L'isola invisibile
Ci riferiamo al tredicesimo emendamento della costituzione americana, quello che, nel 1865, abolì lo schiavismo, ma non per tanti afroamericani, che oggi sono vittime di una nuova forma di schiavitù: incarcerati in massa e costretti al lavoro coatto non retribuito per conto di aziende che li sfruttano. Ce ne parla il nostro corrispondente dalla Grande Mela, dopo esser stato in un teatro alternativo. Afroamericano, appunto.
“Né schiavitù né servitù devono esistere negli Stati Uniti o nei territori soggetti alla loro giurisdizione, eccetto come forma di punizione per un reato per il quale si sia ricevuta una condanna.” (Costituzione degli Stati Uniti d'America, tredicesimo emendamento, 1864)
“Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, perché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione.” (Voltaire)
In un pomeriggio di fine estate ho pedalato nel traffico nervoso
del Bronx, fra capannoni industriali e rimessaggi, lungo l'argine
dell'East River. Volevo avvistare l'isola di Rikers che sapevo
essere là, in mezzo al fiume, non troppo distante. Ma
le alte recinzioni e l'aria sporca di bruma mi hanno fatto desistere.
La scena surreale, da thriller, deve avermi suggestionato. Una
sottile angoscia mi ha assalito e ho deciso di battere in ritirata,
con le ruote che sembravano affondare nell'asfalto caldo. Quando
ho superato il cavalcavia, lasciandomi il fiume alle spalle,
ho tirato un sospiro di sollievo.
Sull'isola c'è un mostro: la prigione più affollata
degli Stati Uniti, il carcere minorile più controverso.
Fino a poco tempo fa lo ignoravo. Se non hai un parente rinchiuso
la dentro puoi vivere qui tutta li vita senza sapere del mostro,
nel cui ventre vivono precariamente migliaia di ragazzi affastellati
nelle celle di una delle prigioni più pericolose del
paese, proprio qui, nella grande mela.
Uno di questi ragazzi si chiamava Kalief Browder, sedicenne
afroamericano del Bronx, arrestato nel maggio 2010, accusato
di un furtarello. Il ragazzo protestò la sua innocenza
ma Il procuratore stabilì una cauzione di tremila dollari,
una cifra insostenibile per la famiglia, e lo fece rinchiudere,
in attesa di giudizio, nel carcere sull'isola, in un'ala con
seicento altri giovani detenuti. Browder rimase in quell'inferno
per tre anni, due dei quali passati in cella di isolamento,
rifiutando il patteggiamento e continuando a protestare la sua
innocenza, che venne finalmente riconosciuta nel maggio 2013
da un giudice che lo rimandò a casa, con tante scuse.
Ma Browder era ormai depresso, la mente minata da quella terribile
vicenda. Il 6 giugno 2015, dopo aver superato brillantemente
gli esami di maturità, Browder si è impiccato.
Non si tratta di un caso isolato. Nelle celle di Rikers passano
ogni anno quasi 100.000 detenuti e la popolazione media quotidiana
è di circa 10.000: l'85% di questi non ha mai avuto un
regolare processo. Sono detenuti in attesa di giudizio senza
mezzi per pagare la cauzione oppure condannati che hanno patteggiato
una pena, colpevoli o innocenti che fossero, solo per evitare
guai peggiori. Tanti finiscono nelle maglie della legge per
errore, distrazione o malizia delle autorità. Nelle celle
sovraffollate, fra i sommersi e i salvati, si deve imparare
in fretta l'arte della sopravvivenza e per finire in isolamento
basta il capriccio di una guardia.
Nel 2008 lo strano caso di una studentessa quattordicenne della
Pennsylvania, condannata a tre mesi di carcere per un'innocua
vicenda goliardica,1 ha portato
alla luce una sordida storia di corruzione, passata alle cronache
come “Kids for Cash”:2
per anni due giudici avevano ricevuto cospicue bustarelle dal
gestore privato di due carceri minorili, in cambio di dure sentenze
che assicuravano ai due istituti di pena un flusso continuo
di giovani detenuti, generando enormi profitti. I due avevano
intascato oltre due milioni e mezzo di dollari e inflitto pene
sproporzionate a migliaia di giovani. Una commissione dovette
riesaminare gli atti di oltre 6000 processi e organizzare assistenza
psicologica per centinaia di vittime dei due loschi magistrati.
