dei redattori
del periodico torinese e di Fabbri si chiudeva con una considerazione
estremamente lucida sulla necessità di aiutare i fratelli
russi, mobilitando il proletariato occidentale a cominciare
da quello tedesco e dal suo principale partito, quello socialdemocratico:
Tentar la rivoluzione in Germania è il meno che possan
fare, per diminuire alquanto la propria terribile responsabilità,
quei socialdemocratici che nel 1914 ingannarono il popolo tedesco
e tradirono per primi l'internazionalismo, facendosi complici
del Kaiser, col pretesto dello czarismo. Questo pretesto oggi
non c'è più. Una rivoluzione in Germania o dei
moti seri che paralizzassero almeno l'azione militare dei suoi
eserciti, sarebbe anzi un coefficiente dei più validi,
perché divenga del tutto impossibile in Russia un ritorno
del regime czarista ...
Il momento storico che attraversiamo è critico e solenne
insieme. L'umanità può uscirne salva e libera,
solo a patto che ogni popolo, come il popolo russo, separi la
sua causa da quella dei propri oppressori e scenda sul terreno
della lotta contro di questi per e con la bandiera soltanto
– la rossa bandiera della rivoluzione e della libertà.
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Immagini tratte da Funeral of P.A. Kropotkin in Moscow, february 13, 1921, Berlin, 1922. I due striscioni recitano: «Domandiamo il rilascio degli anarchici incarcerati che stanno lottando per le stesse idee di Kropotkin – Per l'anarchia» e «L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi. Come ha detto Karl Marx. Confederazione russa degli anarco-sindacalisti» |
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“Abbasso Kerenskij, evviva Lenin!”
Nel frattempo, in aprile, un comitato olandese-scandinavo,
composto da rappresentanti di partiti socialisti di paesi neutrali
e di alcuni dirigenti dell'Internazionale, avanzava la proposta
di una grande conferenza internazionale da convocarsi a Stoccolma,
aperta a tutte le correnti socialiste, vecchie e nuove, con
lo scopo di elaborare un nuovo piano di pace che avrebbe dovuto
imporsi, con tutta l'autorità morale del socialismo internazionale
nuovamente riunitosi, al complesso delle nazioni in guerra.
L'idea venne subito raccolta e fatta propria, nel luglio, dal
Comitato esecutivo del Soviet panrusso che inviava nella capitale
svedese alcuni suoi delegati. Anche gli zimmerwaldiani convocarono
una conferenza sempre a Stoccolma, la terza dopo quelle svolte
in Svizzera.
Stoccolma in quel contesto diventava rapidamente il crocevia
della «diplomazia socialista»: nella città
si incontrarono, oltre che delegazioni ufficiali, profughi ed
esuli russi provenienti da ogni parte del mondo che cercavano
di tornare in patria. L'unica strada accessibile, all'epoca,
per raggiungere la Russia era quella via nave dall'Inghilterra
alla Norvegia e poi in Svezia verso la Finlandia per imbarcarsi
direttamente per un porto russo.
Il Comitato socialista internazionale, costituitosi dopo Zimmerwald
(1915) e Kiental (1916), all'annuncio della conferenza si era
immediatamente mobilitato per evitare che quest'ultima diventasse
un'occasione di riabilitazione per coloro che, tra le forze
socialiste, si erano macchiate del marchio infame di «traditori»
al momento delle votazione dei crediti di guerra.
Di conseguenza, a Stoccolma si giocava un'importante partita
a scacchi per definire alleanze e strategie del socialismo internazionale,
al fine di trovare una soluzione accettabile per la fine della
guerra e il sostegno delle aspettative dei lavoratori per un
futuro di pace e solidarietà.
All'interno della sinistra italiana si aprì un ampio
dibattito, in considerazione del fatto che l'occasione della
conferenza internazionale poteva mettere per la prima volta
a confronto le forze socialiste occidentali con quelle che erano
impegnate in Russia.
Gli anarchici italiani erano favorevoli in larga maggioranza
a una partecipazione alla Conferenza e chiesero che l'appuntamento
fosse aperto a tutte le componenti rivoluzionarie che si erano
opposte alla guerra. Il CdAIA aveva deciso, in una riunione
svoltasi a Firenze il 3 giugno 1917, che a rappresentare i libertari
italiani fossero Errico Malatesta, Luigi Molinari, Pasquale
Binazzi, Luigi Bertoni direttore de «Il Risveglio»
di Ginevra e V.S. Mazzoni. Mentre però i due principali
giornali anarchici italiani, «Il Libertario» della
Spezia e «L'Avvenire anarchico» di Pisa, erano d'accordo
sulla partecipazione alla conferenza internazionale, critiche
vennero espresse proprio da Bertoni e dalla redazione de «Il
Risveglio». Negli stessi giorni a Firenze si svolse il
congresso annuale dell'USI, che registrò una buona partecipazione
di delegazioni delle Camere del lavoro e del sindacato metallurgici,
e che si chiuse con una dichiarazione nella quale si manifestava
la propria disponibilità a partecipare alla conferenza
internazionale di Stoccolma; tra le altre cose, l'incontro discusse
ampiamente la questione delle alleanze a livello sia nazionale
che internazionale, con un'apertura alle forze socialiste rivoluzionarie
e ai sindacati contrari alla guerra.
