localismi
Dalla parte del potere
di Andrea Papi
Le vicende catalane, i referendum “autonomisti” in Lombardia e Veneto e altri movimenti europei sembrano porre in discussione la centralità statale. In realtà non fanno che riproporre vecchi modelli organizzativi: chi vuole il proprio staterello, chi più soldi e si accontenta.
Per chi non voglia accontentarsi del bailamme mediatico di contorno, gli avvenimenti di ordine politico che si stanno manifestando in particolare in Europa possono offrirci una lettura non convenzionale. Al di là dell'“evidenza” indotta, suscitata ad arte nel tentativo di tenerci concentrati sul nulla politicante che si trascina quotidianamente sulle nostre teste, riescono a suggerirci che sta affiorando uno scontro che mi piace chiamare “di prospettiva”, i cui contorni e la cui sostanza hanno caratteristiche socio/economico/politiche.
Per “prospettiva” intendo una proiezione in un futuro prossimo che si prospetta come eventualità con cui fare i conti, o voluta o temuta. Parlo di prospettive, accompagnate da proiezioni immaginarie, perché il presente che ci affligge non è affatto ben voluto dalla grandissima quantità di coloro che vorrebbero vivere in pace o non essere oppressi, a differenza di chi riesce ad avvantaggiarsi, come gli affaristi speculatori e i troppi truffatori che costellano i luoghi dove scorre il denaro e dove si decide. Il mondo che ci sta avviluppando quotidianamente piace sempre meno perché rende la vita sempre più difficile e ci rende sempre più poveri, a vantaggio della minoranza che diventa sempre più ricca alle nostre spalle.
Abbiamo così due tendenze opposte che si scontrano. Da una parte, composta da chi è collegato con le forze dominanti e ne trae in qualche modo vantaggio, c'è la propensione, ovvia perché conseguente, a conservare lo status quo affinché non venga superato. Attenzione però! Si tratta di uno status quo diverso da quelli tendenzialmente statici e conservatori cui ci aveva abituato la storia. Quello attuale è estremamente dinamico, soprattutto bisognoso di mutare gli assetti bolsi e pesanti in cui è costretto a muoversi, perché lo rallentano e gl'impediscono di esprimersi al meglio. Uno status quo che preme per imporre il superamento delle vecchie burocrazie istituzionali, stimolato dall'avanzare prorompente di una tecnologia che per sua natura non può essere incamerata all'interno di percorsi rigidi e canonici, che è senza freni ed è in grado di spaziare oltre ogni regola.
Aggressione senza precedenti
Il campo d'azione privilegiato sono i mercati, sia finanziari sia economici, i quali, seppur in qualche modo controllati dagli stati nazionali, agiscono ormai a livelli sovrastatali e sovranazionali con un'enorme potenza d'intervento, in moltissimi casi in grado di eludere eventuali controlli. Hanno regole proprie non dichiarate e con gran facilità agiscono al di là di ogni etica, di ogni regola, di ogni trattato, rispettando all'uopo solo quelle e quelli che si confanno ai loro interessi. In particolare la finanza, che sempre di più spazia nell'etere col potere spericolato e anonimo di algoritmi che si muovono alla velocità di nanosecondi, è veramente oltre ogni confine finora conosciuto, impalpabile, spregiudicata e, per usare un noto eufemismo nietzschiano, veramente “al di là del bene e del male”.
Di fronte a questa trasbordante aggressione innovativa di un potere senza precedenti, che riesce a imporsi al di là di ogni frontiera, che supera le pesantezze del comandare perché agisce imponendo situazioni obbliganti spesso senza speranza e che preme per ridefinire impostazioni e possibilità d'azione incondizionata a favore delle sue scorribande, assistiamo al sorgere di variegate forme di resistenza a un tale cambiamento voluto dal potere che incombe. Personalmente le interpreto come tentativi di risposta reattiva a un qualcosa vissuto come ignoto e nemico che avanza e s'impone. Si sta diffondendo e assume forme variegate di pretesi autonomismi e richieste identitarie.