Uno scandalo venuto alla luce quasi per caso, ma non una situazione
anomala: è l'intero sistema giudiziario ad essere corrotto,
denuncia l'ACLU, influente organizzazione di difesa dei diritti
civili, criticando il ruolo e la funzione dei Local Prosecutors,
i procuratori distrettuali,3
asse portante del sistema giudiziario. È davanti ad essi
e non nelle aule di giustizia che si decide la stragrande maggioranza
dei casi. Il dato è agghiacciante: pubblica accusa, avvocati
difensori, testimoni, giuria e giudici, 97 imputati su 100 li
vedono solo nei film. Niente habeas corpus4
per loro.
Negli uffici distrettuali, assistiti da difensori d'ufficio
inetti e demotivati, gli arrestati vengono minacciati dai procuratori
di sentenze durissime e costi insostenibili in caso di ricorso
al Tribunale. Finiscono così per patteggiare la pena,
anche se innocenti. Negli ultimi decenni il legislatore ha inasprito
le pene e conferito sempre maggiori poteri ai Local Prosecutors,
con conseguenze spaventose: se negli anni '80 un furtarello
poteva costare a un ragazzo l'assegnazione per qualche mese
a lavori socialmente utili, nel 2017, per lo stesso reato, si
rischiano fino a sette anni di carcere. Ho appreso con orrore
che questi procuratori distrettuali non sono giudici ma politici,
eletti a livello locale, spesso senza studi adeguati alle spalle,
più attenti alla prossima scadenza elettorale che all'interesse
della giustizia.
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Pinar
SelekNational Black Theatre, Harlem, New York - Detenute incatenate. Da una mostra sul carcere |
Con l'autunno alle porte, esitante
Gli abusi sono perciò all'ordine del giorno e, in mancanza
del giusto processo, previsto peraltro dalla Costituzione,5
le vittime non hanno alcuna possibilità di dimostrare
la propria innocenza. L'avvocata Anne Moore ha rivelato che
nel corso del 1998, quando era difensore d'ufficio in un distretto
della California, su 900 accusati il procuratore ammise il ricorso
al tribunale in un solo caso. Gli altri 899 furono costretti
al patteggiamento, sotto minaccia di pene più severe.
Non si parla qui solo di reati minori: negli anni 2000 David
Protess, professore di giornalismo investigativo alla Northwestern
University dell'Ilinois, salì agli onori della cronaca,
assieme a un gruppo di studenti, per aver dimostrato l'innocenza
di una quindicina di detenuti, fra cui cinque condannati a morte,
che furono così salvati dalla pena capitale.
Dagli anni '80 la popolazione carceraria negli USA è
cresciuta vertiginosamente, fino a divenire la più numerosa
al mondo. Un quarto dei detenuti mondiali si trova nelle galere
statunitensi: un altro record della superpotenza imperiale.
Neanche i regimi più autoritari hanno le carceri piene
quanto il paese della libertà. In maggioranza i detenuti
vengono dalle fasce più povere e dalle minoranze. In
trent'anni le donne detenute sono aumentate dell'832%, più
del 60% sono afroamericane e ispaniche. Sono in aumento i giovani
che finiscono nelle maglie della giustizia e i sociologi parlano
di School to prison pipeline,6
il percorso che porta i bambini svantaggiati direttamente da
scuole autoritarie e fallimentari alla strada, alla galera.
Sono tornato a cercare l'isola, con l'autunno alle porte, esitante.
Con la mia cavalcatura da sioux di città mi sono avventurato
sull'isola di Randall, che sorge nelle acque dello stesso fiume,
poco più a sud. Ho galoppato sotto l'intreccio di ponti
e cavalcavia, fra il verde brillante dei campi da gioco che
si staglia sull'acqua scura del fiume. Palazzi e grattacieli
brillavano sull'altra sponda, ma di Rikers nessuna traccia.
L'isola pulsava invisibile, avvolta in un velo impenetrabile.
Ho ripreso la strada di casa avvolto dall'inquietudine.
Lo stato spende 247.000 dollari all'anno per ogni detenuto di
Rikers, 22.000 per ogni studente di New York. Il rapporto fra
detenuti e guardie carcerarie a Rikers è di uno a uno,
uno a quindici quello fra studenti e professori in un'aula scolastica
della grande mela. A New York ispanici e afroamericani rappresentano
il 56% della popolazione ma sono l'89% dei detenuti di Rikers.
Dati che parlano da soli.
Quella dell'incarcerazione di massa negli Stati Uniti è
una sporca storia di politica, corruzione e affari. Una storia
del capitalismo a cui tutti i presidenti, da Nixon a Obama,
hanno dato un loro contributo, chi per entusiasmo ideologico,
chi per sete di profitto, chi per omissione. Colpisce scoprire
che il più accanito di tutti sia stato un certo sassofonista,
salito agli onori delle cronache per ben altre questioni e generalmente
considerato un buon presidente democratico. Negli anni novanta
Bill Clinton spinse per l'approvazione di leggi draconiane e
dichiarò guerra alla droga. Le squadre speciali lasciarono
molte vittime sul terreno7 e
le prigioni si riempirono di poveri. Negli otto anni di potere
clintoniano la popolazione carceraria statunitense è
letteralmente raddoppiata, da uno a due milioni. Con l'esercito
americano oggi stazionato in Afghanistan a proteggere le coltivazioni
di papaveri che i talebani avevano fatto distruggere, mi sembra
chiaro che di quelle leggi ha sofferto la povera gente, non
i cartelli della droga.