Qualche settimana dopo il CdAIA, rispondendo all'appello lanciato
dal quotidiano socialista «Avanti!» pubblicato il
18 luglio, ribadì la partecipazione al progetto, precisando
che l'adesione degli anarchici italiani era subordinata al rispetto
dell'obiettivo principale della riunione e cioè «l'unione
di tutte le forze del proletariato internazionale per ottenere
una pace senza annessioni e senza contribuzioni, fondata sul
diritto dei popoli a decidere di sé stessi» («L'Avvenire
anarchico», 27 luglio 1917).
Il Convegno di Stoccolma, convocato dalla Commissione socialista
internazionale, si svolgerà dal 5 al 12 settembre 1917,
nonostante il boicottaggio dei governi dell'Intesa che non rilasceranno
alle varie delegazioni i passaporti, ma riscuoterà scarso
interesse, poche furono le adesioni, anche per l'assenza del
movimento libertario volontariamente escluso dagli organizzatori
e il boicottaggio del movimento zimmerwaldiano che nella capitale
svedese aveva inviato, la rivoluzionaria russa Angelica Balabanova,
segretaria del Comitato socialista internazionale, decisamente
contraria a qualsiasi compromesso con il socialismo patriottico.
In quel contesto, l'influenza degli avvenimenti russi fu determinante
nello svalutare d'importanza la portata dell'incontro internazionale
dal momento che, anche in Russia, il movimento socialista era
fortemente diviso tra chi era favorevole alla continuazione
della guerra e chi era invece per una pace immediata. Bisogna
inoltre considerare un elemento tattico importante: le componenti
internazionaliste erano contrarie a un'iniziativa planetaria
nella quale avrebbero potuto rimanere minoranza rispetto alle
componenti «socialpatriottiche», senza raggiungere
l'obiettivo di una pace proletaria non diplomatica.
Nel frattempo, in luglio la situazione politica in Russia si
modificò velocemente: il malcontento per l'andamento
della guerra e le difficoltà economiche delle classi
subalterne provocarono forti agitazioni spontanee – sostenute
dai bolscevichi, dagli anarchici e dagli altri gruppi radicali
– che coinvolsero le principali città ed in particolare
Pietrogrado. Una nuova coalizione politica guidata dal socialista
Aleksandr F. Kerenskij si affermò alla guida del paese
mettendo fuori legge i «massimalisti», mentre Lenin
dovette fuggire in Finlandia. In Italia tali avvenimenti vennero
interpretati dalla stampa socialista e libertaria, in modo più
o meno omogeneo, come una testimonianza dell'avanzamento della
controrivoluzione borghese a danno delle istanze rivoluzionarie.
D'altra parte, le prime dichiarazioni del nuovo governo non
lasciarono dubbi sulle reali intenzioni: per i nuovi dirigenti
il «primo problema capitale» consisteva nell'impegnarsi
con ogni energia nel contrastare il «nemico esterno»
e nel difendere il «nuovo regime di governo contro tutti
gli attacchi anarchici e rivoluzionari, senza fermarsi dinanzi
alle misure più rigorose» («Avanti!»,
24 luglio 1917).
Alla fine di luglio, una delegazione dei Soviet di Pietrogrado
e Mosca partirono alla volta di Inghilterra, Francia e Italia,
con lo scopo di confrontarsi sia con i governi dell'Intesa,
al fine di stabilire accordi per la prosecuzione della guerra,
sia con le forze socialiste, nella speranza di trovare consenso
alla proposta avanzata dal Consiglio degli operai e dei soldati
di Pietrogrado per una più ampia partecipazione alla
conferenza internazionale di Stoccolma. La delegazione russa
riconosceva la necessità della continuazione della guerra
a fianco degli alleati e si pronunciò contro le tesi
di Lenin e dei bolscevichi ma anche degli anarchici per un immediato
ritiro dal conflitto, e quindi contro la pace separata.
La delegazione dei Soviet di Pietrogrado e di Mosca, rappresentante
del nuovo governo provvisorio di Kerenskij, raggiunta l'Inghilterra,
dopo una sosta a Stoccolma, espresse una linea politica che
può essere riassunta dalla formula: «lotta per
la pace generale simultaneamente alla guerra sul fronte».
Gli «argonauti della pace», il 25 luglio arrivarono
a Londra e il 4 agosto a Parigi.
