rivista anarchica
anno 48 n. 424
aprile 2018




Sullo scorso numero abbiamo pubblicato una lettera di Pietro Agriesti (“Via libera ai licenziamenti? Basta che non ci sia lo Stato”), alla quale proponemmo di rispondere a Massimo Varengo (“Comunque senza Stato né capitalismo”). La ragione: Agriesti è un sostenitore del pensiero libertarian (o “anarco-capitalista), che noi riteniamo estraneo alla tradizione e all'attualità dell'anarchismo. Siamo sostenitori di un anarchismo “socialista”, sociale e solidale, nel linguaggio di Agriesti “anarchismo di sinistra”: in realtà per noi semplicemente anarchismo. Un anarchismo che niente ha a che fare con l'antistatalismo di chi non pone la solidarietà e la lotta allo sfruttamento al primo posto. Ecco perché la risposta di un anarchico ci sembrava opportuna.
A conferma del nostro interesse per i dibattiti, abbiamo dato ad Agriesti la possibilità di replica, chiedendo a Massimo Varengo una controreplica.

Replica.../Sempre meglio meno Stato

Ringrazio Varengo per l'interessante replica e rispondo per punti ad alcune questioni sollevate.
Si assume che là dove le relazioni fra persone siano pacifiche e volontarie, cioè basate sul consenso, non ci sarebbero gerarchie, autorità e potere. Non credo sia così, penso che in un contesto di libertà si formino naturalmente gerarchie, autorità e potere. Sono elementi naturali nelle relazioni umane. Quale è la differenza allora? In un simile contesto ciò non si basa sulla coercizione: potere, autorità, differenza di ruoli, gerarchia, si formano e si mantengono sull'adesione volontaria. In una società anarchica ciascuno è obbligato a chiedersi “cosa ho da offrire agli altri?”, perché in una società volontaria nulla è dovuto: là dove non si ricorrere alla violenza, né direttamente, né attraverso lo Stato, ciò che si può ottenere passa dal consenso altrui.
Non vedo perché dovrebbe considerarsi estorto un lavoro che si basa sul doppio consenso delle parti coinvolte, cioè su una relazione pacifica e volontaria, che può essere interrotta in ogni momento.
“Si è mai visto un dipendente, disposto ad accettare e a subire la 'razionalità' di un sistema che lo valuta, lo giudica, lo premia o lo licenzia, senza fiatare se non per la violenza del gendarme che protegge quella 'razionalità'?” Solo la violenza può porci al di sopra del giudizio e della valutazione altrui: ribadisco, in una società volontaria nulla è dovuto. Là dove non si ricorrere alla violenza, né direttamente, né attraverso lo Stato, tutto ciò che si può ottenere passa dal consenso – quindi dal giudizio – altrui.
Lo Stato è un apparato di coercizione e oppressione, il percorso verso un mondo basato su relazioni pacifiche e volontarie passa dalla sua graduale scomparsa, non dalla conquista dello Stato, non da un diverso orientamento dello statalismo. Messo di fronte alla scelta tra più Stato e meno Stato credo che un anarchico debba sempre e comunque scegliere la seconda. Più lo Stato si ritira, più altro può emergere.

Pietro Agriesti
Milano


...e controreplica/Ma l'anarchismo cosa c'entra?

Continuo a pensare che ci sia un pregiudizio di fondo basato su un assioma senza reale fondamento. Se gli elementi naturali che caratterizzano le relazioni umane sono: gerarchia, autorità e potere, le possibilità di vivere in libertà sono piuttosto esigue, se non inesistenti.
Lo dimostra la società nella quale viviamo. Ma, si dice, se la società dovesse ridisegnarsi ridefinendo i rapporti umani in modo che essi si sviluppino pacificamente e su base volontaria, allora gerarchia, autorità e potere diventerebbero benefici in quanto sarebbero gli strumenti atti a consentire una vita perlomeno serena. Dando per scontato che tale sistema di valori (preferisco, mi si consenta, definirlo di disvalori) possa funzionare inizialmente tra individui consapevoli e coscienti della posta in gioco, nulla ci garantisce che questo possa avvenire con i/le loro eredi. Anzi, è più che prevedibile, e più volte constatato nell'esperienza storica, il progredire di una regressione costante a favore di una crescente diseguaglianza sociale e politica. Il risultato non sarebbe tanto il mantenersi di un 'consenso' reciproco senza Stato, ma il riaffermarsi dello Stato sulla base di un 'consenso' estorto.
Già Etienne De La Boétie, nel suo 'Discorso sulla servitù volontaria', osservava il comportamento umano sempre a rischio di cedere la propria libertà a favore del Potere, per garantirsi sicurezza, e poi accorgersi del grave prezzo pagato, senza possibilità di ritorno.
Se noi pensiamo che si possa accettare, consensualmente, l'esistenza di autorità, potere e gerarchie e che tutto questo non crei diseguaglianze e perdita di libertà; che si possano stabilire relazioni lavorative libere da legami e da ricatti, senza subire la minaccia della disoccupazione e della mancanza di reddito, tutto questo vuol dire che pensiamo a un mondo di figure ideali, pronte sempre e soltanto al dono. Un dono che è in realtà cessione di sé, verso chi sta sopra ed esercita autorità, potere e gerarchia.
Cosa c'entri tutto questo con l'anarchismo mi è assolutamente oscuro.