Il paese della libertà riempie le patrie galere di innocenti,
come un volgare regime e, visto dalle celle umide di Rikers,
il sogno americano è un incubo. Ma cosa ha cambiato il
corso della storia nella seconda metà del novecento?
Per gli studiosi la risposta ha un nome: “Prison Industrial
Complex”.8 A partire dagli
anni '70 certi gruppi di affari hanno posato gli occhi sul sistema
carcerario, diventato terreno di caccia. È iniziata allora
la pressione sulla politica che ha portato, con l'approvazione
di una serie di leggi ad hoc, alla mutazione del sistema giudiziario
e alla privatizzazione di quello penitenziario: tanti nuovi
detenuti hanno equivalso a tante nuove carceri da costruire,
arredare, gestire e sorvegliare; un business miliardario in
continua crescita. L'intreccio di interessi, economici e politici,
oggi definito “complesso penitenziario industriale”
ha fatto sorgere in pochi decenni un universo concentrazionario
disseminato sul vasto territorio del paese.
Nel 2015 la regista Ava DuVernay, lavorando alla produzione
del documentario “Thirteenth”9
ha scoperto con orrore che i testi delle leggi che hanno cambiato
il corso della giustizia penale e consegnato il sistema penitenziario
nelle avide mani dei privati furono predisposti dai tecnici
di ALEC,10 una lobby finanziata
dagli industriali, i cui esperti lavorarono fianco a fianco
con governo e parlamento per assicurare l'approvazione di quelle
norme, disegnate per garantire il profitto dei loschi affaristi
che li foraggiavano. Così i politici hanno consegnato
la libertà dei cittadini degli Stati Uniti nelle mani
di speculatori senza scrupoli.
Ne hanno tratto enormi guadagni i costruttori di centinaia di
nuovi istituti di detenzione, le ditte cui le carceri sono state
date in gestione, le polizie private, le industrie specializzate
in tecnologie della sorveglianza e della repressione, quelle
che forniscono le carceri di prodotti alimentari scadenti, l'industria
farmaceutica che ne rifornisce gli ambulatori, persino le compagnie
telefoniche, che hanno ottenuto appalti d'oro per installare
gli apparecchi da cui i detenuti possono comunicare con i familiari
al costo di esorbitanti tariffe. Ne guadagnano le industrie
che sfruttano il lavoro gratuito dei prigionieri, consentito
dalla vergognosa eccezione scritta nel tredicesimo emendamento
della Costituzione, che nel 1864 abolì la schiavitù,
mantenendola però per i detenuti. Le prigioni USA sono
i contentori di un'enorme forza lavoro: milioni di uomini e
donne senza paga e senza diritti. L'isola di Rikers ha oggi
una superficie quattro volte più estesa di quella originaria,
soprattutto grazie al lavoro schiavizzato dei detenuti.
Sulle carceri speculano anche le autorità locali delle
zone ove sorgono gli istituti penitenziari, grazie a un trucco
demografico: le contee includono migliaia di detenuti nel censimento
della popolazione residente, lucrando così su maggiori
finanziamenti federali. Le casse comunali si gonfiano così
grazie alla presenza sul territorio di persone che, però,
non usufruiscono di alcun servizio e non hanno diritto di voto.
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Pinar
SelekNational Black Theatre, Harlem, New York -
Cella di isolamento. Un'installazione |
Un mostro a New York
Siamo tornati al teatro africano di Harlem, mia moglie ed io. Andava in scena: “The Peculiar Patriot”, scritto e interpretato da Liza Jessie Peterson. Un lungo, appassionato, brillante monologo, ambientato nella sala colloqui di un ipotetico carcere. Lo abbiamo visto due volte. La Peterson, afroamericana, attrice, poetessa, drammaturga, educatrice e attivista impegnata nel movimento per i diritti dei detenuti, ha scritto un'opera di straordinario spessore e l'ha portata con grande maestria sul palcoscenico. Ci ha letteralmente stregati. Ma ancor di più ci hanno colpito i dibattiti che, sempre, seguono lo spettacolo. In entrambe le occasioni il pubblico, prevalentemente afroamericano, era scosso e commosso e le discussioni sono state ricche, partecipate, appassionate.