La delegazione era composta da noti militanti socialisti rivoluzionari
e menscevichi, con un lungo curriculum vitae e con una buona
conoscenza del mondo occidentale, essendo alcuni di loro emigrati
in Europa per sfuggire alla repressione della polizia politica
zarista negli anni precedenti la Prima guerra mondiale: Iosif
P. Gol'denberg e Alexander N. Smirnov erano delegati del soviet
di Pietrogrado mentre Nikolai S. Rusanov e Henryk Ehrlich rappresentavano
il soviet di Mosca.
Gol'denberg, accompagnato dagli altri membri della delegazione,
raggiunse Torino da Parigi il 5 agosto e iniziò un viaggio
diplomatico in Italia che, in campo storiografico, viene definito
come una delle storie più paradossali nelle relazioni
tra Stati durante la Prima guerra mondiale. Il Governo italiano,
dopo una prima esitazione legata soprattutto a questioni di
politica interna, permise ai rappresentanti dei soviet di entrare
nel paese, in considerazione del fatto che il governo russo
al momento non prevedeva la cessazione delle ostilità
con la Germania e l'Austria.
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«Eppur si muove!» numero unico, edito a cura del Circolo operaio, Torino, aprile 1917 (grazie all'Archivio storico della Biblioteca F. Serantini di Pisa per la gentile concessione) |
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“Viva Lenin e gli anarchici russi”
Vittorio Emanuele Orlando, liberale moderato, ministro dell'Interno
del governo presieduto da Paolo Boselli, acconsentì che
il viaggio della delegazione russa fosse ampiamente pubblicizzato
dalla stampa periodica e autorizzò le riunioni pubbliche
organizzate dai socialisti. Quest'ultimi approfitteranno dell'occasione
per promuovere grandi manifestazioni di piazza a favore della
Russia che spesso si trasformavano in veri e propri plebisciti
per la rivoluzione e soprattutto per Lenin. La delegazione,
che incontrò i rappresentanti di tutte le forze politiche
del movimento operaio italiano, rispettando in questo la linea
politica intesa a sollecitare il maggior numero possibile di
adesioni al progetto di Stoccolma, il 5 agosto fu a Torino,
il giorno successivo a Roma, il 10 a Firenze e a Bologna, l'11
a Milano e il 13 nuovamente a Torino, ovunque accompagnata da
entusiastiche manifestazioni di piazza nelle quali era accolta
dal grido «Viva la Rivoluzione dei soviet, viva Lenin».
Fu paradossale questa situazione in cui gli esponenti di un
governo, per quanto rivoluzionario, vennero accolti da acclamazioni
che inneggiavano all'opposizione politica di quello stesso governo.
Gli anarchici parteciparono attivamente a queste manifestazioni
e agli incontri politici con i delegati del governo russo e
si unirono alle altre forze politiche nelle manifestazioni euforiche
di piazza, indirizzando al leader bolscevico il saluto sincero
e l'ammirazione per un uomo che era in quel momento il simbolo
dell'ala più radicale del movimento rivoluzionario, sostenitore
determinato della necessità di una cessazione immediata
della guerra e dell'avvio di un profondo rivolgimento sociale.
L'anarchico Anselmo Acutis nella manifestazione di Torino del
13 agosto 1917 concluse il suo intervento, dopo quelli dei rappresentanti
del Partito socialista, salutando i rappresentanti russi con
queste parole:
I compagni del Soviet sono stati accolti a Roma da un gruppo
di interventisti imboscati al grido di abbasso Lenin. A questo
grido infame dobbiamo contrapporre un altro che esprima la nostra
solidarietà verso quegli arditi compagni: salutiamo i
delegati al grido di Viva Lenin!
Le parole dell'anarchico torinese vennero immediatamente riprese
dalla redazione del periodico «L'Avvenire anarchico»
che nel numero del 17 agosto rivendicò il ruolo degli
anarchici nelle manifestazioni di solidarietà con la
Russia, nelle quali i sinceri rivoluzionari – a coloro
che esaltavano il dittatore Kerenskij – hanno risposto:
«Viva Lenine e gli anarchici russi».
Al periodico pisano fece eco la redazione di «Cronaca
libertaria» di Milano il 23 dello stesso mese:
Siccome anche noi, anzi noi più di tutti, abbiamo
gridato Evviva Lenin, vogliamo far sapere che noi eravamo pienamente
consapevoli del valore e del significato di quel grido. Consapevoli
al punto che l'abbiamo anche accoppiato con quello di Abbasso
Kerenskij.
Anche «Guerra di classe», il giornale dell'USI,
nel numero dell'11 agosto condivise l'applauso a Lenin e ai
bolscevichi, sottolineando che l'umore delle masse proletarie
che avevano partecipato alle manifestazioni di solidarietà
con la delegazione russa era ben riassunto dal quello slogan,
«Viva Lenin», che si contrapponeva alla propaganda
della stampa reazionaria e moderata che dipingeva il leader
russo come un nemico del progresso. Il giornale sindacale inneggiava
al «leninismo», neologismo nel panorama del linguaggio
politico di allora, come naturale prosecutore degli ideali e
delle speranze della Comune di Parigi.
