ambiente e comunità
Abitare i villaggi
di Adriano Paolella
Come il riuso di piccoli insediamenti può contribuire alla realizzazione di nuovi modelli insediativi e non sia solo frutto della tradizione e della nostalgia.
Città, metropoli, megalopoli ...
Poco più della metà della popolazione mondiale,
il 54%, vive nelle città. Negli ultimi anni la crescita
demografica delle aree urbane ha avuto un notevole incremento
e quasi tutte le aree urbane hanno accresciuto le loro dimensioni.
A seguito di questi processi si contano 28 “megacittà”
(tra cui Tokyo con 38 mln di abitanti - si pensi nel 1960 ne
aveva circa 10 mln -, Nuova Delhi 25 mln, Shanghai e Città
del Messico 23 mln), molte città sono divenute metropoli
(solo in Cina vi sono 18 città con più di 5 mln
di abitanti), molti grandi paesi città e così
via.
Le previsioni delle Nazioni Unite indicano che tale processo
non è per nulla completato e che nel 2050 i nove miliardi
di abitanti del pianeta vivranno per il 66% in aree urbane.
A fronte dell'incremento della popolazione urbana si riscontra
un calo demografico nelle aree montane e collinari che meno
si prestano, per la morfologia, il ridotto numero di residenti,
la scarsa accessibilità, la limitata ricchezza, all'attuazione
dell'uniformata modalità insediativa/produttiva sostenuta
dall'attuale economia.
Il mercato globale, infatti, concentra ricchezze e attività
nelle aree urbane, svuota i territori extraurbani con l'industrializzazione
(e quindi la riduzione degli attivi) nell'agricoltura, promuove
una cultura che trova nella vita urbana la sua qualificante
realizzazione.
L'abbandono ha implicato l'allontanamento di intere popolazioni
dalle risorse e dai luoghi della loro trasformazione (con il
connesso aumento della loro dipendenza da coloro i quali forniscono/vendono
gli alimenti e le merci necessarie alla loro sussistenza) e
l'incremento del dissesto idrogeologico in particolare in quei
territori delicati ove la manutenzione dell'uomo ha sempre svolto
un ruolo regolatore. A questi effetti negativi corrisponde il
positivo aumento della naturalità che, in assenza di
fattori ostativi, interessa gli ambiti agricoli abbandonati.
Ma la condizione di marginalità, di relativo isolamento
degli insediamenti di piccole dimensioni ha consentito che proprio
in essi si sia conservata parte della cultura locale, in una
autonomia che, seppure non scevra da tracce pesanti della contemporaneità
commerciale, ha mantenuto tempi e modi non completamente uniformati
con quanto proposto dal modello.
Nostalgia?
Ciò è molto evidente in paesi come l'Italia da sempre caratterizzata dalla mancanza di metropoli e dalla distribuzione diffusa della popolazione. Gli insediamenti delle pianure sono cresciuti tanto da costituire una uniforme e magmatica estensione, una continuità omogenea e non caratterizzata di edificato e infrastrutture, mentre nei territori montani e collinari è ancora rileggibile un tessuto insediativo puntiforme composto da piccoli e piccolissimi insediamenti tra essi separati, diversi, identificabili.
Dal dopoguerra l'adesione completa e acritica all'industrializzazione e al consumo come unico strumento per raggiungere il benessere non ha permesso di cogliere il valore dei piccoli insediamenti e ha determinato una politica di sviluppo che ha replicato per essi le stesse soluzioni adottate nelle pianure urbanizzate. L'unico risultato, oltre quello di sprecare energia, è stato di contribuire a destrutturare culturalmente e ambientalmente tali territori (si pensi solo all'abuso di strade e all'errato collocamento delle aree industriali).
Recentemente, anche alla luce del permanere di flussi migratori e di abbandono, l'azione pubblica ha sui temi “aree interne” e “piccoli borghi” evidenziato un'attenzione alla conservazione del patrimonio culturale e sociale presente in esse, precedentemente mancante.