La natura umana è fatta in modo tale che i doveri dell'amicizia assorbono buona parte della nostra vita. È del tutto ragionevole amare la virtù, avere stima delle buone azioni, essere riconoscenti del bene ricevuto e a volte anche mettere un limite al nostro benessere per aumentare l'onore e i vantaggi di coloro che amiamo e che meritano di esserlo. Orbene, ammettiamo che gli abitanti di un paese riescano a trovare uno di quei grandi personaggi che ha saputo dar loro prova di grande preveggenza su cui fare affidamento, di grande coraggio a loro difesa, di cura premurosa da poterli governare.
Se ad un certo punto si trovano a loro agio nell'obbedirgli e gli danno fiducia fino a riconoscergli una certa supremazia, non saprei proprio dire se è agire con saggezza toglierlo da dove faceva bene per metterlo in una posizione dove potrebbe fare male; in ogni caso ci risulta naturale volergli bene senza temere di riceverne del male. (...).
Sono dunque i popoli stessi che si lasciano, o meglio, si fanno incatenare, poiché col semplice rifiuto di sottomettersi sarebbero liberati da ogni legame; è il popolo che si assoggetta, si taglia la gola da solo e potendo scegliere fra la servitù e la libertà rifiuta la sua indipendenza, mette il collo sotto il giogo, approva il proprio male, anzi se lo procura.
Etienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria

Massimo Varengo
Milano


Il nostro collaboratore Domenico Pucciarelli non ha apprezzato la nostra copertina astensionista con la frase di Emma Goldman. Lui non ha votato (abita in Francia) ma non ritiene la cosa né strategica né identitaria, tantopiù nel cercare di “uscire dal ghetto” di quell'anarchismo.

Botta.../I numeri non contano

Dopo quest'ultima campagna astensionista, possiamo essere soddisfatti, perché le persone che non sono andate a votare sono state circa il 27%, che su 46 milioni di aventi diritto a deporre una scheda elettorale nelle urne rappresenta una bella cifra. Una massa di gente che, visti i risultati, salirebbe sul podio insieme ai Cinque stelle e alle formazioni di destra unite per l'occasione.
Diciamo la verità, è una bella soddisfazione. L'ho detto l'altra sera anche a quel mio vecchio amico che pensa di essere sempre anarchico, che è rimasto vicino ai libertari di qualsiasi colore si vestano, e che ha votato per il PD (anche se, come mi ha confessato, turandosi il naso!). E lui mi ha risposto: “ma secondo te, tutte queste persone che si sono astenute si sentono coinvolte in questa scelta politica che fanno da più di cent'anni gli anarchici e le anarchiche – tranne in alcune occasioni storiche e qualche individuo o gruppo che non rispettano la consegna – illustrandolo fieramente sui loro periodici, manifesti, etc.?”
“Chiaramente non è cosi”, ho dovuto ammettere. E ho aggiunto: “è vero che se tra di loro ci sono forse qualche migliaio di nostri compagni e compagne, di nostri amici e amiche che hanno utilizzato anche la copertina della rivista del mese di febbraio per identificarsi nella critica del sistema elettorale rappresentativo proponendo come alternativa immediata il rifiuto di recarsi alle urne... nell'insieme non sono che una piccolissima – microscopica – parte dell'opinione pubblica.”
“E qual è il risultato di questa che rimane comunque una semplice testimonianza?” mi ha chiesto l'amico «riformista». “Il risultato è che siamo sempre qui, come quel Anarchik oramai leggendario che ci ricorda chi siamo, cosa vogliamo e dove dovremmo andare... E francamente sono, come dire, contento di vedere che non mollate. Ma... non dovreste cercare di capire perché da decenni i vostri ragionamenti non riescono a incidere più di tanto nel quotidiano? A cosa serve ripetere «Non votare, lotta», non pensi che si possano fare sia l'una che l'altra cosa? E poi se volete che si arrivi a costruire una società anarchica, da dove iniziare? Secondo te basta dire che si deve partire dai vostri piccoli circoli, da qualche esperienza autogestita, leggendo i vostri periodici, e i testi pubblicati dalle case editrici a voi vicine, o ancora partecipando a quei movimenti che rifiutano delle scelte non ecologiche, l'approvazione di leggi che aumentano il precariato e il potere della finanza...
Insomma amico mio, adesso che le elezioni sono finite (o quasi) come fare per spiegare che l'anarchismo può essere un mezzo per cercare di vivere meglio, con più giustizia, più eguaglianza, più libertà di scelta e che comunque non è una ricetta miracolosa? Come fare, non dico a convincere il 51% della popolazione, ma almeno una buona fetta di quei movimenti che ci sono vicini, o meglio ai quali ci sentiamo vicini?”
Carissimi lettori e lettrici di A, io non ho saputo dargli una risposta convincente. Ma siamo andati insieme a bere una birra in un bar autogestito.