Sempre in quel periodo, e sullo stesso organo di stampa, Berneri
ribadì la critica alle posizioni ambigue dei dirigenti
del PSI e della CGdL, scrivendo che è sempre meglio stare
con Lenin, cioè con chi voleva la «pace immediata»,
rispetto a Kerenskij che voleva la prosecuzione della guerra.
Non deve meravigliare questo atteggiamento da parte degli anarchici
italiani verso Lenin e il bolscevismo. In quel momento, la stragrande
maggioranza dei libertari provava una forte attrazione e simpatia
per i bolscevichi, di cui, come già accennato, pochissimi
conoscevano la vera essenza politica fedele all'ortodossia marxista.
Questa attrazione nasceva dalla comune condivisione della radicale
condanna del primo conflitto mondiale, e dalla sfiducia completa
nella socialdemocrazia, considerata complice dell'imperialismo
guerrafondaio. Le poche notizie su Lenin vennero sempre filtrate
dal quotidiano socialista «Avanti!» che, tramite
Gustavo Sacerdote, suo corrispondente da Zurigo, fornì
le prime indicazioni sul programma e sulla tattica del dirigente
bolscevico, che il giornalista aveva potuto conoscere in Svizzera
prima della sua partenza per la Russia.
«L'Avvenire anarchico», alla notizia dei tumulti
e della mancata insurrezione in Russia del luglio 1917, descrisse
l'azione comune dei bolscevichi e degli anarchici come la vera
forza politica massimalista che voleva spingere il processo
rivoluzionario fino alle estreme conseguenze, con l'abolizione
del sistema capitalista e dello Stato e con la proclamazione
della comune rivoluzionaria.
“Le tesi di aprile” e “Stato e rivoluzione”: il Lenin (quasi) anarchico
Al di là della scarsità di notizie e di conoscenze
della Russia dell'epoca, va di fatto considerato che anarchici
e bolscevichi, tra il febbraio e l'autunno del 1917, si trovarono
oggettivamente a operare congiuntamente contro il governo provvisorio
di Kerenskij. Inoltre, le posizioni politiche espresse da Lenin,
dopo il suo ritorno in Russia, con le «Tesi di aprile»,
la critica radicale alle posizioni socialdemocratiche, l'impostazione
«volontaristica» dell'azione rivoluzionaria, l'accantonamento
delle teorie evoluzioniste tipiche del socialismo della Seconda
internazionale, la proposta di abbandonare qualsiasi ipotesi
di un processo a tappe della rivoluzione e di conseguenza la
sfiducia completa nel modello rappresentativo democratico, tutto
ciò, aggiunto alle parole d'ordine di abolizione dell'esercito
di leva, dell'azzeramento della burocrazia statale, dell'eguaglianza
salariale, della trasformazione della guerra imperialista in
lotta rivoluzionaria rappresentarono questioni che accomunarono
il primo bolscevismo alla cultura e alle aspettative dei libertari.
Le «Tesi di aprile» sconcertarono non solo i menscevichi
ma anche una buona parte dei bolscevichi.
La parola d'ordine «tutto il potere ai soviet»,
lanciata dal leader bolscevico nella primavera del 1917, venne
interpretata non solo come la base di una progressiva radicalizzazione
della rivoluzione in atto, ma anche come il riconoscimento di
un'idea della costruzione della società socialista basata
sul decentramento e sulle forme autogestite delle strutture
sociali, fondamento dell'idea federalista libertaria e della
società senza Stato che gli anarchici agognavano. Nessuno
tra i libertari russi, né tra gli italiani, sollevò
dubbi sulle posizioni teoriche leniniste. Nei mesi che trascorsero
tra la Rivoluzione di febbraio e quella di ottobre molti ignorarono
che le tesi leniniste si riferivano a un trasferimento del potere
politico dal governo provvisorio alla direzione del partito
bolscevico.
Anche Stato e rivoluzione, testo elaborato da Lenin nel
breve periodo di esilio forzato in Finlandia tra l'agosto e
il settembre 1917, riprendendo e sviluppando le idee di Marx
sulla dittatura del proletariato e sulla trasformazione rivoluzionaria
dello Stato nell'autogoverno dei produttori, sembrò agli
occhi degli anarchici confermare le posizioni di vicinanza con
colui, che pur guidando una minoranza rivoluzionaria, anche
se non dichiarava l'abolizione assoluta di una qualsiasi forma
di Stato, ne auspicava la graduale estinzione.
Scrive Paul Avrich (Gli anarchici nella rivoluzione russa,
Milano, La Salamandra 1976. pp. 15-16) che, in ottobre, anarchici
e bolscevichi lavorarono di concerto per spostare la locomotiva
della storia su un nuovo binario, senza però al momento
prevedere – aggiungo – in quale stazione il convoglio
della rivoluzione potesse terminare il suo viaggio.