Nonostante la consistenza dell'azione pubblica (che ha da tempo declinato il suo ruolo di indirizzo del mercato e di critica dei comportamenti insulsi e nocivi da esso promossi) sia una inezia se confrontata alla capacità attrattiva delle aree urbane, tale interessamento può contribuire a conservare l'identità culturale, paesaggistica, ambientale di interi territori.
Al contempo vi sono molte persone (anche loro in un numero minimo rispetto a quello che caratterizza i flussi di urbanizzazione) che rimangono o vanno ad abitare in piccoli insediamenti mossi dall'interesse a praticare attività e vite diverse da quella urbana. Spesso costoro, utilizzando modalità produttive tradizionali o antiche, riescono a produrre delle merci con un elevato valore tecnico, ambientale e sociale e, sfruttando la capacità attrattiva del patrimonio storico-culturale, architettonico e ambientale dei luoghi, strutturano una micro economia locale in condizione di sostenerli. Un mondo di indubbio interesse che frequentemente viene presentato con una velatura di nostalgia, di tradizionalismo, ma che in realtà è molto più di questo.
Insediamenti e autoritarismo
La composizione dell'insediamento influisce sulle modalità
di vita delle persone ed in particolare può aiutare o
limitare l'autonomia e la creatività degli abitanti.
Ad esempio spazi adeguati possono favorire lo sviluppo delle
relazioni tra gli individui, renderli maggiormente coesi, connettere
attività e persone (socialità), sostenere l'autogestione
da parte degli abitanti di edifici e territori (gestione), ma
anche lo svolgimento di attività di utilità individuale
e collettiva atte alla riduzione degli sprechi, al miglioramento
delle condizioni dell'ambiente, all'autoproduzione energetica
(ridurre), migliorare il contatto con le risorse (accessibilità
risorse), rendere possibile l'espressione creativa dei singoli
e della collettività (auto rappresentazione).
Si può dire che ogni tipologia insediativa generi e favorisca
maggiore o minore passività dei cittadini e nella successiva
Tavola (pagina affianco), in via del tutto indicativa, se ne
ipotizzano sinteticamente i diversi livelli.
Una periferia ad elevata densità con edifici alti, fitti,
uguali, sicuramente inibisce la possibilità che un abitante
possa curare la propria casa, personalizzarla, avere un contatto
diretto con le risorse utili alla sua esistenza. La capacità
di gestione è alienata, i comportamenti maggiormente
uniformati. Al contrario in piccoli insediamenti gli abitanti
hanno una maggiore possibilità di definire i propri spazi,
di applicare la propria creatività alla gestione e produzione.
In sintesi alcuni tipi insediativi rendono più semplice
ricomporre la condizione dell'abitare nell'insieme delle sue
componenti (operare, oziare, divertirsi, dormire etc. e trovare
piacere nei luoghi, conoscerli e gestirli) altri l'impediscono.
In alcune tipologie insediative l'abitante è visto quasi
come un inconveniente, uno che con la sua azione mette in disordine,
degrada, rischia e fa rischiare il “buon governo”
della città e che per questo va deresponsabilizzato e
limitato nei comportamenti.
Nonostante gran parte della popolazione viva in edifici asociali
e snaturati, in insediamenti inquinati, ad elevata e insulsa
mobilità (a dimostrazione di un disinteresse nei confronti
del suo benessere), nonostante la conformazione degli insediamenti
non agevoli le buone relazioni sociali, l'attenzione verso gli
altri, il benessere collettivo, il cittadino vive in una condizione
coercitiva in cui la sua azione gestionale e trasformativa,
tipica dell'abitare, è considerata anomala.
L'interesse verso forme insediative diverse da quelle urbane
può quindi essere suscitata non tanto da una nostalgia
del passato ma dalla ricerca di situazioni residenziali e operative
in cui l'individuo dispone di maggiore spazio per realizzare
le proprie idee e di un clima sociale e un rapporto con le risorse
più favorevole alla sua azione e al riconoscimento dei
risultati (per quanto piccoli) raggiunti.
Ne sono conferma le scelte che hanno caratterizzato i migliori
quartieri ecologici in cui si cerca una dimensione ridotta dell'insediamento
(nel caso fossero in area urbana trovandone una maggiore autonomia
nei confronti dell'intorno) e un congruo rapporto tra spazio
edificato e non edificato avendo cura di facilitare, proprio
partendo dalla dimensione, i rapporti sociali e il ruolo attivo
agli abitanti.