Di fronte a un tale enorme potere sempre più esclusivo, che s'internazionalizza con la globalizzazione, che tende a uniformarci annichilendo le differenze tradizionali e che ci vorrebbe rendere indistintamente uguali, è come se il rifiutarlo istintivo fosse quello di tentare di riappropriarsi, rivalorizzandole, delle identità tradizionali, nazionali, etniche, che comportano il rigetto di chi è diverso perché fa paura ed è considerato nemico.
Abbiamo così un riemergere traboccante di nazionalismi, istanze autonomiste, tentativi abbozzati di secessioni, affermazioni sovraniste, nostalgie di totalitarismi in cui ci s'illudeva che esser parte di una tradizione contasse. Sono tutte adesioni per trattare le quali, è giusto comprenderlo, i vecchi obsoleti schematismi di destra e sinistra politica stanno invero molto stretti, anche se nei fatti sono largamente fagocitate, dirette e stimolate dalle nuove destre radicali.
Così una destra dinamica e attenta, emergente nelle sue diverse sfaccettature, sta interpretando culturalmente e politicamente proprio il bisogno di difendersi da quel cambiamento epocale che il sistema di dominio sta imponendo. Lo fa da par suo, rispolverando personaggi, tematiche e squallide prospettive di cui, giustamente, ci eravamo illusi di esserci liberati, mentre invece stanno incredibilmente riaffiorando con forza. Per entrare più nel particolare concreto, guardiamo per esempio le ultime due movimentazioni politiche con queste caratteristiche a noi vicine: ciò che sta succedendo in Catalogna e i referendum per l'autonomia in Lombardia e Veneto.
Da uno stato all'altro
In Catalogna è ancora vivo il tentativo, attraverso
un referendum indetto dal governo regionale della Generalitat,
di dichiarare l'indipendenza di un novello stato repubblicano
separandosi dallo stato monarchico spagnolo. Nonostante non
sia stato riconosciuto, anzi palesemente sabotato anche con
violenze, dallo stato centrale madrileno, in varie maniere il
referendum è riuscito a svolgersi con una partecipazione
del 42%, di cui il 90% circa ha votato per sancire l'indipendenza.
Immediatamente il premier spagnolo Rajoy ha destituito l'intero
governo catalano e ha commissariato la regione. Il presidente
della Generalitat catalana Puigdemont, con altri componenti
del governo deposto, da Bruxelles ha formato un governo in esilio,
mentre dal 3 novembre le autorità spagnole hanno emesso
contro di loro un mandato d'arresto europeo.
Il clima che si è creato è di forte repressione
da parte dello stato spagnolo, che sta rendendo la vita dei
catalani molto pesante, secondo testimonianze in loco con analogie
che riportano al defunto regime franchista. Indipendentemente
dalla cronaca degli avvenimenti, mi sembra che tutta questa
vicenda sia piena di ambiguità. Almeno da un punto di
vista libertario e anarchico non offre alcuna prospettiva di
vera liberazione politica. La stessa composizione della Generalitat,
un minestrone in cui c'è più o meno di tutto,
dall'estrema destra all'estrema sinistra, già la dice
lunga sulla confusione per cui si trovano affratellati dal fascino
dell'indipendenza da Madrid, dentro un progetto politico che
ha ben poco a che vedere con gli ideali di libertà che
c'interessano.
Innanzitutto vogliono liberarsi da uno stato per fondarne un
altro. Da anarchici siamo fermamente convinti che non possa
essere un passo verso un'autentica liberazione. Qualsiasi stato,
proprio per le strutture di cui si compone, esercito, polizia,
governo, magistratura, burocrazia, ecc., è di per sé
un micidiale composto di asservimento e un potente trascinatore
di corruzione, privilegi, malaffari e ingiustizie. È
sempre stato così ovunque e, per la natura delle cose
storicamente affermatasi, non potrà che essere sempre
così.
Il fatto che la Catalogna voglia diventare repubblica e uscire
dal residuo feudale della monarchia è senz'altro un passo
in avanti che non si può non riconoscere, ma del tutto
insufficiente per riuscire a rappresentare un concreto avanzamento
liberatorio nel difficile cammino verso un'auspicata emancipazione
sociale. Sensibili al rispetto delle differenti volontà,
c'interessa inoltre evidenziare che non tutti i catalani sono
indipendentisti e che molti non s'identificano nel fumoso progetto
della Generalitat. Dichiarare perciò sulla testa di tutti,
anche di coloro che non lo vogliono, un nuovo stato definito
e applicato da quel governo è di per sé un atto
di autoritarismo politico, proprio come lo sono tutti gli stati
qualunque sia la loro origine.