Aspettando il sol dell'avvenire
Un anarchico italiano autorevole come Luigi Galleani testimonierà
su «Cronaca sovversiva» del marzo 1919 lo stato
d'animo con cui i libertari guardarono alla Russia e ai bolscevichi
guidati da Lenin a quel tempo:
Il linguaggio che parlavano era nuovo, inaspettata l'audacia,
trionfale la rivincita; il nome esotico, soffuso di mistero,
corrusco di ricordi impetuosi, soggiogava tutte le simpatie:
bolsheviki!
Nessuno sapeva di preciso che cosa volesse dire, ma poiché
nessuno sapeva disgiungerlo dalle prime vittorie della insurrezione
che aveva dell'anarchico al socialista coscritte le più
fervide energie d'avanguardia, tutti furono bolsheviki!
Niente di male in fondo; tanto più che tutti del comune
denominatore volevano, per iscarico di coscienza, l'etimologia.
Il male che tutti volevano – mentre a traverso le maglie
della censura non filtrava una notizia e la stampa indigena
vi sopperiva delle sue lojolesche fantasie salariate –
la cronaca, le vicende, i caratteri della nuova rivoluzione.
La speranza messianica che la Rivoluzione russa potesse tramutarsi
nel motore del riscatto dei popoli contro le politiche guerrafondaie
dei governi europei – nell'anno più lungo del Primo
conflitto mondiale, che per l'Italia si concluderà con
la disfatta militare di Caporetto – alimentò l'aspettativa
nelle masse, stremate dalla guerra e dalla fame, e agì
come un potente detonatore nella coscienza dei proletari italiani
in attesa di un momento escatologico che facesse sorgere il
sol dell'avvenire.
L'occasione si presentò una decina di giorni dopo la
partenza della delegazione russa dall'Italia, quando a Torino
una sommossa spontanea contro il caroviveri, iniziata dalle
donne, si trasformerà ben presto in uno sciopero generale
contro la guerra. Anarchici e socialisti collaborarono nel sostenere
la rivolta che, in alcuni momenti, prese l'aspetto di un moto
insurrezionale con innalzamento di barricate, saccheggi di negozi
di generi alimentari, scontri a fuoco con le forze dell'ordine
e assalti ai commissariati di polizia; le truppe governative
riuscirono ad avere la meglio dopo una settimana di scontri
che lasciarono sul terreno numerosi morti e feriti.
Lenin al governo
La notizia che il governo di Kerenskij era stato abbattuto
da un colpo di mano rivoluzionario, e che ora la Russia era
guidata dai «massimalisti» di Lenin, arrivò
in Italia filtrata dalla censura militare. Il Paese era ancora
sotto shock per la disfatta militare di Caporetto, e le autorità
avevano promosso un'ulteriore stretta repressiva nei confronti
delle opposizioni politiche. Gran parte dei giornali erano stati
soppressi o imbiancati dalla censura. Non è lontano dal
vero il fatto che la presa del potere da parte di Lenin e dei
bolschevichi fosse accolta positivamente dalla stragrande maggioranza
del movimento socialista e anarchico, pochi erano coloro che
espressero delle critiche. Il superamento della forma democratico-borghese
dell'Assemblea costituente verrà giudicata positivamente
dalla stampa anarchica italiana, anche dopo che i contrasti
e gli scontri insanabili tra bolscevichi e anarchici verranno
alla luce. In fondo, ciò che accomunava tatticamente
le due fazioni rivali era la totale sfiducia nei metodi parlamentari
e rappresentativi tipici dell'ordinamento liberale.
I socialisti italiani, nella loro stragrande maggioranza, condivisero
le scelte bolsceviche anche se queste contraddicevano la teoria
e prassi del marxismo classico.
«L'Avvenire anarchico», confortato dall'indirizzo
del «Risveglio» di Ginevra, fu il primo giornale
in Italia che avanzò delle perplessità, dubbi
e qualche critica, dopo le prime scarne notizie dalle quali
ancora non si percepiva la dimensione “storica”
della presa del Palazzo d'Inverno. Il giornale, che parlava
di un «Comitato esecutivo della rivoluzione» e di
«Governo massimalista», avvertì il pericolo
di una svolta autoritaria. Il numero del 30 novembre riportava
un articolo di spalla dal titolo Lenine al governo, firmato
con lo pseudonimo Welfare (probabilmente scritto da V.S.
Mazzoni), che però sarà interamente censurato.
L'avvenuto ritrovamento del testo originale dell'articolo ci
permette di cogliere gli elementi essenziali del dibattito e
delle critiche che la redazione, per la prima volta esplicitamente,
espresse al nascente dispotismo comunista. L'articolista de
«L'Avvenire anarchico», dopo aver salutato
l'uomo, sul capo del quale intrecciavansi le più strane
leggende, cacciato finora con la sua frazione massimalista come
si cacciano le fiere, inseguito dalla polizia e dai cosacchi
attraverso tutta la Russia, è riapparso ad un tratto
alla testa dei suoi, ha sconfitti i partigiani di Kerenski ed
ha vinto.
apriva la riflessione sul pericolo del nuovo potere:
Senza tante ambagi – ora che Lenine non è più
il cospiratore rivoluzionario, ma è l'uomo di governo
– lo riteniamo perduto per la rivoluzione, come tutti
i più o meno illustri esponenti delle dittature rivoluzionarie
del passato, del presente e sarei per dire anche dell'avvenire.