Nel monologo della Peterson molti spettatori avevano visto andare in scena la loro vita: chi aveva un fratello o un genitore dietro le sbarre, chi un marito. Donne che, per passare un'ora coi propri cari, si fanno ogni domenica sedici ore di autobus fra andata e ritorno e affrontano le umiliazioni delle ispezioni corporali che precedono il colloquio. Uomini che da ragazzi hanno subito assurde condanne e oggi fanno volontariato fra i detenuti. In quelle serate ci siamo resi conto di quanta gente, che vive attorno a noi, ha avuto a che fare con il carcere.
In pieno autunno ho inforcato ancora la bici, per andare a cercare l'isola. Com'è possibile vivere qui e non aver mai visto il mostro che vive sulle acque del fiume, proprio oltre le cime dei palazzi che vedo dalle finestre di casa? Mi sono avventurato nel Queens, questa volta, ma su quella sponda ci sono le piste di un aeroporto, un grande depuratore, enormi posteggi. L'isola mi è sfuggita ancora. Per vedere davvero Rikers bisognerebbe avere qualcuno da andare a trovare la dentro, nella pancia del mostro e presto nemmeno quello sarà più possibile. La nuova frontiera della tecnologia carceraria, la videoconferenza, sta eliminando l'ultimo contatto umano per i detenuti: niente più visite dei familiari ma collegamenti video. Un altro business, un altro diritto negato.
C'è un mostro, qui a New York, che sorge fra le acque del fiume che accarezza Manhattan a est. Nessuno lo vede. È proprio vero: si può vivere con il lager nei pressi e ignorarlo. Diecimila ragazzi ogni mattino cominciano lì la loro precaria, pericolosa giornata, nella città scintillante, la grande mela che non dorme mai, coi grattacieli di cristallo ed i turisti a fare shopping; nel paese che si fa modello di democrazia e libertà per il mondo intero.11
Santo Barezini
- Hillary Transue aveva creato su Myspace una pagina in cui
prendeva in giro il vicepreside della sua scuola.
- “Ragazzi in cambio di contanti”. Vedi: https://en.wikipedia.org/wiki/Kids_for_cash_scandal.
- ACLU: American Civil Liberties Union. illuminante il breve
filmato che si può visionare in questo link: https://www.youtube.com/watch?v=NkYcn8TZEUc.
- Nel diritto anglosassone, il principio che tutela il diritto
di conoscere la causa del proprio arresto e di vederla convalidata
da un magistrato.
- Sesto emendamento della Costituzione: l'imputato ha diritto
al giusto processo, alla difesa, ad essere giudicato da una
giuria indipendente, conoscere le accuse rivolte dai testimoni
a carico, nominare testimoni a discarico.
- La conduttura che porta direttamente dalla scuola alla prigione.
- Non solo tossicodipendenti, le cronache raccontano di estranei
uccisi per errore. Famoso il caso di John Adams afroamericano
di Lebanon, Tennessee, assassinato nella sua abitazione da
poliziotti antidroga, entrati in forze al civico 70 di Joseph
Street, anziché al 1120 della stessa strada, dove era
stata segnalata una fabbrica clandestina di stupefacenti.
Un errore clamoroso amplificato dal fatto che il signor Adams
era invalido, molto amato nella comunità, disarmato,
massacrato da numerose pallottole mentre guardava la tv nel
salotto di casa.
- https://en.wikipedia.org/wiki/Prison%E2%80%93industrial_complex.
L'espressione prende spunto dal “complesso militar-industriale”
di cui aveva parlato Eisenhover in un famoso intervento del
1961.
- Il documentario, del 2016, affronta il tema dell'incarcerazione
di massa negli USA. Si veda: “Tredicesimo
emendamento” su A 420, pagine 73-76.
- American Legislative Exchange Council. https://www.alecexposed.org/wiki/ALEC_Exposed
- Ho qui solo sfiorato l'argomento, ovviamente vastissimo.
Per chi volesse approfondire, oltre alle fonti già
citate nell'articolo, segnalo i lavori sul tema di Angela
Davis, Micheal Moore, Mumia Abu-Jamal e David Protess. Molti
dati sono disponibili negli annuari statistici ufficiali ma
è prezioso soprattutto il lavoro di ricerca e di denuncia
dei tanti gruppi che si occupano di carcere fra cui la Women's
Prison Association; Just Leadership USA; Close Rikers Campaign;
The Fortune Society; College & Community Fellowship. Moltissimi
riferimenti sul complesso penitenziario industriale sono facilmente
reperibili su vari siti digitando, appunto, “Prison
Industrial Complex” in un qualsiasi motore di ricerca.
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