Mimmo Pucciarelli
Lione (Francia)


e risposta/Un fatto simbolico, ma...

È vero, l'abbiamo sempre detto. L'astensione è solamente un fatto simbolico e ci interessa solo quando è cosciente rifiuto di un sistema politico organizzato in modalità che ci sembrano negative, perché basate su un uso totale e indiscriminato della delega. Non siamo stati a vedere quanti siano stati gli astenuti e di sicuro umanamente e politicamente siamo più vicini a quelle persone che hanno partecipato al voto, ma che sono quotidianamente impegnate in scelte di lotta e/o di vita “critica”, rispetto alla massa degli astenuti menefreghisti.
Resta il fatto che il solo votare una delle liste presenti ci avrebbe portato a indebolire la nostra testimonianza che “un'altra società è possibile”. Dando nel frattempo credibilità a un rito – prima ancora che alle singole liste – in cui non crediamo.
Siamo pochissimi, è vero, nella società. E noi non abbiamo mai pensato il contrario. Ma questo, se pure ci spinge a chiedercene il perché (e lo facciamo.... da sempre), non ci spinge a vedere le cose diversamente da come le vediamo. È una questione di onestà prima che di coerenza. Il 4 marzo sapevamo che il voto, comunque, non avrebbe spostato niente di essenziale. Ne abbiamo avuto e ne abbiamo conferma.
Nessun “dogma” astensionista, d'accordo. Ma un'occasione per chiarire il nostro pensiero. Senza doverci turare il naso.

Paolo Finzi
Milano




I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Salvo Vaccaro (Palermo) 10,00; Roberto Greggi (San Piero in Bagno – Fc) “in ricordo di mio padre Charlie”, 10,00; Federico Taroni (Menaggio – Co) 40,00; Giuseppe Galzerano (Casalvelino Scalo – Sa) 40,00; Pietro Vezzini (Cremona) 10,00; Caterina Ciarimboli (Senigallia – An) 10,00; Diego Baldini (Firenze) 8,50; Giorgio Zanzottera (Adro – Bs) 10,00; Enzo Francia (Imola – Bo) 10,00; Enrico Calandri (Roma) 100,00; Pietro Torelli (Sermoneta – Lt) 10,00; Filippo Rebecchi (Pontenure – Pc) 10,00; Stefano Parisella (Torrice – Fr) per pdf, 4,00; Beppe Chierici (Todi – Pg) 20,00; Francesco Rotili (località sconosciuta), 10,00; Giuseppe Ideni (Pisa) 10,00; Alessandro Scimone (Messina) per Pdf, 4,00; Davide Turcato (Modena) 100,00; Elio Pasottti (Brescia), 20,00; Carlo Capuano (Roma) 10,00; Albino Trucano (Borgiallo – To) 10,00; Paolo Bercelli (Medesano – Pr) 40,00; Diego Baldini (Firenze) 8,50; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla e Umberto Marzocchi, 500,00; Pasquale Messina (Milano) “ricordando mio padre”, 50,00. Totale € 1.065,00.

Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo anche le quote eccedenti il normale costo dell'abbonamento. Per esempio, chi ci manda € 50,00 per un abbonamento normale in Italia (che costa € 40,00) vede registrata tra le sottoscrizioni la somma di € 10,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo di cento euro). Tiziano Viganò (Casatenovo – Lc) “ricordando Pierluigi Magni e Franco Pasello”; Master Alarm (Brescia); Claudio Venza (Trieste); Barbara Berardinatti (Trento); Giancarlo Gioia (Grottammare – Ap); Giacomo Ajmone (Milano); Enrico Calandri (Roma). Totale € 700,00.