A proposito del referendum in Lombardia e Veneto
Il referendum che si è svolto in Lombardia e Veneto il 22 ottobre scorso, voluto fortemente dalla componente leghista rappresentata da Maroni e Zaia, invece, per come è stato pensato e concepito, non ha invero similitudini reali che lo possano congiungere alle spinte indipendentiste catalane. Unico punto di somiglianza risiede nel fatto che entrambe le istanze trovano una comunanza di massima nel non voler dipendere da uno stato centrale, su piani però completamente diversi: secessionisti a Barcellona, autonomisti in casa nostra.
Significativa la differenza smaccata degli esiti nella Lombardia e nel Veneto, dove il livello e la qualità della partecipazione sono state grandemente diverse. In Lombardia ha votato il 38% degli elettori, una quota minoritaria per quanto ampia, in Veneto una larga maggioranza, oltre il 57%. Tra i votanti, ovviamente, s'è imposta una maggioranza schiacciante di sì. Soprattutto senso e contenuto del quesito referendario, in realtà estremamente vaghi, ne fanno qualcosa di qualitativamente diverso dalle istanze catalane. Il referendum lombardo-veneto sostanzialmente chiedeva se si era d'accordo nel rivendicare una maggiore autonomia, autorizzando i rappresentanti regionali a iniziare una trattativa col governo per definire un aumento consistente di autonomia gestionale e finanziaria/fiscale.
Mentre la pretesa politica dei catalani si fonda sulla rivendicazione di riconoscimento di un'identità diversa da quella dello stato centrale madrileno, quella “regionalista” italiana del lombardo-veneto si appoggia più che altro sulla logica degli interessi. “Padroni a casa nostra” come rivendica un significativo slogan leghista. Gli “schei (i soldi) vengono prodotti qui e qui devono rimanere” è la rivendicazione fondamentale.
Zaia, d'altronde, lo ha scandito in modo esplicito immediatamente dopo l'annuncio dei risultati ufficiali: “Vogliamo tenerci i nove decimi delle tasse”, cioè praticamente tutto. Non si tratta quindi di una volontà d'indipendenza, che avrebbe in qualche modo qualcosa d'ideale, ma di una voglia più o meno dichiarata di pretesa autocratica, tipica di un egoismo bigotto che, senza mettere in discussione lo stato come struttura, vuol diventare a tutti gli effetti padrone in proprio del territorio di appartenenza gestendolo amministrativamente. Un territorio il cui profilo, non a caso, è sostanzialmente di piccole aziende e piccoli imprenditori.
La nostra proposta federalista
Tutto ciò è totalmente lontano da una prospettiva che ci possa interessare. Mentre le loro visioni autonomiste e le loro voglie d'indipendenza statalista in fondo non fanno che parcellizzare la sovranità dello stato in più sovranità, sempre stataliste e strutturalmente centralizzate, noi propugniamo una completa liberazione da logiche e imposizioni autoritarie all'interno di visioni di libertà autenticamente autonome. Con gli autonomismi di vario tipo che stanno avanzando, invece di un unico dispotismo centrale ne avremmo più d'uno, fra l'altro in concorrenza fra loro, col serio pericolo che si potrebbero innestare situazioni anche più dispotiche di quella precedente.
La nostra proposta federalista è ben altra cosa. Non ha un centro che dirama disposizioni e ordini alle periferie, né alcuna autorità centrale di comando. Si fonda sull'insieme delle diverse comunità che si rapportano tra loro attraverso organismi di base, decidendo concordemente il da farsi su una base solidale di mutuo e reciproco appoggio. Non parte da un centro perché non c'è nessun centro, mentre ci sono tante singole unità che sentono il bisogno di confrontarsi, di scambiarsi esperienze, di cooperare, nella consapevolezza che la cooperazione mutuale e reciproca rende più forte ed efficiente ogni scelta ed ogni azione.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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