Le critiche libertarie al coups d'état di Lenin
derivavano dalla diffidenza sul carattere autoritario dei marxisti
che nasceva da una contrapposizione di campo risalente ai tempi
di Bakunin e della Prima internazionale. Si riapriva una vecchia
disputa e polemica anti-autoritaria e anti-marxista che da sempre
divideva gli anarchici dai socialisti delle diverse scuole.
Gli anarchici, al contrario dei marxisti, negavano risolutamente
la forma dello Stato, in quanto strumento d'oppressione nelle
mani delle classi dirigenti, negavano ogni teorizzazione del
periodo di transizione fra Stato capitalistico e società
socialista e consideravano ugualmente tirannico anche quello
Stato che, sorto da una rivoluzione, si fosse basato sul potere
della «classe operaia».
La lucidità di Luigi Fabbri e Luigi Bertoni
Anche Fabbri, qualche tempo dopo, con alcuni articoli proprio
sul periodico pisano, manifestò le sue preoccupazioni
e perplessità in merito all'avvento al potere dei bolscevichi.
L'approccio di Fabbri alla questione della presa del potere
da parte di Lenin era prudente per la scarsità di notizie
a disposizione. L'intellettuale libertario non voleva certamente
cadere in una critica «palesemente ingiusta e maligna»,
ma sollevava alcuni dubbi che nei mesi successivi saranno ripresi
con maggiore decisione e chiarezza da Malatesta. Fabbri scriveva
sulle colonne de «L'Avvenire anarchico» del 25 gennaio
1918:
Noi ci guardiamo bene dall'emettere un giudizio qualsiasi
sulle loro intenzioni, che crediamo oneste. Ma constatiamo ancora
una volta la contraddizione insanabile fra i principii ideali
del socialismo e la conquista del potere politico.
Allo stesso modo, constatiamo ancora una volta, malgrado
che il governo di Pietrogrado tenti alcune realizzazioni più
audaci del socialismo, la contraddizione fra i principii di
libertà (senza di cui il socialismo sarebbe un non senso)
e le necessità pratiche di un governo, anche rivoluzionario,
per mantenersi al potere. Se le notizie dei giornali non sono
completa menzogna, si ripete a Pietrogrado l'errore della Comune
di Parigi con la libertà di stampa, e l'errore della
prima rivoluzione francese, della persecuzione dei rivoluzionari
non del tutto d'accordo col governo [...].
Come è stato giustamente osservato in campo storico,
l'articolo di Fabbri rappresentò un momento importante
della riflessione libertaria a poche settimane dagli eventi
russi e dopo i mesi dell'euforia e degli entusiasmi. Fabbri
colse con chiarezza due punti essenziali della critica che man
mano il movimento anarchico italiano, e poi quello internazionale,
farà propri negli anni successivi: l'indivisibile binomio
della libertà politica/rivoluzione sociale e l'inesorabile
avvio di un processo autoritario, di un partito al potere che
si faceva Stato, negatore delle ragioni stesse che aveva ispirato
la rivoluzione di febbraio.
Alle parole di Fabbri fece eco la redazione de «Il Risveglio»
che, sempre nel gennaio 1918, ribadì che gli anarchici
erano avversari di ogni forma di potere e che, se anche in un
caso eccezionale un governo provvisorio avesse trovato l'appoggio
dei libertari nel combattere i reazionari, questo non poteva
essere considerato come ineluttabile:
Conquista del potere e dittatura del proletariato sono formule
da noi sempre combattute, come quelle che preconizzano gli stessi
mezzi della tirannia e del privilegio per realizzare la libertà
e l'uguaglianza.
Bertoni, e con lui la redazione del periodico ginevrino, erano
ben consapevoli dei rischi che la rivoluzione in Russia stava
correndo e di come la contraddizione tra l'aspirazione a un
pace immediata, attesa dalle masse contadine e proletarie, e
la necessità di difendersi dalle armate degli imperi
centrali era una spada di Damocle sulla testa di tutti i sinceri
rivoluzionari e che questo nodo gordiano poteva essere spezzato
solo da un'immediata sollevazione del proletariato tedesco.
Concetti che verranno ribaditi nelle settimane seguenti da Francesco
Porcelli («Il Risveglio», 16 febbraio 1918), quando
la notizia delle trattative di armistizio tra il governo rivoluzionario
russo e i rappresentanti del Kaiser si diffonderanno, e il giudizio
del periodico ginevrino sarà durissimo, considerando
l'armistizio non come una pace rivoluzionaria tra i popoli ma
una pace statale tra governi.