Il prodotto tradizionale, che spesso caratterizza le attività
svolte nei piccoli centri, è solo l'esito del lavoro
manuale, del rapporto con gli altri abitanti, con i fruitori,
con i luoghi, lo strumento per il raggiungimento di prodotti
di alta qualità (considerati parte indispensabile della
vita) e non il prodotto della nostalgia; non è l'obiettivo
ma la conseguenza delle scelte deindustrializzate e come tale,
come è facile verificare, frequentemente si innova.
Piccoli insediamenti
Allora, forse, la tendenza a svolgere attività in insediamenti di piccole dimensioni, a riusare quasi in solitudine o in piccolissime comunità borghi semi-abbandonati, minuscoli paesi montani e collinari, deriva dalla ricerca dall'autonomia con cui si possono praticare le attività, dalla completezza dell'abitare, dalla bellezza che tali luoghi offrono.
Nei piccoli insediamenti vi è la sensazione di essere attore della propria esistenza, di riuscire a trovare un equilibrio ed una soddisfazione personale, di raggiungere un successo anche in forme diverse da quelle standardizzate. Ciò viene favorito dal rapporto diretto con i “decisori” solitamente più attenti alle richieste degli abitanti, maggiormente controllabili in ragione di una relazione stretta con le comunità e, in ragione di un più significativa presenza del fattore umano, dalla minore onerosità e maggiore adattabilità delle procedure autorizzative e di controllo. Ciò permette una elevata riconoscibilità (e nel caso riconoscimento) dell'azione individuale, una identificazione che gratifica le singole persone note per quello che fanno e che sono.
Va inoltre considerato che in questi luoghi i costi per risiedere, avviare le attività, acquisire merci e servizi indispensabili sono minori di quelli riscontrabili nei grandi insediamenti. In particolare i costi delle abitazione e dei locali hanno importi molto, molto, più limitati; ciò permette all'acquirente di recuperare gli edifici, anche quando non in buone condizioni strutturali, con un investimento ridotto e adeguarli alle sue necessità direttamente attraverso il proprio lavoro. Il lavoro è il mezzo di valorizzazione del bene; l'investimento non è solo in denaro e ciò non può che premiare la creatività e l'impegno piuttosto che le disponibilità economiche.
Ci si trova in un mondo al margine del modello, in quei territori rifiutati ritenuti non fondamentali dove le regole possono essere diverse, dove oltretutto c'è quel leggero piacere di riusare quanto, seppure di grande valore, è stato scartato.
Tali fattori combinati con la capacità attrattiva nei confronti di visitatori generata da bellezza, rarità, paesaggio, storia locali strutturano micro-economie che non arricchiscono ma rendono possibile il mantenimento di nuovi operatori.
In tale dimensione, ove si può agire secondo la propria discrezionalità, secondo regole più eque e meno autoritarie, aiutati dal rapporto con la natura e con la comunità, si valorizzano le azioni individuali e collettive, riemergono i valori del lavoro manuale, del contatto con gli altri, del rapporto con i luoghi, si supera la frammentazione dei processi industriali con una completa gestione della filiera produttiva e commerciale, mitigando quegli aspetti che il monopolio tematico del mercato fa maggiormente pesare in altre forme insediative.
Contemporaneità
La scelta di provare a vivere in questi insediamenti sembra quindi essere motivata, più che dal desiderio di conservazione di un passato, dal desiderio di comporre un futuro al di fuori di meccanismi che hanno destrutturato paesaggio, ambiente e comunità.
Al di fuori di un mercato che propone un presente che si mitiga con modalità esterne alle sue regole (volontariato, scambi, affetto, partecipazione, lavoro gratuito, etc.) e che propone un futuro (i cambiamenti climatici) in grado di annullare quei successi materiali per i quali trova motivo di esistenza, i piccoli insediamenti possono favorire soluzioni autonome, raggiunte anche con ridotte disponibilità economiche, praticate in una scala di valori diversa, più appaganti; permettendo così a molti di vivere meglio.
Adriano Paolella
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