Un canone fondamentale della dottrina anarchica è
l'avversione assoluta a qualsiasi forma di governo.
La nostra diffidenza al governo di Lenine e di Trockij è
inerente dunque alla posizione mentale che noi anarchici istintivamente
prendiamo verso un'autorità, comunque istituita e costituita.
Cotesta diffidenza, impostaci dalle dette premesse teoriche,
che potrebbe essere attenuata dalle contingenze di una situazione
eccezionale, viene ad essere avvalorata, invece dalla mossa
politica dei russi: le trattative impegnate dai rappresentanti
della nuova Russia con i più vecchi e più vieti
esponenti del dispotismo teutonico.
La successiva notizia del trattato di pace di Brest-Litovsk,
firmato il 3 marzo 1918 in Bielorussia fra le potenze centrali
e la Russia guidata da Lenin, che sanzionava l'uscita di quest'ultima
dalla Prima guerra mondiale con durissime condizioni, inclusa
la perdita di circa un quarto dei territori europei, riaccese
le polemiche e le critiche degli anarchici nei confronti delle
scelte dei bolscevichi.
I libertari si interrogarono sulle ragioni che avevano portato
i dirigenti del partito bolscevico a questa scelta. L'accettazione
delle durissime condizioni di pace tedesche era forse dovuta,
come era sembrato inizialmente, alle sfavorevoli circostanze
materiali che impedivano ogni forma di resistenza russa oppure
era dipesa da ragioni di principio? Si trattava, dunque, di
stabilire se un governo rivoluzionario avesse ceduto senza combattere
a un governo imperialista, o se questa «ritirata»
era solo un aspetto di una strategia necessaria per preparare
una riscossa militare contro gli Imperi Centrali.
Ad esempio, le posizioni del giornale svizzero di lingua italiana
non erano immediatamente fatte proprie dai pochi giornali anarchici
che ancora uscivano in Italia. «L'Avvenire anarchico»,
di Pisa come «La Favilla» di Roma, espressero posizioni
più accondiscendenti e di solidarietà alle scelte
operate dal governo bolscevico russo, anche se, come abbiamo
visto precedentemente, in particolare l'organo pisano aveva
esternato critiche assai convinte nei confronti del nuovo corso
governativo russo. È probabile che i giornali italiani,
rispetto a quelli svizzeri, non avessero un quadro complessivamente
sufficiente delle dinamiche politiche che avevano portato alla
stipula dell'armistizio, e non avevano notizie riguardanti l'opposizione
al trattato di pace, non solo interna allo stesso partito di
Lenin, ma anche di quella dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari.
Gli appelli all'unità rivoluzionaria vennero anche dal
Partito socialista, nonostante le sue divisioni interne tra
massimalisti e riformisti, per la difesa della Russia e del
socialismo internazionale. In Russia, non a caso, l'abbandono
della coalizione di governo da parte dei socialisti rivoluzionari
di sinistra per protesta contro la pace di Brest-Litowsk, non
venne rilanciata con il giusto rilievo da parte degli organi
socialisti e libertari italiani. La segreteria del Partito socialista,
in mano ai massimalisti guidati da Serrati, era nettamente su
posizioni di difesa intransigente delle scelte bolsceviche delle
quali condividevano la critica alla guerra, alla Seconda internazionale
e alla politica rigorosamente intransigente verso ogni governo
borghese. La minoranza riformista, guidata da Turati, avvertì
il pericolo del modello bolscevico, ne criticò gli aspetti
più “eversivi”, “illiberali”,
“anarcoidi” e “utopistici” rispetto
alla dottrina marxista.
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Questo articolo è tratto dal volume, fresco di stampa, di F. Bertolucci, A Oriente sorge il sol dell'avvenire. Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa 1917-1922, BFS, Pisa 2017. Per info e altre notizie sulle attività editoriali della casa editrice della Biblioteca F. Serantini, leggetevi la quarta di copertina di questo numero di “A” |
La prima repressione degli anarchici
I socialisti e gli anarchici italiani ancora non immaginavano che Lenin e il gruppo dirigente del partito bolscevico, dopo il trattato di pace, indirizzeranno le proprie attenzioni al fronte interno con la decisione di azzerare le opposizioni politiche e in particolare quelle di sinistra.
Nella tarda primavera, il governo bolscevico dichiarò guerra ai gruppi anarchici che a Pietrogrado e a Mosca controllavano alcuni quartieri e caseggiati. Lo scontro fu durissimo, con vittime in entrambi gli schieramenti, ma gli anarchici ebbero la peggio e diverse centinaia di loro vennero rinchiusi nelle carceri.
Le notizie, seppur frammentarie, che giunsero in Europa e in Italia, scatenarono subito la reazione dei principali organi libertari. A guidare la protesta del mondo libertario europeo contro l'eccidio degli anarchici fu «Il Risveglio» di Ginevra, che nel numero del 22 giugno 1918 denunciò l'azione dei «nuovi despoti», e rivendicò il diritto alla rivolta contro la cosiddetta «dittatura del proletariato». «L'Avvenire anarchico», in un articolo pubblicato sul numero del 24 maggio, dal titolo significativo Gli Anarchici di Russia alla riscossa, riportò gli ultimi tragici eventi dello scontro fra i libertari e i seguaci di Lenin: «La battaglia è divampata da Mosca e Pietrogrado in tutta la Russia, ove poté raccogliersi ed armarsi un pugno di anarchici e spiegarsi una bandiera, contro l'ormai insopportabile giogo dei bolsceviki, che hanno preso il posto del governo più esigente, più esoso ed inetto».
Mazzoni ribadì, in un articolo del 28 giugno 1918, che il potere corrompe l'uomo e che come gli anarchici in precedenza hanno combattuto il vecchio regime, ora si opponevano a quello di Lenin, concludendo con un accorato messaggio di solidarietà e simpatia agli anarchici russi vittime del «terrore rosso».
È la fine di un'illusione, quella che la rivoluzione unisca tutti i sinceri rivoluzionari sotto la bandiera della libertà, della fratellanza e dell'uguaglianza; la delusione per gli anarchici fu amara e violenta ma, il mito di Lenin e quello prima della rivoluzione russa rimarranno ancora a lungo fortemente radicati, non solo nel movimento operaio ma finanche in quelle componenti del movimento libertario fortemente influenzate dal bolscevismo.
Franco Bertolucci
Un
libro (in tedesco) sulla rivoluzione russa
Recentemente le edizioni Dietz di Berlino hanno dato alle
stampe il volume Anarchismus und Russische Revolution
curato da Philippe Kellermann (Berlin, Dietz, 2017). Si
tratta di un importante lavoro storiografico collettaneo
di messa a punto, a cent'anni dalla rivoluzione russa,
sul ruolo che vi hanno avuto gli anarchici, le idee libertarie
e l'incontro/scontro con i bolscevichi guidati da Lenin.
Fino al 1917 l'anarchismo, come movimento politico e di
idee, si era confrontato con le diverse anime del marxismo
manifestando tutti i propri dubbi e le proprie critiche
sull'impostazione autoritaria delle soluzioni all'idea
di rivoluzione e società socialista che venivano
proposte, sul piano sia teorico che pratico. I due avversari,
anarchici e marxisti, si erano sostanzialmente confrontati
nel coacervo di idee e di esperienze maturate durante
lo sviluppo del movimento operaio ma, al di là
degli scontri verbali nei congressi internazionali e nelle
dispute sociali, di fatto non si erano quasi mai affrontati
durante una vera e propria esperienza rivoluzionaria.
La Comune di Parigi del 1871 rimaneva una meteora ormai
lontana nel tempo, quando la sua storia e le sue interpretazioni
avevano contribuito a disegnare, in qualche maniera, il
DNA delle due grandi corrente dell'internazionale: quella
antiautoritaria e quella autoritaria.
Il 1917 è il vero spartiacque in cui l'anarchismo
e il marxismo divaricano ancora di più le proprie
strade, anche se poi nei decenni successivi torneranno
a intrecciarsi in altre drammatiche vicende. In particolare,
questa divaricazione si accentuerà con l'emergere
all'interno delle componenti del marxismo russo della
corrente bolscevica, che si affermerà come modello
teorico e pratico, dando vita alla lunga stagione terzointernazionalista.
Il libro curato da Kellermann, tenta una disanima dei
diversi problemi sollevati dalla rivoluzione di febbraio
e da quella di ottobre del 1917 in Russia, e di come quegli
eventi abbiamo influito sulle fortune e sfortune dell'anarchismo.
Il volume descrive e analizza da un lato il ruolo svolto
dal movimento anarchico in Russia nel contesto della rivoluzione
russa; dall'altro, come i movimenti anarchici nei vari
paesi (Italia, Svizzera, Francia e Germania) hanno reagito
di fronte alla concreta esperienza di quella rivoluzione,
e quali discussioni e controversie hanno animato la vita
dei libertari negli immediati anni successivi.
F.B. |
Gli
anarchici e la rivoluzione russa
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Reggio
Emilia, 1 - 2 dicembre 2017
Università di Modena e di Reggio Emilia
via Allegri 9, Reggio Emilia
Seminario promosso da Biblioteca Panizzi
e
Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa
Prima sessione (venerdì 1, ore 15): intervengono
Giampietro Berti, Marcello Flores, Ettore Cinnella, Giuseppe
Aiello.
Seconda sessione (sabato 2, ore 9.30):
Misha Tsovma, Selva Varengo, Pietro Adamo, Roberto Carocci.
Terza sessione (sabato 2, ore 15): Antonio Senta,
Lorenzo Pezzica, David Bernardini, Massimo Ortalli. A
seguire interventi dal pubblico e dibattito. |
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